AppLI, l’ultima trovata del Ministero che non trova lavoro a nessuno

Il nuovo strumento ministeriale per favorire l’occupazione è un assistente basato sull’intelligenza artificiale che promette di aiutare i giovani a trovare lavoro, riducendo il numero di NEET. Un esperimento che rischia di diventare l’ennesima piattaforma fallimentare pagata con soldi pubblici: l’opinione di tre esperti

17.10.2025
La schermata iniziale di AppLI

Nel 2025 l’Italia resta il secondo Paese con il più alto tasso di NEET dell’Unione europea. A dirlo è un’elaborazione Openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat: dopo la Romania, siamo lo Stato che fa più difficoltà a inserire la fascia dai 18 ai 29 anni nel mercato del lavoro. Con il 15,2% di NEET, l’Italia è sopra la media europea (11%) e lontana dall’obiettivo UE per il 2030 di scendere al di sotto del 9% di giovani tra 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono in formazione. Lo Stato italiano ne è consapevole da tempo, ma sembra non riuscire a centrare la strategia giusta per intervenire sul mercato del lavoro in Italia: né i navigator né le misure precedenti hanno abbassato in modo consistente il tasso di giovani disoccupati in questa situazione.

Ora il governo Meloni vorrebbe riprovarci, e a luglio 2025 ha annunciato la presentazione di un nuovo strumento che si basa sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale per intervenire sulla domanda e sull’offerta di lavoro, tentando di accorciarne le distanze. Stiamo parlando di AppLI, un assistente virtuale sperimentale progettato per accompagnare i ragazzi dai 18 ai 35 anni in un percorso personalizzato di orientamento, formazione e inserimento lavorativo. Viene presentato come “gratuito” (così non è: i costi di lavoro, progettazione, sviluppo e mantenimento sono spesa pubblica, come per i CPI), accessibile senza limiti di giorni e orari sul sito, ma soprattutto come “il primo sistema di intelligenza artificiale generativa multi-agente costruito da una Pubblica Amministrazione”.

Una formula roboante, che sa più di spot istituzionale che di soluzione concreta per i 1,7 milioni di NEET italiani. In teoria dovrebbe ascoltare, allenare, avvicinare e accompagnare al lavoro; in pratica, bisogna capire quanto davvero riesca a sostituire – o integrare – il contatto umano con operatori dei centri per l’impiego, già sottodimensionati e oberati di pratiche. Non solo: il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali da tempo prova a presentare nuove iniziative che utilizzano l’intelligenza artificiale, ma spesso tale introduzione è servita più da vetrina che da soluzione alle esigenze del mercato attuale.

Per valutare il nuovo strumento abbiamo dato un’occhiata alla piattaforma, ma non ci siamo fermati a questo: abbiamo coinvolto persone che da anni lavorano come operatori, ex addetti dei Centri per l’Impiego e fondatori di startup che lavorano con l’intelligenza artificiale per occuparsi della ricerca e successiva selezione del personale.

Cosa fa AppLI (e che cosa non può fare)

Torniamo alla presentazione di AppLI e alle sue funzioni fondamentali – ascoltare, orientare, accompagnare e avvicinare al lavoro. Quattro verbi che tendenzialmente suonano bene, ma che rischiano di nascondere limiti reali: l’accesso richiede SPID o CIE, un’esclusione implicita per chi ha difficoltà digitali o burocratiche; i percorsi formativi sono suggerimenti, non garanzie; il contatto con i servizi pubblici non è diretto, dipende dall’iniziativa del singolo. Come abbiamo capito attraverso le interviste di persone iscritte ai CPI, il lato umano non è un fattore da sottovalutare, soprattutto perché spesso sono persone deluse e disilluse.

La ministra Marina Calderone lo definisce uno strumento “nato con i giovani e per i giovani”, ma AppLI può essere un compagno digitale che funziona soltanto se il sistema che lo ospita – Centri per l’Impiego, rete territoriale, incentivi – è già efficiente. E sappiamo che al momento non è così.

C’è da considerare anche un fattore rilevante: i divari educativi stanno aumentando e alimentando la percentuale di NEET. Al contrario di quanto si può pensare, le aree rurali contengono un tasso inferiore di neet rispetto alle aree metropolitane (dati Eurostat), ma non va sottovalutato anche lo spopolamento dei paesi, che potrebbe alterare questo fenomeno. Un dato che restituisce realtà alla situazione attuale è quello delle città che contengono il maggior numero di non occupati e non in formazione: Catania, Palermo e Napoli formano il podio di questa situazione non incoraggiante. In generale, il Sud Italia detiene la percentuale più alta di NEET nel Paese, con la regione Sicilia che si colloca ben oltre la media nazionale.

