COVID-19: proteggiamo solo i raccolti o anche i braccianti?

Si continua a lavorare nei campi, a raccogliere la frutta e la verdura made in Italy che serve a rifornire i supermercati e garantire da mangiare a tutte le persone che in queste settimane si trovano in quarantena nelle loro case. Di casa escono, invece, agricoltori e braccianti, come prevedono i decreti della Presidenza del […]

Si continua a lavorare nei campi, a raccogliere la frutta e la verdura made in Italy che serve a rifornire i supermercati e garantire da mangiare a tutte le persone che in queste settimane si trovano in quarantena nelle loro case. Di casa escono, invece, agricoltori e braccianti, come prevedono i decreti della Presidenza del Consiglio, ma il problema è che in alcuni casi la sicurezza e la tutela della salute sono solo utopie. Soprattutto per le migliaia di braccianti che si trovano negli insediamenti informali delle aree della raccolta, dalla piana di Gioia Tauro in Calabria alla Capitanata in Puglia.

Sebbene per ora il numero di contagi in quelle zone sia limitato, è grande la preoccupazione di enti e associazioni che lavorano sui territori: se il coronavirus dovesse arrivare negli insediamenti informali di San Ferdinando o Borgo Mezzanone, fermarne la diffusione sarebbe quasi impossibile. Cascine abbandonate, campi e tendopoli si trasformerebbero in fonti di diffusione del COVID-19. Da qui un primo appello del segretario generale della Flai Cgil, Giovanni Mininni, che già lo scorso 19 marzo si rivolgeva ai ministri Speranza, Catalfo e Bellanova chiedendo di intervenire subito per evitare che i ghetti diventino focolai.

“Tutto si svolge come se nulla stesse succedendo”, aggiunge Mininni durante la conferenza stampa fatta in diretta Facebook, che racconta di come i furgoni dei caporali che portano i braccianti nei campi continuino a essere stipati e, di fatto, si continui a lavorare la terra. Il segretario nazionale di categoria racconta: “Sentivamo ripetere ‘lavatevi spesso le mani’ e ‘restate chiusi in casa’. Conoscendo bene negli insediamenti informali, ci siamo chiesti: come fanno a lavarsi le mani persone che non hanno l’acqua? Come fanno a chiudersi in casa, se la casa è rappresentata nella migliore delle ipotesi da tende o container, ma molto spesso da baracche di cartone o plastica?”

Sono circa 4.000 i braccianti agricoli che, in Calabria e in Puglia, abitano insediamenti privi delle minime condizioni igieniche e di decenza, e molto spesso lavorano nei campi senza i dispositivi di tutela della propria salute che questa emergenza richiede. Un problema che si intreccia con la difficoltà di attivare un sistema di accoglienza efficace: molti dei braccianti migranti, compresi quelli regolari, non hanno, per esempio, il medico di base.

Alcune prime misure sono state prese dal governo. Il Ministero dell’Interno ha infatti disposto una circolare che prevede che tutti i permessi di soggiorno in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile vengano prorogati fino al 15 giugno, permettendo ai braccianti interessati di continuare a lavorare. Ma è ancora molto delicata la questione della salute, come sottolinea la Ministra all’Agricoltura Teresa Bellanova.

 

Puglia, la corsa contro il tempo per portare la sicurezza a Borgo Mezzanone

Nel frattempo, in Puglia come in Calabria sul territorio ci sono enti locali, ASL, prefetture, sindacati di categoria e associazioni che lavorano per garantire la salute dei braccianti, in particolare nel foggiano. Qui nella notte tra sabato 28 e domenica 29 marzo c’è stato anche un incendio che ha polverizzato trenta baracche fatiscenti dove vivono molti migranti. Non ci sono feriti e il rogo, secondo le prime verifiche delle autorità, ha natura accidentale, ma è un elemento in più che preoccupa.

