Che Europa è questa? Mentre spopola Clubhouse, Euronews lascia a piedi l’Italia

È il 9 febbraio scorso quando l’Ansa fa un lancio di agenzia inequivocabile: “Euronews, canale leader dell’informazione in Europa con quartier generale a Lione, si è fermato a causa dello sciopero di giornalisti e tecnici dopo mesi di negoziati“. L’AD Michael Peters ha deciso di tagliare personale e strutture per ridurre i costi e l’unico […]

È il 9 febbraio scorso quando l’Ansa fa un lancio di agenzia inequivocabile:Euronews, canale leader dell’informazione in Europa con quartier generale a Lione, si è fermato a causa dello sciopero di giornalisti e tecnici dopo mesi di negoziati“. L’AD Michael Peters ha deciso di tagliare personale e strutture per ridurre i costi e l’unico canale sacrificato sarà quello italiano. La chiusura è prevista a ottobre 2021, resterebbe solo il sito web; tutte le altre redazioni saranno interessate da minimi tagli. Vuol dire, sostanzialmente, che verrebbero graziate Spagna, Germania, Francia, Portogallo, Russia e Gran Bretagna, per quanto anche quest’ultima versi in condizioni non ottimali.

Euronews è il canale di informazione più seguito in Europa: 400 giornalisti e corrispondenti di oltre 30 nazionalità, disponibile h24 e sette giorni su sette in 12 edizioni (inglese, francese, arabo, russo, tedesco, spagnolo, italiano, portoghese, turco, persiano, greco e ungherese). Molti lo definiscono l’unico hub multimediale davvero indipendente, con oltre 400 milioni di utenze in 155 Paesi del mondo: trasmette su web, telefonia mobile, social network, radio, YouTube, Google Glass, Flipboard e sulle principali compagnie aeree, sulle navi da crociera, nelle principali catene internazionali di hotel. L’attuale compagine societaria vede la quota di maggioranza, con un 88%, in capo a Naguib Sawiris (imprenditore e politico egiziano, magnate nel settore internazionale della telefonia: nel 2005 è stato anche Presidente di Wind Italia), il resto è in mano a piccoli investitori comprese alcune tv pubbliche europee.

Dettagliare dove e come lavora Euronews mi sembrava doveroso per rimarcare la perdita a cui andrebbe incontro l’Italia.

Non c’è Europa senza giornalismo indipendente

Mi raggelano due aspetti, di istinto, alla notizia: il primo è il fatto che Euronews sia nata grazie all’Italia – era il 1993 quando fu fondata da Mamma Rai, che oggi detiene una quota proprietaria pari al debole 2,7% secondo la semestrale di giugno 2020 – e che la notizia della chiusura sia invece introvabile tra i nostri media mainstream, impegnati nelle ultime giornate a riempire pagine di carta, web e salotti tv intorno alla figura di un Mario Draghi che ci riporterà sicuramente al centro dell’Europa. Ah sì? Preoccupa allora che non ci si mobiliti all’idea che l’italiano sarebbe l’unico canale europeo di informazione a sparire dopo 28 anni. Euronews era stata creata su volontà di Massimo Fichera, ex vicedirettore generale Rai e vicepresidente dell’Eurovisione: lo scopo era quello di dare una voce indipendente e lontana dai centri di potere all’informazione del vecchio continente, e che soprattutto fosse capace di competere con un canale come la CNN. Al momento l’unica mobilitazione attiva è quella della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana, il sindacato dei giornalisti italiani), che dal sito tuona: “Depotenziare Euronews scelta insensata e grave. Intervenga la Rai. Con l’Usigrai torneremo a sollecitare il vertice di Viale Mazzini perché si attivi per trovare con gli azionisti di maggioranza una soluzione di massima tutela per i lavoratori”. Merita anche ricordare che Presidente del Consiglio di Sorveglianza di Euronews è Paolo Garimberti.

Il secondo aspetto che mi fa tremare è che il giornalismo goda sempre più di pessima salute ai vertici dei grandi gruppi, proprio dove si dovrebbe dare il segnale di un’urgenza visto il momento storico in corso. 

SenzaFiltro chiama, Lione risponde

Grazie a un collega romano attivo subito un contatto diretto sul cellulare francese di un redattore italiano di Euronews che mi risponde stamattina da Lione e chiede di restare anonimo.