Laura Ressa, operatrice per le politiche attive del lavoro con un’esperienza pregressa nei centri per l’impiego, ha evidenziato che, se AppLI promette di ridurre il mismatch di competenze, c’è anche da considerare che “un chatbot, così come qualsiasi altro strumento tecnologico o di IA, non può risolvere un problema strutturale. E il motivo è semplice: un chatbot è appunto un mezzo che esegue quello che noi lo istruiamo a fare” spiega, e aggiunge: “Come altri strumenti IA, e non solo, esso è utile nella misura in cui chi lo utilizza sa cosa sta maneggiando, ne conosce rischi, limiti e potenzialità, sa cosa vuole farne e a cosa può davvero servirgli, e lo utilizza in modo etico”.

Per Ressa c’è bisogno che chi ha il potere di risolvere i problemi strutturali lo faccia attraverso leggi a favore dei lavoratori, in modo che le aziende non considerino la forza lavoro solo utile al profitto. Sottolinea come la tecnologia venga usata dall’uomo ancora per sostituire, e non per facilitare delle azioni faticose che esauriscono le energie dei lavoratori. A suo avviso serve un cambiamento culturale, prima ancora di un progresso tecnologico. Non è scettica a priori sull’utilizzo dell’IA: anche un lavoratore umano è in grado di sbagliare, tanto quanto la macchina. Il punto per lei è un altro: va ripensato il nostro sistema di benessere all’interno della società, e questo lo si risolve soltanto attraverso un lavoro dignitoso (e quindi non volto solo al risparmio di denaro) e con ammortizzatori sociali.

C’è poi un discorso di empatia. “Il mio parere, per la mia particolare esperienza e per quello che ho potuto intercettare finora dai racconti delle persone, è che le persone hanno bisogno di essere ascoltate” osserva. Questo per Ressa non vuol dire che l’IA non possa farlo bene, ma apre a una riflessione importante: se ciò dovesse verificarsi, succederà che molleremo gli ormeggi proprio sulle attività a più alto valore aggiunto e a maggior coinvolgimento umano, con il risultato che il lavoratore continuerà a impiegare il tempo in attività a basso coinvolgimento intellettivo.

In ultimo, essendo i NEET soggetti appartenenti a contesti sociali fragili, più che delle competenze digitali, per Ressa ci sarebbe bisogno di acquisire la capacità di osservare con occhio critico la realtà.

“AppLI? Speriamo non finisca come la SIISL”

Anche Giorgio De Cillis, fondatore di Godot (realtà che opera nel mercato del lavoro utilizzando l’intelligenza artificiale), mette in luce alcuni aspetti tecnici.

Se è vero che il mismatch in Italia nasce soprattutto da un sistema di istruzione e formazione poco integrato con le esigenze delle imprese, spiega, allo stesso tempo, le nuove generazioni mancherebbero di strumenti di base per presentarsi al mondo del lavoro. Questo vale nei termini in cui un giovane deve essere in grado di valorizzare le proprie competenze, scrivere un curriculum vitae efficace e affrontare un colloquio senza esperienze pregresse. Ma l’IA non è per forza un fattore negativo: “Non risolve da sola il problema di sistema, ma può colmare un gap immediato, fornendo orientamento pratico e consapevolezza di sé ai giovani”. In ogni caso, con i Centri per l’Impiego malfunzionanti, l’IA può essere utile per sottrarre agli operatori tutta una serie di azioni ripetitive e permetter loro di concentrarsi su situazioni più complesse.

De Cillis tuttavia ammette che il rischio che l’intelligenza artificiale diventi un alibi politico esiste. È qui che emergono le prime imprecisioni a livello tecnico: “Se uno strumento di IA commette un errore che ha conseguenze concrete, di chi è la colpa? Dell’ente pubblico? Del fornitore? Di nessuno? Finché non verranno definite linee guida chiare, l’IA rischia di essere usata non solo come supporto, ma anche come scudo politico”.

