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Assumereste Socrate in azienda?

Assumereste Socrate in azienda?

Socrate in azienda: l'umanista sul lavoro sarà un personaggio forse imprescindibile. Ne parliamo con Ivano Dionigi, ex rettore dell'Università di Bologna.

Lara Mariani

29 Aprile 2019

Socrate è un personaggio scomodo. In azienda ci può stare?

Pietro Del Soldà è partito scettico, ma le risposte alla sua domanda sono state rapide e impattanti. E quella più diretta è arrivata da Ivano Dionigi: “Strano questo scetticismo, soprattutto dal momento che proviene da un laureato in filosofia che lavora in una delle più conosciute aziende italiane e fa una trasmissione di altissimo livello (Pietro Del Soldà infatti è autore e conduttore di “Tutta la città ne parla”, il programma di Rai Radio3 che approfondisce ogni giorno un tema d’attualità, N.d.R.)”. Il pubblico di Nobìlita, attento e partecipe come sempre, non ha potuto che sorridere e applaudire.

Siamo nel settimo e penultimo panel del festival, moderato appunto dal giornalista Rai Pietro Del Soldà e animato da Ivano Dionigi, ex rettore dell’università di Bologna, dal sociologo Vincenzo Moretti e dai filosofi Paolo Cervari e Stefania Contesini. Si cerca di capire quale deve essere il ruolo dei filosofi e in generale degli umanisti all’interno delle imprese, ma la questione non è semplice visto che filosofia e impresa sono ancora mondi estremamente lontani, che si guardano con grande indifferenza. Moretti ha spiegato che il filosofo deve saper porre le domande giuste e soprattutto trovare le parole giuste perché si possa arrivare a un “lavoro ben fatto”. Dionigi ha sottolineato la necessità di costruire dei ponti, di far dialogare le diverse discipline, soprattutto in un mondo come il nostro che ha perso il suo centro. Ma come deve essere impostato questo dialogo? Ivano Dionigi si è reso disponibile nel post-Nobìlita a rispondere a questa mia domanda, e la conversazione è iniziata proprio da qui.

Professore, come lo immagina questo dialogo tra imprenditori, manager e uomini di cultura umanistica?

È una supplenza emergenziale. Inserire il filosofo in azienda, poi magari negli ospedali e poi ancora nella pubblica amministrazione, è poco più che un rammendo. La soluzione non è affiancare il filosofo al project manager per fargli da consigliere.

E quale sarebbe la soluzione?

In questi ambienti ci devono essere figure già preparate. L’architetto è la figura ideale a cui fare riferimento e per dimostrarlo mi basta citare Adolf Loos. Quando gli chiesero chi è l’architetto, lui rispose “è un muratore che ha studiato latino”. In quella figura la cultura della mano, la cultura del cervello, la tecnologia e l’umanesimo, procedono insieme anche se hanno codici diversi. Come l’architetto, l’uomo di impresa, il politico, il rettore, e in generale chiunque sia alla guida di una specifica realtà, deve avere una visione circolare, una preparazione a tutto tondo.

Quindi il problema è alla radice, nel percorso di studio.

Lo stesso Steve Jobs era preoccupato del sapere ingegneristico e informatico perché era monoculturale e lineare. Oggi servono ingegneri rinascimentali, che evochino Leonardo e la scienza nata dalla filosofia. Certo l’azienda che si attrezza di umanisti è illuminata. Però oltre ad affiancare, bisogna preparare. Chiaro, l’affiancamento è meglio di niente, ma esiste ancora un’inquietante separatezza di formazione.

Mi faccia un esempio.

Il tecnico e l’ingegnere edile fanno i loro algoritmi e i loro conti, ma se non conoscono il paesaggio, la storia di un luogo, le sue connotazioni sociali, come fanno a costruire? Bisogna conoscere prima di costruire. O vogliamo davvero rimandare tutto all’algoritmo e ai numeri?

Il punto, allora, è che il dialogo non va cercato tra due professionalità diverse.

Va cercato nell’uomo intero. E non posso che tornare all’architetto, che è una figura anfibia: ha una formazione sia umanistica che tecnologica, ha due vite interiori. Le aziende che resistono sono quelle che hanno investito sulla conoscenza, quelle che guardano ai saperi immateriali. Non possiamo affidare il mondo del lavoro a semplici smanettatori.

Al Festival lei ha spiegato che Socrate ha richiamato la filosofia dal cielo, portandola sulla terra e introducendola nelle case e nella vita degli uomini. Oggi, coi nostri feticci tecnologici, forse l’abbiamo fatta uscire. Come possiamo organizzare il rientro?

