Si chiamano Progetti Utili alla Collettività (PUC) e prevedono che i percettori di RdC lavorino per i loro comuni. Ma lo fanno solo in pochissimi: scopriamo perché e mettiamo a confronto i casi di un comune del Nord e di uno del Sud.
Anche le Marche hanno la loro ILVA
La raffineria API di Falconara Marittima da anni è al centro di incidenti e casi di inquinamento, ma la politica locale sembra difenderla. Alcune testimonianze dal territorio.
Da un lato la bellezza indifesa del mare, ferita dall’omertà; dall’altro un mare di omissioni che per anni ha divorato salute, territorio e vita. È una morsa di contraddizioni quella che attanaglia Falconara Marittima, località di una delle Regioni più affascinanti d’Italia: le Marche.
Comune della provincia di Ancona che conta più di 25.000 abitanti, con tanto di tappa ferroviaria, Falconara Marittima sarebbe un degno e naturale sbocco turistico se non fosse stato deturpato da un grave inquinamento che tuttora non lascia tregua, ma solo effetti tangibili e duraturi.
Partiamo col dire che Falconara compare tra i siti di interesse nazionale nello studio SENTIERI – Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento. Nel rapporto si evidenzia come “l’analisi della mortalità è integrata con quella delle persone ricoverate che, in controtendenza rispetto al dato della mortalità, sono in eccesso rispetto al riferimento in entrambi i generi per tutte le cause, tutti i tumori e le malattie dell’apparato digerente. Tra le cause di interesse a priori si conferma il segnale di un eccesso di tumori del polmone sia per la mortalità che per i ricoveri, ma solo tra le donne, segnale accompagnato da un eccesso per i tumori al colon retto per entrambi gli esiti, sempre nel genere femminile”.
Di questa situazione poco conosciuta, se non a livello locale, ne parliamo dando voce a chi, nel tempo, ha assistito direttamente allo scempio territoriale e prima di tutto della salute degli abitanti. Il nostro approfondimento coinvolge le testimonianze di Marco Moruzzi, ambientalista ed esperto di sicurezza sul lavoro, e Loris Calcina, consigliere comunale della lista civica di Falconara oltre che animatore di uno dei primi comitati di quartiere all’inizio degli anni Duemila. Insieme tocchiamo alcune tappe significative della vicenda, dove tante sono le responsabilità disattese o persino messe all’angolo.
Raffineria API di Falconara: una storia sporca da anni
“Qui sono diverse le fonti d’inquinamento ma la principale è senz’altro rappresentata dalla raffineria API, situata sulla costa a nord di Falconara”, inizia a raccontare Marco Moruzzi. “Raffinano il petrolio peggiore che ci sia sul mercato. L’altro loro obiettivo è quello di occupare il mercato degli asfalti”.
Lo scenario sarebbe degno di un film, ma purtroppo è tutto reale, come ci testimoniano diversi eventi accaduti: “Non sono mancati incidenti, tra cui rilasci importanti nel mare”, spiega Moruzzi. “Ce ne fu uno particolarmente ingente nel 2004: l’esplosione di un serbatoio aveva provocato un versamento di bitume nel mare. Poi il bitume ce lo siamo ritrovati per settimane sulla spiaggia. Ci furono ispezioni in contemporanea dell’ASL, della capitaneria di porto e dell’ARPA. Fu dichiarato che il bitume che arrivava sulle spiagge non era della raffineria”.
Eppure c’è chi prova il contrario: “Con Gabrio Marinelli abbiamo filmato i lavoratori di una ditta subappaltatrice della raffineria che stavano portando via il bitume da uno dei canali di scolo da cui si era riversato verso il mare. Ci siamo anche rivolti alla magistratura portando questa testimonianza, ma le autorità hanno affermato che era un rilascio accidentale di una petroliera non riconducibile alla raffineria”.
Una vicenda dai tratti ambigui, come ci spiega il nostro intervistato “perché è possibile caratterizzare il petrolio risalendo alla sua origine. Il petrolio ha una sorta di DNA, una sua composizione particolare che mi indica la sua esatta provenienza”.
Rinnovabili? No grazie: la raffineria pluricondannata tira dritto
Non solo gravi danni all’ambiente, con ripercussioni sulla salute, ma anche incidenti gravi che hanno portato al ferimento e persino al decesso di lavoratori.
Ricordiamo i più eclatanti: l’esplosione della raffineria il 25 agosto del 1999, dove morirono due persone, e l’esplosione dell’area deposito bitumi nel 2004, vittima un autotrasportatore. Ai residenti della zona venne consigliato di restare a casa.
A questo punto chiediamo: i lavoratori si sono mai opposti a questo sistema pericoloso in primis per loro stessi?
“Alcuni hanno capito che con il ricatto occupazionale pagavano un prezzo alto e hanno rotto la catena di omertà”, sottolinea Moruzzi. “La battaglia è stata però portata avanti soprattutto dagli ex lavoratori e dagli abitanti tramite comitati dedicati al tema. Ci sono stati processi che hanno portato alla condanna dei dirigenti della raffineria. Ora i dirigenti sono cambiati, ma dal punto di vista dell’inquinamento sostanzialmente le cose hanno continuato come prima. Mentre la maggior parte delle imprese ha puntato al campo delle energie rinnovabili, l’API fa il contrario”.
