Chi lascia la via vecchia per la social

L’idea della social street ha origine a Bologna dal gruppo residenti in via Fondazza. Federico Bastiani, tra i fondatori con Luigi Nardacchione, ne spiega il volto post pandemico e l’idea di base, che non cambia: “Vogliamo cercare di sentirci a casa anche in strada”.

Dal virtuale al reale al virtuoso.

Questo è sempre stato il nostro slogan, ma di reale negli ultimi anni si è potuto fare ben poco. E ultimamente mi hanno chiesto spesso come la social street di via Fondazza (creata insieme a Luigi Nardacchione) avesse reagito alla pandemia, e quali fossero i nostri progetti per il futuro.

La realtà è che le social street, la nostra come molte altre, hanno dovuto per forza di cose rivedere il modello, ma non hanno cambiato la loro natura. Durante il lockdown siamo tornati a essere molto presenti sul virtuale e quindi su Facebook, un po’ come nelle fasi iniziali dove l’incontro, la relazione e lo scambio di informazioni rimaneva sul web.

Ovviamente ci è mancato il contatto fisico, ma noi “fondazziani” eravamo già ben strutturati e ci siamo riadattati condividendo i problemi e cercando risposte utili. E non siamo stati gli unici. Ad esempio in una social street di Milano una signora che aveva il terrazzo sopra il supermercato
avvisava tutti quelli della strada sugli orari migliori per fare la spesa, senza fare delle file eterne. Oppure ricordo che in un condominio, in occasione del compleanno di un bambino, le famiglie gli hanno consegnato i regali attraverso un cestino e una carrucola che passava di terrazzo in terrazzo. Questa carrucola andava su e giù per il palazzo e lo scambio degli oggetti avveniva senza avere contatti pericolosi. Sono piccole cose, ma in quei momenti aiutano moltissimo, ti fanno sentire parte di una comunità che si aiuta con piccoli gesti, e questo deve essere lo spirito delle social street.

Condivisione e senso di comunità: l’origine e il fine delle social street

Negli anni siamo stati contattati da rappresentanti politici, imprenditori, istituzioni e persino banche del tempo. Volevano offrirci non solo sponsorizzazioni, ma anche agevolazioni strutturali, ma noi abbiamo sempre rifiutato per non dare alla social street una connotazione politica o religiosa, per non lasciare fuori nessuno.

Le social street nascono in origine per ricreare un senso di comunità; poi spesso vanno oltre e organizzano gruppi di acquisto solidale e feste di strada, ma in realtà per natura nascono dalle piccole cose. Il cuore del progetto sono i piccoli scambi mirati alla conoscenza e a raggiungere quella sensazione di far parte di un gruppo. Per questo i suoi punti di forza, almeno per noi di via Fondazza, sono la gratuità, l’inclusione e la socialità.

Il segreto di una social street che funziona è la semplicità, il fatto che non richiede un impegno strutturato: uno può partecipare a seconda del tempo che ha, della voglia che ha di condividere.

Ci sono momenti della vita in cui, per esempio, non si è portati a condividere, e qui non c’è nessun obbligo. Però si innesca un circolo virtuoso che, a prescindere dall’impegno dei fondatori, poi prosegue in autonomia.

Come ti gestisco la strada: fondatori e moderatori

L’impegno dei fondatori deve essere quello di controllare chi, anche in buona fede, vede il gruppo come una vetrina per incrementare la propria attività. Ecco, in quel caso è giusto ripristinare l’ordine, ma ad esempio in via Fondazza gli interventi di questo genere sono ridotti al minimo perché non ce n’è bisogno. Chi è nel gruppo vede come si comportano gli altri e l’atteggiamento di condivisione non commerciale è abbastanza naturale. I disturbatori di turno, le male parole, non compaiono più. Ogni tanto qualcuno esprime frustrazione per via di qualche serata troppo rumorosa, ma si cerca sempre di intervenire in maniera educata e civile.

Il tessuto socioeconomico della strada conta tanto e in effetti la maggior parte delle social street nasce in quartieri dove c’è un tessuto sociale buono, dove è più semplice conoscersi. Anche la presenza cospicua di persone non originarie del posto conta parecchio: a Milano per esempio ce ne sono tantissime perché c’è una massiccia presenza di persone che dal Sud si spostano al Nord per lavorare, e vogliono socializzare. Per farle funzionare ci vuole un po’ di impegno, soprattutto all’inizio: bisogna far capire le regole, i principi, gli obiettivi.

È necessario moderare il gruppo, serve conoscere gli abitanti e le loro passioni. Ad esempio quando in via Fondazza abbiamo scoperto che c’erano diversi musicisti abbiamo organizzato dei concerti. Non posso dimenticare poi il loro contributo alla Festa della Liberazione del 25 aprile 2020. Eravamo in pieno lockdown, non potevamo scendere in strada come tutti gli anni a festeggiare, ma loro hanno trovato il modo di cambiare il volto di quella giornata. Si sono messi d’accordo per suonare tutti insieme a un orario preciso e con le finestre aperte. È stata un’emozione fortissima.

Da via Fondazza al mondo attraverso il New York Times

La spinta iniziale quindi serve, a meno che non si voglia tenere il gruppo a un livello soltanto virtuale. Ma sono in molti a voler fare il passo nel reale, e ci sono state anche esperienze molto significative in questo senso.

Ad esempio in San Gottardo Meda alcune persone hanno fatto veri e propri corsi di formazione agli anziani per gestire la pagina Facebook, cercando di coinvolgerli in maniera attiva e facendogli superare le difficoltà di connessione e dell’utilizzo dello strumento. Poi ci sono state bellissime esperienze di orti condivisi e tante piccole storie che possono essere facilmente replicate.

Quando il caso di via Fondazza uscì sul New York Times, nel 2015, ha creato un po’ di trend in giro per il mondo. Alcune di quelle social street sono ancora molto attive, ad esempio in nuova Zelanda, in Brasile e negli Stati Uniti. Abbiamo avuto un’eco straordinaria, ma quando mi chiedono che progetti abbiamo per il futuro io rispondo sempre: nessuno. Ci basta stare come stiamo e vivere ogni giorno la nostra strada. Questo era il messaggio che abbiamo voluto dare nel 2013, quando abbiamo iniziato, e oggi rimane lo stesso.

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