La questione non riguarda solo la filosofia, ma tutti i saperi umanistici: la storia, le idee, le lingue, la letteratura.

Però queste materie oggi ci sono nelle scuole.

Sono state progressivamente ridotte e mortificate, e nel frattempo abbiamo abbandonato anche l’arte. Le nostre lauree STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics) in America le hanno già tradotte in STEAM (ci hanno messo la A di Arts). Gli americani hanno dato valore all’arte, alla letteratura, alla filosofia, ovviamente copiandole da noi. Mentre noi dismettiamo il nostro petrolio, gli altri ce lo rapinano.

Che cosa manca al sistema scolastico se gli altri copiano quello che noi sottovalutiamo?

Oggi, dove tutto è connesso, serve anche della sintesi. Un giovane non può avere una formazione a cassetti, anche perché all’università non si va per imparare un mestiere, si va per imparare a imparare. Però in questo Paese non c’è la cultura della laurea, non c’è la cultura della cultura.

E in questo contesto Socrate come ci aiuta?

Socrate è un emblema, Platone lo ha definito un eccentrico, un folle, uno fuori luogo. Steve Jobs invitava i giovani a essere folli, e il Seneca di Plutarco diceva “io non appartengo né ad Atene né alla Grecia, io appartengo al mondo”. E oggi i nostri giovani sono davvero cittadini del mondo, e dobbiamo dare loro il supporto culturale necessario, cominciando dalla scuola che dovrebbe essere aperta h24. Solo così si può evitare di imporre la scelta tra il latino e l’informatica e permettere di fare l’uno e l’altro. La scuola deve essere et-et, non aut-aut.

Non vorrei banalizzare dicendo che mancano i fondi per un simile progetto, ma…

È chiaro che non è semplice e per prima cosa bisognerebbe pagare bene gli insegnanti, ma questo permetterebbe di sottrarre i ragazzi dalla strada, dalla delinquenza. Potrebbero sperimentarsi nel teatro, o studiare a scuola il pomeriggio con un supporto, senza il bisogno di andare a ripetizioni. In questo modo si farebbe anche più giustizia sociale.

Giustizia sociale sembra una di quelle “parole giuste” di cui parlava anche Vincenzo Moretti.

Purtroppo oggi la parola è massacrata. Si fa politica con dieci parole, anzi non si usano parole giuste, ma soltanto i vocaboli, cioè parole morte.

Che fine ha fatto la sua concezione della “parola come materia prima”?

Tutto è una battaglia di parole, vero o falso, bello o brutto, giusto o ingiusto. Le parole cambiano la realtà. Anche Tucidide diceva che uno dei segni premonitori dello scoppio dei disordini sociali della guerra del Peloponneso era proprio il fatto che stava cambiando l’uso delle parole. Oggi i colpi di stato non si fanno con le armi, si fanno con le parole. Quindi non possiamo soggiacere ai tiranni del linguaggio, ma dobbiamo essere cittadini della parola.

Quindi ai giovani dobbiamo restituire la parola.

E anche il senso del tempo. I giovani devono sapere che non esiste solo il presente, ma che c’è un passato e una memoria, e che c’è il futuro, il progetto. La verità non appartiene all’oggi, appartiene al futuro ed è da ricercare continuamente. Ci deve essere tensione e ricerca continua, ma per scavare nella realtà servono delle competenze, insieme alla capacità di distinguere chi cerca di incantarci con le parole, anzi coi vocaboli. I giovani ci chiedono una grande responsabilità. La mia generazione voleva uccidere i padri; oggi i giovani i padri li cercano, ma non li trovano. Oggi il pronome da declinare è il noi, perché qui o si va tutti a picco o ci salviamo tutti insieme.

Questo sarebbe un bel messaggio per concludere, ma ho bisogno di farle un’ultima domanda. È ovvio che lei Socrate lo assumerebbe. In azienda, come in ospedale e nella pubblica amministrazione. Che contratto gli farebbe?

La virtù è premio per se stessa, quindi lui accetterebbe gratis perché poter conoscere e insegnare agli altri è la più grande ricompensa. In quest’epoca in cui tutto viene mercificato ci vorrebbe un eccentrico, un pazzo come Socrate. In questo mondo di finti normali, di normaloidi, avere un eterodosso sarebbe un gran bel segnale.

Photo credits: Andrea Verzola