Secondo l’esperto, il rischio maggiore è che AppLI diventi un insieme di funzioni in apparenza utili, ma poco aderenti ai problemi concreti dei cittadini. Se da una parte l’integrazione con SIISL (Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa) è positiva, dall’altra la piattaforma è vincolata allo SPID, che “spesso presenta criticità e non è diffuso in tutte le fasce sociali”, rischiando di trasformarsi in una barriera enorme. Non è scettico sul lato empatico, sostenendo che “un assistente sempre disponibile, che conosce le tue competenze e le tue aspirazioni, può diventare un alleato prezioso e persino motivante”. Piuttosto, evidenzia un altro tipo di problematica: AppLI dichiara di supportare solo sei lingue, mentre in Italia le comunità straniere sono molto più variegate, “e sappiamo che i modelli linguistici non comprendono davvero, ma associano. Questo comporta inevitabili margini di errore”, che per De Cillis non è possibile evitare, ma quantomeno vanno ridotti e gestiti in modo responsabile.

Tutto dipende poi dall’esperienza che gli utenti hanno di una piattaforma. De Cillis ci racconta che ha reagito con entusiasmo al lancio del SIISL, ma da subito i limiti pratici sono stati evidenti: accessi complessi, barriere tecniche e un’offerta proveniente soprattutto da agenzie interinali, anziché da aziende. Tutto ciò potrebbe ripresentarsi con AppLI, se gli utenti non dovessero trovarla utile, comoda e intuitiva: il rischio è che si ripresenti una situazione simile a quella dell’Agenzia delle Entrate, “un’esperienza così complessa che molti cittadini preferiscono pagare strumenti privati più intuitivi. Prima di giudicare, occorre vedere AppLI nelle mani dei cittadini che ne hanno più bisogno. Se funzionerà, potrà diventare un pilastro dell’orientamento al lavoro in Italia. In caso contrario, il mercato troverà alternative private più accessibili”.

L’IA “non copre le inefficienze che abbiamo visto in passato”: per riavvicinare al lavoro servono persone

Se le prime due testimonianze ci hanno raccontato la potenziale evoluzione del mercato del lavoro sulla base delle loro esperienze attuali, Elena Murelli, che ha collaborato con Centri per l’Impiego e agenzie per il lavoro nel decennio scorso, ci ha aiutato a ricostruire come sono andati i tentativi italiani di dare uno shock alle politiche sull’occupazione.

Un assistente virtuale non potrà mai sostituire lo sguardo, l’ascolto e la relazione che servono per accompagnare davvero un giovane in difficoltà. Però può essere un primo passo, soprattutto per chi si fida poco delle istituzioni o ha paura del giudizio: uno strumento accessibile, disponibile sempre, con cui sperimentarsi senza pressioni” spiega. L’esperta ammette che, se utilizzata in maniera utile e integrata, a differenza di altre iniziative lanciate in precedenza, “l’IA può abbassare le barriere e aprire la porta, ma il percorso di crescita passa sempre dall’incontro con persone reali: operatori, tutor, mentor. Se togliamo questa parte, rischiamo di ridurre tutto a un esercizio sterile”.

Per Murelli il punto è non confondere il mezzo con il fine, e porta alla luce un tema profondo: “molti NEET appartengono a contesti dove il lavoro non è percepito come spazio di crescita e appartenenza, ma come luogo precario, poco tutelato e spesso deludente”. Se non cambiamo la narrazione e la pratica del lavoro, sostiene, nessuna app riuscirà a colmare questa mancanza di fiducia, che a suo avviso non dipende da una bassa digital literacy, ma dal fatto che molti giovani non si fidano delle aziende che offrono percorsi poco chiari, non garantendo inclusione e benessere e non rispettando i loro bisogni di equilibrio.

A suo avviso, AppLI può essere utile solo dopo un primo step: “Chi è davvero lontano dal lavoro avrà bisogno di qualcuno che lo intercetti, lo motivi e lo accompagni. Senza questo, rischiamo che l’innovazione tecnologica rafforzi chi è già vicino e lasci ancora più indietro chi ne avrebbe più bisogno. Un’app può essere un alleato prezioso, ma non un sostituto. L’IA può semplificare processi e dare strumenti pratici, ma non copre le inefficienze che abbiamo visto in passato”.

In ultimo, Murelli conclude con una riflessione che facciamo nostra, perché incarna i valori di SenzaFiltro: “Il punto vero non è se il Ministero sappia lanciare un’app, ma se sia capace di contribuire a costruire una nuova cultura del lavoro. Il sistema è davvero in crisi a 360°. Senza una visione sistemica, AppLI rischia di restare solo un alibi tecnologico”.

 

 

 

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Photo credits: asnor.it

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