La raffineria paga le campagne politiche e le istituzioni guardano dall’altra parte
In tutta questa vicenda è sconcertante la risposta a una domanda focale: le istituzioni dov’erano e che cosa hanno fatto di fronte a tutto questo?
A serpeggiare nel corso degli anni sembra ci sia un inequivocabile favoritismo da parte loro nei confronti della raffineria. Favoritismo agito su più fronti, con conseguenze sulla salvaguardia della salute degli abitanti di Falconara.
“L’Api ha inquinato non solo suolo, aria e mare, ma anche i rapporti politici e istituzionali”, chiosa Moruzzi a questo proposito. “C’è stato un periodo in cui l’API pagava le campagne dei vari rappresentanti politici in gara con buoni benzina più o meno ufficiali”. E sottolinea: “Su quell’azienda, non ho remore a dirlo, c’è sempre stato sempre un occhio di riguardo da parte della politica rispetto agli obblighi di legge, che le altre imprese invece sono tenute a rispettare”.
Non meno grave è la dinamica che riguarda l’ambito sanitario e le sue istituzioni. Loris Calcina ci illustra dettagliatamente il quadro: “Ci troviamo di fronte a un avversario inaspettato, ossia la Regione Marche, che nel 2004 ha finanziato la prima importante indagine epidemiologica sulla popolazione di Falconara”, spiega. “L’indagine è stata condotta dall’Istituto Tumori di Milano in collaborazione con ARPA Marche, dando i risultati definitivi nel 2011”.
Ciò che emerge è sconcertante, come spiega Calcina: “Lo studio ha rilevato che la mortalità per determinate malattie rare come leucemie, linfomi non Hodgkin e mielomi risultava più alta nella popolazione residente nel raggio di quattro chilometri dalla raffineria. Parliamo di persone che per vari motivi avevano trascorso più tempo in zona: casalinghe e anziani”.
La Regione Marche non invia i risultati sanitari shock al Ministero: “Ma erano sul nostro sito”
Dati allarmanti, ma lo è ancora di più il prosieguo della vicenda: “La Regione Marche, una volta ricevuti questi risultati, non li ha trasmessi al Ministero della salute, e questo è provato da una risposta dell’allora Ministra della salute Lorenzin, che nel 2014, in risposta a un’interrogazione sollecitata da noi cittadini, disse che l’indagine era sconosciuta al Ministero perché non era mai stata inviata loro dalla Regione”.
Negligenza, dimenticanza o scelta voluta? “La Regione ha risposto di aver pubblicato sul suo sito il link dei risultati, e che era visibile a chiunque”, afferma Calcina. La criticità dal punto di vista sanitario era stata segnalata anche dal settore epidemiologia di ARPA Marche.
A questo punto i provvedimenti sarebbero impliciti, e invece ancora una volta l’assurdo: “Dopo il silenzio di tomba senza provvedimenti, l’API presenta un nuovo progetto di desolforazione dei gasoli”, racconta Calcina. “Il progetto viene valutato sia dal Ministero dell’ambiente che da quello della salute, e quest’ultimo non dà l’autorizzazione. Alla fine ha prevalso il Ministero dell’ambiente, accordandosi sui monitoraggi. Il problema è che intanto l’impianto è stato fatto, poi si vedrà. Sarebbe necessario ben altro!”.
Portiamo qualche esempio: “Prima di tutto un registro tumori e uno sulle malformazioni congenite legate alla presenza di metalli pesanti”, specifica Calcina. “Il registro delle malformazioni presenti permetterebbe di capire quali siano i metalli pesanti prevalenti. A Falconara abbiamo anche un numero di aborti spontanei superiori alla media regionale causato dall’alta presenza di polveri sottili. Di fronte a tutto questo nessuno fa nulla”.
Falconara ferita anche nel turismo: “Questo è un territorio destinato al sacrificio”
L’inquinamento non conosce divieti di accesso, e la devastazione avvenuta a Falconara Marittima ha artigliato aria, suolo, mare e la stessa fauna marina, tra cui il pesce. Un altro tassello fortemente incrinato dalla situazione è però quello del lavoro. Sembrerebbe una contraddizione, ma non è così.
L’API è la prima realtà produttiva della zona e coinvolge numerosi dipendenti, eppure ha tolto lavoro a un altro settore importante: quello turistico. Ma se il turismo di una zona decade ne soffre anche tutto il resto.
“La situazione è pesante”, illustra Moruzzi. “Falconara Marittima è un’area ad alto rischio a livello nazionale. Basti pensare che oltre alla raffineria ci sono anche siti industriali non bonificati, come un vecchio impianto della Montedison che ha determinato una grave contaminazione del sottosuolo. Gli interventi sono stati minimali rispetto alla grandezza del problema”.
Una situazione che non dà cenni di miglioramento, come ci spiega Calcina: “Falconara è diventata sinonimo di territorio in cui si possono installare industrie insalubri. Invece di attivare le dovute bonifiche, le istituzioni nel 2010 hanno autorizzato due impianti di trattamento di rifiuti: uno nel Comune, l’altro al confine. Questo dà la misura di come ormai questo territorio sia destinato al sacrificio”.
E insieme al territorio ci sono sempre le vite.
Photo credits: cortemgroup.com
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