Le dimissioni di Domenico Guzzini non devono essere il pegno sacrificale richiesto dalla rete.
Bonomi e Bonometti: la matrioska di Confindustria
Non è mai facile comprendere le dinamiche di un’elezione presidenziale all’interno di Associazioni di Categoria, lobby od organizzazioni politiche ed economiche. Alla base ci sono i naturali interessi, equilibri e bilanci interni, le cordate. Il naturale successore di Boccia sarebbe dovuta essere la sua Vice Presidente Licia Mattioli. Nonostante un pedigree imprenditoriale di tutto rispetto […]
Non è mai facile comprendere le dinamiche di un’elezione presidenziale all’interno di Associazioni di Categoria, lobby od organizzazioni politiche ed economiche. Alla base ci sono i naturali interessi, equilibri e bilanci interni, le cordate.
Il naturale successore di Boccia sarebbe dovuta essere la sua Vice Presidente Licia Mattioli. Nonostante un pedigree imprenditoriale di tutto rispetto e una militanza e fedeltà all’indotto confindustriale, evidentemente non ha valutato a fondo la scala (per così dire) valoriale dei colleghi di Associazione che fino all’ultimo avevano garantito un supporto che non si è palesato al momento della nomina. Mettendola di fatto in minoranza rispetto a Carlo Bonomi, che industriale non è, dal momento che la sua carriera imprenditoriale ruota intorno al suo ruolo di dirigente in Synopo, marchio sconosciuto ai più perché di “industriale” non ha praticamente nulla.
Sul numero dipendenti le voci sono piuttosto discordanti: alcuni giornali di economia indicano un complessivo variabile fra “70 e 100”, il Manifesto ne dichiara 8 (dicasi 8). Linkedin che non è soggetto a pubblicità o pressioni politiche, rivela solo 6 dipendenti registrati alla piattaforma professionale, di cui uno di questi è lo stesso Bonomi.
Chi è Carlo Bonomi
Lo stesso Sole24Ore, strillone di partito, fa molta fatica a delineare un percorso imprenditoriale per il neo Presidente di Confindustria. Di certo sappiamo di una militanza in Assolombarda, lobby influente e rappresentativa soprattutto delle aziende del territorio più critico del nostro Paese, falcidiato dal Coronavirus e dalle indecisioni di una politica regionale che non ha il coraggio di prendere una posizione non conforme ai desiderata dei patròn (nonché portatori di voti) della tante aziende di un territorio industrialmente ricchissimo, di un Presidente di Confindustria Lombardia (Bonometti, un Bonomi più piccolo – sembra uno scherzo!) che fra un finanziamento illecito ed un altro si improvvisa esperto virologo (“Le fabbriche sono sicure, la presenza massiccia di morti nel Bergamasco è dovuta agli allevamenti”) e di una diffusa politica locale che continua a scaricare sul governo centrale colpe e responsabilità anche di decisioni del tutto personali.
Carlo Bonomi arriva in Assolombarda subito dopo gli scandali del Sole 24 Ore ed è un singolare esempio di Presidente con più presenza associativa che imprenditoriale.
In un articolo de gli Stati Generali, è lampante il suo percorso già dai tempi di Assolombarda dove, anche in quel caso, arrivò alla Presidenza avendo la meglio su un imprenditore nel senso concreto del termine, quel Dall’Orto i cui carburatori tutti noi ragazzi degli anni ’60 abbiamo provato quanto meno a modificare (insieme alle marmitte!) sotto i nostri motorini per renderli più veloci. Si disse allora:
Il rinnovo dei vertici di Assolombarda cade perciò in un momento delicato ma anche propizio per una svolta. È il primo importante test degli umori della base, dopo che il caso del Sole 24 Ore ha scosso nelle fondamenta la credibilità delle associazioni. Forse è anche l’occasione per far spazio a energie fresche, capaci di rigenerare l’associazionismo imprenditoriale italiano.
In pratica, Bonomi è a capo di un’azienda del settore medicale, frutto di un giro di acquisizioni da capogiro sostenute con manovre di private equity tanto noiose quanto incomprensibili ai più, ma che possiamo riassumere con quattro righe estratte dall’articolo di cui sopra che delineano perfettamente la solidità dell’impero industriale del neo presidente di Confindustria:
Salendo ancora di un piano, nella compagine della Ocean srl, compare finalmente Bonomi, con una quota del 33,3%, alla pari con altri due soci privati. In sostanza, secondo gli ultimi dati della Camera di Commercio di Milano, il candidato alla presidenza di Assolombarda ha in trasparenza appena il 4,5% dell’azienda che espone sul suo biglietto da visita, la Synopo. Una quota che a monte della piramide societaria corrisponde a un impegno di capitale di soli 31mila euro.
L’uomo di scopo
Tuttavia, è evidente che Confindustria, che con gli ultimi Governi ha perso tanta forza rappresentativa (per non dire che è stata letteralmente messa da parte e da qui le paginate “anti-governative” su Sole24Ore e Corriere della Sera, più tutti gli organi dei partiti di opposizione con un’acredine e una frequenza mai avvenuta prima), in questo momento ha la necessità di affidare le sue sorti ad un panzer che per una volta non si dileggi in cortesie per gli ospiti e sappia rappresentare il carattere spregiudicato dell’Associazione (per chi non se ne fosse ancora accorto). Non potevano trovare qualcuno meglio di chi negli ultimi anni ha fondato la sua ascesa associazionistica sul clima anti – Roma tanto caro agli imprenditori lumbàrd e a criticare ogni singola misura dei Governi di centro – sinistra. Critiche tante, proposte nessuna.
