Dove osano i reporter: il fotogiornalismo sotto attacco

Dopo il cameraman, l’altra figura professionale del mondo dell’informazione e della comunicazione in trincea, che ha combattuto con le problematiche dovute alla pandemia da COVID-19, è quella dei fotoreporter. I fotogiornalisti, al pari degli operatori di ripresa, si sono trovati a fronteggiare maggiori criticità sul campo: dalle misure di sicurezza che in qualche modo restringono […]

Dopo il cameraman, l’altra figura professionale del mondo dell’informazione e della comunicazione in trincea, che ha combattuto con le problematiche dovute alla pandemia da COVID-19, è quella dei fotoreporter.

I fotogiornalisti, al pari degli operatori di ripresa, si sono trovati a fronteggiare maggiori criticità sul campo: dalle misure di sicurezza che in qualche modo restringono il campo di azione del fotogiornalista alla diffidenza della gente incontrata per strada, aumentata al punto da diventare ostile, un boomerang per i loro scatti. A seconda dei contesti, obiettivi e telecamere sono più o meno ben accette, ma in taluni casi vengono viste come un testimone indiscreto e pericoloso, un nemico da eliminare, un “occhio malevolo e spione” a cui occultare il reale status delle cose. A cui sottrarre la narrazione visuale dei fatti.

 

Il lockdown vissuto dai fotoreporter: aggressioni e diffidenza

Durante il periodo di lockdown si sono verificati numerosi casi di aggressione ai fotogiornalisti napoletani e campani. È capitato nella stessa giornata, in due aree diverse della città, a due fotografi della storica Agenzia Foto Sud (Siano e Garofalo): “Sono stato circondato da persone di varia età e mi hanno chiesto la scheda. Ho provato a dialogare ma nulla, mi hanno cancellato le foto dalla schedina”, racconta Sergio Siano.

Stessa sorte anche per Cesare Abbate (ANSA): “Pensavamo che questa emergenza sanitaria ci portasse a essere migliori, più solidali, ma mi sono sempre reso conto, fin dall’inizio, che questa è stata una pandemia e non un incantesimo. E lo è tutt’ora. I cittadini sono molto più aggressivi e molto più incattiviti, più rabbiosi e più diffidenti verso i media”.

Da ricordare che atteggiamenti violenti nei confronti dei rappresentanti dei media, così come in Italia, si sono verificati anche all’estero. Nelle ultime settimane a fare scalpore è stato il caso di Corrado Amitrano, fotogiornalista campano trasferitosi a Londra.

Episodi denunciati dalla FNSI e dal sindacato locale, così come spiega Gerardo Ausiello, presidente del Sindacato Unitario Giornalisti Campania: “In tutto il mondo, dall’America all’Italia, si registra un’escalation di intolleranza verso giornalisti, fotoreporter e cameramen. Altro che solidarietà, il lockdown ha alimentato rabbia e intolleranza. Come FNSI e sindacato della Campania denunciamo ogni episodio di violenza e intimidazione contro i colleghi, provando ad alzare un muro e chiedendo l’intervento delle istituzioni. Per il caso di Corrado Amitrano, aggredito a Londra, abbiamo subito contattato l’Ambasciata. Il sindacato non lascia soli i colleghi, li affianca e li sostiene anche fornendo assistenza legale. Oggi è a serio rischio la libertà di stampa e di espressione, dobbiamo vigilare e non abbassare mai la guardia”.

 