Non è la prima volta che accade un incidente del genere negli insediamenti informali, sia in Puglia che in Calabria, e sono diversi i braccianti che hanno perso la vita così. Gran Ghetto di Rignano, Pista di Borgo Mezzanone, i casolari sparsi nelle campagne di Palmori, Poggio Imperiale e Contrada Cicerone: attualmente negli otto “ghettidella Capitanata, nel foggiano, vivono 2.400 persone, ci racconta Intersos, che dal 2018 opera sul territorio con degli ambulatori mobili.

L’ONG sottolinea l’urgenza con cui è necessario intervenire affinché sia possibile tutelare la salute di queste persone. Insieme alla Regione Puglia, alla prefettura e alla ASL di Foggia si sta lavorando in tal senso: l’Azienda Sanitaria si sta occupando del monitoraggio di uno degli insediamenti, mentre negli altri sette sono operative due unità mobili di Intersos con tre medici e quattro mediatori culturali. Alessandro Verona, coordinatore medico Unità Migrazioni di Intersos, racconta che si occupano di informazione, prevenzione e screening per tenere sotto controllo la situazione sanitaria e individuare precocemente un eventuale caso di positività al COVID-19 – al momento non ancora registrato.

Tra i braccianti, come evidenziato anche dal rapporto di Medici per i Diritti Umani La cattiva Stagione, ci sono persone con gravi patologie non trattate, spesso di tipo respiratorio, trascurate per motivi psicologici, sociali, linguistici e personali. I team, equipaggiati con i dispositivi di sicurezza, stanno lavorando per informarli e raggiungerli. “La priorità però – sottolinea il medico – è la riallocazione delle persone in unità abitative salubri e piccole, in modo tale che possano vivere in condizioni in cui sia possibile rispettare le distanze di sicurezza e rispettare le misure di prevenzione. L’importante è che qualsiasi alternativa sia per tutelare la popolazione, non possiamo pensare di stipare le persone in grandi centri. La cura diventerebbe peggio della patologia”.

Una misura estesa a tutte le situazioni di criticità d’Italia e sicuramente complessa da realizzare in tempi brevi. Per questo intanto Intersos sta lavorando, sempre insieme alla Regione Puglia, per portare l’acqua potabile dove non c’è e migliorare la situazione dei servizi igienici, fornire kit di detergenti e disinfettanti, rimuovere i rifiuti. “La richiesta di acqua corrente negli insediamenti informali è da sempre una nostra richiesta”, ci spiega Intersos. “Adesso, vista anche l’urgenza dettata dall’emergenza, la Regione Puglia si è impegnata a portarla nel più breve tempo possibile. Così come è stato per la raccolta dei rifiuti, che è in questi giorni è cominciata”.

 

Calabria, a Rosarno cresce la preoccupazione

L’emergenza COVID-19 e le ordinanze del governo sono arrivate in un periodo critico per i braccianti qui in Calabria”, spiega Ilaria Zambelli di Medici per i Diritti Umani, che con il progetto “Terragiusta” opera da dieci anni offrendo supporto sanitario e legale ai braccianti nella piana di Gioia Tauro. La raccolta degli agrumi nella zona, ci racconta, sta per concludersi: alcuni braccianti si stavano già spostando altrove in cerca di lavoro, altri si ritrovano bloccati tra San Ferdinando, Rosarno e gli altri centri della zona. La stima di Mediterranean Hope, programma per migranti e rifugiati della Federazione delle Chiese evangeliche, è che, attualmente, siano circa 1.200 le persone che vivono in condizioni insalubri.

Ilaria ci racconta che oggi, “nella tendopoli di San Ferdinando, gestita dalla prefettura, ci sono 400 braccianti di origine straniera che hanno accesso ai punti acqua e a delle docce, ma non è detto si possa rispettare la distanza di isolamento dal momento che più persone dormono in ogni tenda. A essi se ne aggiungono altrettanti, e anche di più, che abitano in casolari isolati e altri insediamenti informali”. La situazione più grave (come conferma anche una lettera inviata da MEDU e da Mediterranean Hope al Dirigente Generale del Dipartimento Tutela Salute – Politiche Sanitarie della Regione Calabria, Antonio Belcastro, e alla presidente della Regione Calabria Jole Santelli) è quella di Taurianova, dove in alcuni casolari vivono persone senza accesso all’acqua né all’elettricità. “Se pensiamo – commenta Zambelli – che una delle prime raccomandazioni contro il coronavirus è di lavarsi spesso le mani, capiamo quanto potrebbe essere drammatico l’arrivo del virus in queste aree”.

