Avvelenati dal lavoro. La classe operaia va all’inferno

Una storia di lavoro che dà dignità e sopravvivenza, al prezzo di un intreccio letale con sfruttamento e mancata sicurezza. Recensiamo “Poliestere” di Luca Bertolotti.

Poliestere di Luca Bertolotti, uscito per Fandango, è un libro forte, netto, d’impatto, con una trama originale e profonda che non si dimentica.

La fabbrica, l’arte e lo sfruttamento. La caduta del protagonista di Poliestere

Per Livio, il protagonista, il lavoro è tutto: rappresenta la dignità necessaria per stare al mondo, il lasciapassare indispensabile al raggiungimento e alla legittimazione dei traguardi non solo professionali, ma anche della sua vita di uomo. Una mentalità derivata dall’educazione ricevuta dal padre, proprietario di una piccola verniciatura, e dall’essere nato e cresciuto in Brianza, nel distretto del mobile, nel quale il lavoro in quel settore è un destino prestabilito.

In Livio, però, arde il fuoco dell’arte: passione, attitudine e desiderio, sacrificati sull’altare della concretezza, rappresentata dalla piccola ditta del genitore. Una volta imparati i rudimenti lavorerà in un’altra ditta, ma tutto cambierà con la crisi del settore. Incontriamo il protagonista quando tutto questo è già accaduto, in un momento di grande sbandamento personale: si trova disoccupato a trentacinque anni, nel pieno di un vuoto esistenziale. Avrebbe diritto alla NASpi, ma non vuole l’aiuto dello Stato, convinto che il suo mestiere – operaio specializzato in verniciatura – lo metterà in condizione di trovare un nuovo datore di lavoro.

Livio conosce lo sradicamento emotivo e materiale di sopravvivere senza un impiego: il suo universo va in pezzi e in lui, sempre più alla deriva, si fa strada una sorta di alienazione che avrà come protagonista la sua magnetica attrazione per l’arte.

La svolta, però, arriverà con il volto di Elia, amico fraterno dall’infanzia all’adolescenza, perso di vista in età adulta. Diventato amministratore delegato di un’azienda del mobile, offre a occhi chiusi un lavoro a Livio, ma il contesto in cui lo colloca è tutt’altro che roseo.

Poliestere: avvelenarsi per lavorare, lavorare per vivere

Poliestere racconta bene, senza edulcorazioni (e qui risiede la sua forza), la cruda dimensione di un lavoro al limite: l’accettare, per necessità, di barattare la propria salute e sicurezza con un’occupazione.

La fabbrica di Elia è una piccola realtà che, per sopravvivere alla crisi, si accaparra commesse destinate all’estero, le quali si traducono in carichi di lavoro massacranti e senza respiro per i pochi operai. In nessun reparto le norme antinfortunistiche vengono rispettate; anzi sono viste – a volte dagli stessi operatori – come un ostacolo che rallenta i tempi serrati della produzione.

Niente della cabina di verniciatura di Livio è a norma: distanze, filtri, sostanze usate, aspirazione. Non si vernicia all’acqua perché non c’è il tempo di far asciugare i mobili per i minuti necessari, ma al contempo in busta paga non c’è l’indennità di nocività, perché vista come un “palliativo”. Insomma: spruzzare poliestere in quelle condizioni vuol dire avvelenarsi in maniera conscia, lavorando a ritmi sovrumani; il protagonista lo accetta solo perché, nella sua situazione, gli appare come il male minore.

La fabbrica e i suoi dannati

Bertolotti disegna agli occhi del lettore un particolareggiato, dettagliato e fedele universo-fabbrica: pian piano conosciamo reparti, mansioni, ritmi e soprattutto persone. I colleghi di Livio sono un altro punto di forza del romanzo: tratteggiati in maniera agile, ci appaiono vividi nella loro frenesia lavorativa, molto ben caratterizzati in approcci e idee diverse, spesso opposte.

La loro presenza letteraria si concretizza in voci, atteggiamenti, gesti e indoli: sono anime più che corpi, nonostante agiscano il mestiere tramite l’apoteosi della concretezza fisica. In ognuno troviamo la consapevolezza dei rischi corsi e la medesima delusione di Livio (a volte rabbiosa, altre rassegnata) davanti alle promesse infrante, remunerative o di miglioramento delle condizioni in fabbrica.

Quando il lavoro è ricatto il repertorio delle bassezze è pietosamente ricco: Elia ingaggia, con una cooperativa non in regola, anche gli ultimi fra gli ultimi. Un gruppo di pakistani, infatti,  aiuta i suoi operai quando si rischia di non terminare tutto il lavoro in tempo per le consegne. A questo quadro tossico non manca nemmeno la corruzione, che viene attuata su controlli e certificazioni.

L’ambiguo rapporto tra i personaggi principali: l’amicizia che conduce allo sfruttamento

Non solo fabbrica: Poliestere possiede un intreccio, un sottotesto che lo percorre e regge, in cui si parla di amicizia, della difficoltà e del bisogno di affrancarsi dal passato comune, e di come in nome della solidarietà e dell’appartenenza che tale sentimento produce si possa volontariamente valicare il confine fra giusto e sbagliato.

L’autore crea fra Livio ed Elia un raffinato gioco di specchi che rimanda più ombre che luci. Il loro essere da sempre due opposti non produce la distruzione del rapporto, bensì una sua costante conservazione nonostante tutto. Elia è un personaggio fortemente ambiguo, il cui bruciante contrasto fra gioventù ed età adulta lascia sul filo, intrigando, incuriosendo; se ne cerca una lettura univoca come una soluzione a un enigma.

In lui, infatti, abitano spinte contrarie: l’idealismo più puro e il peggior capitalismo, l’amore amicale e lo sfruttamento ingrato e indifferente proprio verso gli amici.

Perché leggere Poliestere

È un libro che andrebbe letto per capire da dentro, da una situazione più reale che romanzata, come spesso la logica del profitto si scontri con il benessere delle persone e il loro diritto a un lavoro dignitoso. E che, ancor di più, la sicurezza è un diritto, non un premio, e non si può più accettare che certi datori di lavoro la barattino con l’occupazione, attuando un ricatto, né più né meno.

Poliestere ha la forza del reale, del racconto autentico di una quotidianità spietata su cui, a torto, i riflettori si accendono solo quando accade la tragedia. Luca Bertolotti ha scritto un romanzo riuscito, in cui il lavoro si può definire coprotagonista, legante che tiene insieme tutta la trama, la quale poi risulta sorprendente negli sviluppi d’azione, attenta e ricercata nei suoi rimandi temporali e di senso, fine e acuta nel dipanarsi dei risvolti umani.

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