“Le criticità – ricorda Alessandro Garofalo – possono essere varie: noi viviamo la città dalla mattina alla sera anche con eventi organizzati, ma i tempi sono cambiati e oggi siamo una figura che spesso alcuni non vorrebbero avere tra i piedi come per gli eventi di cronaca nera”. Vivi i ricordi e gli aneddoti del periodo del lockdown: “La pandemia ci ha segnato e la leggeremo nei libri di storia. La gente non concepiva di scendere da casa, segregati in casa come se metaforicamente il virus stesse in mezzo alla strada ad aspettare di colpire. Mi ha colpito la rete sociale che si è attivata per tutti i quartieri più popolari: da Scampia, Quartieri Spagnoli, Montesanto. Ho fatto un viaggio durante la pandemia a Scampia e ho visto che le regole sono state rispettate. I fotogiornalisti rientravano nel protocollo di libera circolazione per svolgere le proprie attività, ma stavo in mezzo alla via solo il tempo necessario per realizzare il servizio fotografico e subito tornavo a casa. Inizialmente le idee non erano molto chiare e si sono verificate situazioni imbarazzanti per gli assembramenti, ma la Campania, anche con una rigidità elevata, è riuscita a contenerli, ed è meglio essere più severi che più dolci. Tutto sommato, i campani si sono comportati abbastanza bene. Dove io ho partecipato alle conferenze stampa devo dire che il distanziamento sociale è stato rispettato”.

 

Fotoreporter: precariato in Italia e opportunità all’estero

“È importante leggere senza filtro nel (foto)giornalismo” così Corrado Amitrano, fotoreporter freelance, si racconta in una lunga videointervista, senza alterare i colori della cronaca e dello status del mercato del lavoro in Italia e all’estero. In primis, dal racconto emerge che “il dogwatching si fa ma con criteria: sempre il credit e no al clickbaiting”. E, in seconda battuta, che l’Italia rispetto all’estero è il mercato della povertà. Mentre all’estero si viene pagati e riconosciuti professionalmente ed economicamente per qualsiasi attività e mansione svolta, questo in Italia non avviene, non permettendo di vivere di fotografia e di essere freelance.

Durante il periodo della pandemia, spiega Amitrano, “il motto del governo inglese è stato Take Care Be Safe, una raccomandazione che era l’invito a restare a casa per la propria sicurezza. Noi, italiani, siamo entrati in lockdown spontaneamente un mese prima che i pub venissero chiusi. Il segnale della chiusura dell’hospitality pub è stato il cartello ufficiale della gravità della situazione, epidemia che era stata presa sottogamba, in un primo momento. Noi fotografi abbiamo osservato le indicazioni e norme di sicurezza indossando mascherine, mantenendo le distanze e usando l’igienizzante. E sul campo abbiamo mantenuto la calma, perché bisogna essere empatici per comprendere cosa e chi ci sta attorno e sapersi regolare e comportare di conseguenza. Solo così si evitano contrasti con le forze dell’ordine”.

 

Com’è cambiato il mercato della fotografia con l’avvento del digitale?

“In Italia, esistono grandi agenzie estere che hanno una sede. Nelle grandi agenzie esiste ancora la figura del photoeditor, professionalità in Italia scomparsa in molte redazioni. Con il digitale ho perso parte del romanticismo rispetto ai tempi della camera oscura, e sono contento che la fotografia come forma di comunicazione si sia maggiormente diffusa grazie alle fotocamere degli smartphone di qualità sempre maggiore”, racconta Amitrano.

E con il digitale tutti o quasi si sentono fotografi. Garofalo ricorda i suoi inizi: “Quando ho iniziato a fare fotografia io esisteva l’analogico, le pellicole, lo sviluppo stampa e attrezzatura costosa. Se oggi ci fosse ancora, il 70% dei fotografi non esisterebbe. Non si può negare il diritto al lavoro o di essere fotografi. I vantaggi ci sono con l’avvento della tecnologia, come l’autofocus, che ha reso più comodo lo svolgimento della fotografia, ma bisogna sempre portarsi dietro la cultura da camera oscura e saper usare la reflex in analogico, e photoshop in maniera garbata. I telefonini vengono accettati perché sono dotati di hardware che permette di realizzare un buon scatto, la news spicciola, anche se non sostituirà la figura del fotogiornalista”.

“Una professione senza gavetta la vedo difficile, uno che fa un percorso lineare avrà sempre una marcia in più. Nasco come fotografo matrimonialista, ho unito quanto appreso al fotogiornalismo, ed è nato il mio stile. Il fotogiornalista è colui che cerca con le sue immagini di dare e creare una continuità alla storia, documenti, eventi, e giornalisticamente lascia un segno.”

 

Photo credits foto di copertina: archivio personale di Corrado Amitrano

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