“Il bilancio della rete era in rosso da tempo, parliamo di un buco da 20 milioni di euro e da anni sollecitavamo un piano di sviluppo e di investimenti che fosse funzionale a una televisione importante come Euronews. Pensavamo avrebbero attivato fondi di solidarietà per tamponare la situazione non facile o magari una cassa integrazione a rotazione ma certo non immaginavamo che ci prospettassero il licenziamento. Lo abbiamo saputo di punto in bianco. Il 17 novembre scorso c’era stato il contatto con l’AD Michael Peters a cui erano seguiti tavoli tra lui e la nostra equipe italiana. Euronews ha condotto un lavoro straordinario, portando anche quel concetto di soft power in Paesi come la Turchia e l’Iran”.

Perché debba sacrificarsi proprio l’Italia è la seconda domanda che faccio all’intervistato. 

“È incomprensibile anche per noi, soprattutto considerando che il bilancio di Euronews è un bilancio generale che accorpa tutti i Paesi del gruppo e che non esiste un dato disaggregato capace di attribuire all’Italia una responsabilità o un peso più grave di altri”.

Mentre sto per salutarlo, aggiunge: “E sai cosa ci ha detto l’Ad di Euronews? Che il canale italiano gli costa 1 milione e mezzo di euro l’anno, e che se noi giornalisti ci attiviamo per trovare un finanziatore importante italiano riusciamo a salvarlo”.

Interessa più ClubHouse che Euronews?

Mi colpisce che, nei giorni in cui la crisi politica sposta l’attenzione sul ruolo europeo dell’Italia – e a poche ore dalla salita al Colle di un premier come Mario Draghi – la notizia della chiusura di Euronews non interessi l’informazione del nostro Paese, impegnata qua e là a raccontare invece che questi sono i giorni in cui migliaia di italiani iniziano a chiudersi nelle stanze di ClubHouse, il social appena sbarcato anche da noi. Si entra solo su invito esclusivo ma con una modalità talmente ridicola che mi ricorda le finte liste d’ingresso quando si andava a ballare in discoteca negli anni ’90. Al momento l’app è scaricabile solo su iPhone o iPad: la piattaforma è del tutto basata su audio, niente foto, niente post, nudo orecchio e conversazioni di gruppo a tema. Attenzione a non confonderla con un podcast o con la radio: non c’è alcun lavoro editoriale, alcun palinsesto coordinato, zero lavoro editoriale, nessuna post-produzione, i filtri non esistono. La Cina lo ha già bannato perché gli utenti lo utilizzavano per discutere di questioni evidentemente poco gradite alle autorità mentre da noi è di ieri la notizia che il Garante Privacy ha già inoltrato una severa richiesta di chiarimento ad Alpha Exploration, la società che gestisce il social. In sintesi il Garante contesta tre punti: al social manca l’informativa GDPR nel raccogliere le informazioni personali, manca una base giuridica che spieghi come vengono trattati alcuni dati (un paio di esempi su tutti: la profilazione delle preferenze dell’utente o la conservazione temporanea delle registrazioni) ma, soprattutto, manca un rappresentante europeo ai sensi dell’art.27 del GDPR. TikTok si è fatta la sua rappresentanza in Irlanda, ClubHouse niente. Cosa comporta? Comporta che una simile carenza incide sulla possibilità di procedere nei confronti dell’app: può agire qualsiasi Garante europeo negando un ruolo capofila.

La parola Europa che riecheggia.

I social network stanno rubando all’informazione un ruolo epocale: l’attenzione dei cittadini e delle istituzioni, oltre che dei media stessi. E l’informazione se lo fa rubare passivamente. I social spostano ormai economie immense che il giornalismo, almeno quello italiano, non sa più nemmeno rincorrere. Non c’è giorno in cui non mi venga da cogliere che i social network stanno illudendo le persone che trascorrere ore con loro equivalga ad informarsi, sapere, conoscere ciò che accade. La stessa illusione dell’esclusività su ClubHouse, dove tutti parlano di tutto mentre scende un raggelante silenzio sul giornalismo italiano in Europa.

Foto di copertina: @Euronews, la sede della redazione a Lione.

CONDIVIDI

Leggi anche

Il brand di Expo è migliore della sua comunicazione

Esiste una grande teoria negli assetti strategici che si chiama “the golden circle” alla base della quale ci sono tre grandi cerchi, tre domande che dovrebbero essere alla base di ogni strategia: Cosa (fai), Come (lo fai), Perché (lo fai). Nella comunicazione dell’Expo, se alla prima delle due domande si è provato a dare una risposta, la […]