Agricoltura e COVID-19: un bracciante extracomunitario visitato da un medico volontario
Un medico di Intersos Photo@MartinaMartelloni

 

La clinica mobile di Medici per i Diritti Umani, che offriva un supporto sanitario gratuito nella prossimità degli insediamenti, ha dovuto interrompere le sue attività. Era diventato impossibile garantire la sicurezza per gli operatori sanitari. Tuttavia, la ONG ha promosso e attivato un’iniziativa di “triage telefonico”: chi dovesse aver bisogno di un consiglio sanitario può chiamare i numeri messi a disposizione dalla ONG e parlare con i suoi medici e mediatori. “Insieme con le altre realtà del territorio, abbiamo distribuito termometri per misurare la temperatura corporea e disinfettanti; abbiamo provato a spiegare le conseguenze dei decreti e il perché non ci si possa, per ora, muovere dalla piana. Il problema più grosso, però, è che la maggior parte dei braccianti che vive in queste condizioni non ha il medico di base e l’accesso alla sanità è tutto fuorché garantito”.

Se si dovesse ammalare qualcuno che vive in queste condizioni, senza riscaldamento né acqua corrente, potrebbe non avere modo di farsi curare in tempo e proteggere gli altri, continua la referente del progetto per MEDU. “Vediamo che già normalmente le infezioni respiratorie ordinarie hanno decorsi più lunghi per chi vive in condizioni di marginalità; temiamo molto per quello che potrebbe accadere con il COVID-19.”

 

L’appello delle associazioni: “Agire subito per evitare che i ghetti diventino focolai della pandemia”

In una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ai Ministri dell’Agricoltura, del Lavoro, dell’Interno, della Salute e del Sud, i rappresentanti sindacali e le organizzazioni del terzo settore esprimono “profonda inquietudine e sentimenti di estrema preoccupazione per le migliaia di lavoratori stranieri che abitano nei tanti ghetti e accampamenti di fortuna sorti nel nostro Paese”.

Un appello condiviso che chiede, con urgenza, delle azioni adeguate per scongiurare che le aree dove vivono alcuni dei braccianti impiegati nell’agricoltura si trasformino in focolai della malattia. Nella lettera, che nasce da un’iniziativa dell’associazione Terra! con la Flai Cgil e vede tra i firmatari Oxfam, Da Sud, A Buon Diritto, Magistratura democratica e l’associazione Libera di don Ciotti, si legge che “le condizioni dei braccianti che oggi raccolgono i prodotti destinati alle nostre tavole sono spesso inaccettabili: le baraccopoli in cui sono costretti a vivere sono luoghi insalubri e indecenti, agli antipodi del valore stesso dei diritti umani. Il rischio che il COVID-19 arrivi in quegli aggregati, tramutandoli in focolai della pandemia, e motivo di fondata apprensione. Nella miseria dei ghetti, la cui ubicazione si incardina sempre nei distretti a forte vocazione agricola, il quotidiano degli immigrati e scandito da immutata cadenza nonostante la spada di Damocle rappresentata dal COVID-19”.

Si richiede, infine, una regolarizzazione dei braccianti che si trovano in condizione di irregolarità. Come denunciato anche da Coldiretti, una parte dei raccolti è a rischio per la mancanza di braccianti a causa del coronavirus. Le associazioni e i sindacati, dal canto loro, sottolineano come questo vuoto potrebbe essere colmato dai lavoratori che già si trovano sul territorio italiano, ma che non possono muoversi per timore di essere fermati ai posti di blocco. “Sarebbe una misura di equità e di salvaguardia dell’interesse nazionale – si legge ancora nella lettera – in questa difficile fase in cui un eventuale pregiudizio all’agricoltura, nella sua funzione tutelare della sicurezza alimentare della comunità nazionale, sarebbe drammaticamente deleterio”.

 

 

Foto di copertina by MEDU

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