Questo il suo manifesto per il rilancio confindustriale:
«Dobbiamo metterci immediatamente in condizioni operative tali per affrontare con massima chiarezza ed energia la sfida tremenda che è davanti a noi: continuare a portare la posizione di Confindustria su tutti i tavoli necessari rispetto ad una classe politica che mi sembra molto smarrita in questo momento, che non ha idea della strada che deve percorrere il nostro Paese. Non pensavo di sentire più l’ingiuria che le imprese sono indifferenti alla vita dei propri collaboratori. La politica ci ha esposto ad un pregiudizio fortemente anti-industriale che sta tornando in maniera importante in questo Paese», sull’emergenza lockdown. «Sentire certe affermazioni da parte del sindacato mi ha colpito profondamente. Credo che dobbiamo rispondere con assoluta fermezza».
Finalmente qualcuno che non si nasconde dietro alle veline delle newsletter che abbiamo visto rimbalzare nelle redazioni in questi mesi (ma poveretto, Boccia era impegnato a portare i libri in tribunale e fare gabole per salvare la sua azienda in ambasce già dal 2014 nonostante i benefici mutuati dal suo incarico associativo).
Un programma semplice e strategico: attacco al Governo, riqualificazione della reputazione degli imprenditori e via ad un new deal.
È la vittoria del «modello Lombardia» che fra gli industriali è ancora in auge. Non a caso il commento più entusiasta alla notizia è del Presidente della Regione Attilio Fontana: «Il fatto di avere ai vertici di Confindustria un presidente della nostra regione è per tutti noi un motivo di soddisfazione in più, così come proprio l’importante esperienza maturata a Milano gli consentirà di ricoprire questo incarico con quella concretezza tipica dei lombardi».
Che detto da uno dei componenti della triade che ha contribuito a smantellare il “Place to Be” in “Place to Escape” è davvero esilarante.
Ingiurie: tutti gli uomini del Presidente
Ma a proposito delle “ingiurie” citate nel discorso di Bonomi, fra i suoi sponsor fin dai tempi di Assolombarda ci sono i Fratelli Rocca, proprietari della catena di cliniche private Humanitas (finite nell’occhio del fisco nel 2015) quelle per intenderci, a cui Dolce e Gabbana (guarda caso) hanno fatto la milionaria donazione all’inizio dell’emergenza. Ma soprattutto di Tenaris, sede in Lussemburgo e fabbriche nella Bergamasca, 7 miliardi di fatturato, 1700 dipendenti. I fratelli Rocca, all’ottavo posto fra gli uomini più ricchi d’Italia, sono fra i parà delle “fabbriche aperte a tutti i costi” pur non avendo mai chiuso nemmeno un giorno. Nella settimana in cui dichiaravano la messa in sicurezza della loro azienda, totalizzavano il primo morto, il povero Salvatore Occhineri (unico articolo presente su internet è quello di un giornale che si chiama “proletari comunisti“. Per il resto è incredibilmente scomparso da qualsiasi cronaca cittadina). Mentre all’uscita della fabbrica, i cronisti di Report raccoglievano testimonianze di dipendenti a cui è stato fornito il Vetril come disinfettante per le mani e dichiaravano lo scarso uso di mascherine in fabbrica e l’impossibilità di mantenere la distanza sociale tanto in mensa, quanto negli spogliatoi, quanto in produzione.
Poche ore fa il Corriere della Sera che da sempre non manca di narrare le gesta di Bonomi, a ridosso dell’annuncio della nomina (ma sarà certamente un caso anche questo), pubblica un articolo nel quale si mette in discussione la validità del lockdown nelle aziende e la necessità di riaprire subito. Indovinate chi figura fra i luminari di accademie e dipartimenti scientifici che hanno condotto la ricerca? La Humanitas University dei fratelli Rocca.
Ma torniamo alle “ingiurie”. Fra le altre aziende del territorio che avevano già sposato la linea confindustriale di Bonometti (sempre Presidente di Confindustria Lombardia) ci sono: ABB colosso multinazionale con 6000 dipendenti, che si è ritagliata un ruolo da protagonista in questa drammatica situazione per due episodi. Il primo è aver chiesto ai propri dipendenti di organizzare un flash mob in tuta rossa nello stabilimento di Dalmine; il secondo è aver bellamente bypassato il decreto che imponeva la chiusura di attività non necessarie nello stabilimento di Terranuova Bracciolini (Arezzo) dove si costruiscono pannelli solari, in una posizione che richiede spostamenti pendolari giornalieri.
E poi, ancora, Persico e Brembo, altri due colossi per un totale di 7000 dipendenti e 7 miliardi di fatturato, fra coloro che a Report Claudio Cancelli (sindaco di Nembro) e Camillo Bertocchi (di Alzano Lombardo) hanno nominato fra i più attivi nelle pressioni affinché non venisse dichiarata la zona rossa. Saranno anche “ingiurie”, come le chiama Bonomi, ma risultano evidenti due voci contrapposte: quella dei medici e degli operatori sanitari allo stremo che, mai come in quelle aree, stanno implorando affinché si limitino spostamenti quotidiani di persone, laddove le curve di mortalità e di contagio sono tutt’altro che in discesa. E, dall’altra parte la voce degli industriali preoccupati per il PIL.
Il 20 maggio le elezioni
È evidente che se gli industriali sono così unanimamente compatti nel dichiarare il liberi tutti, questo non riguarderà solo i loro operai serrati nelle fabbriche. Dunque, fosse solo per coerenza, non dovrebbe esserci alcun problema ad assembrarsi nell’auditorium di Viale dell’Astronomia per l’ufficializzazione dell’incarico.
A meno che gli industriali non reclutino a Cinecittà – a un tiro di schioppo – delle controfigure ben addestrate e rese irriconoscibili dalle mascherine. Stai a vedere che per una volta Roma Ladrona torna pure comoda.
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