“Contratti rinnovati in ritardo e 25 centesimi all’ora di premio per il COVID-19”: un farmacista su due pensa di cambiare lavoro, e chi sceglie di fare il freelance giura di guadagnare il doppio lavorando la metà. Ne parliamo con Lino Gorrasi (CONASFA), Francesco Imperadrice (SINASFA) e professionisti del settore
Se stai male ti do il resto: al SSN servono 15 miliardi
Il diciannovesimo rapporto C.R.E.A. Sanità parla chiaro: servono stanziamenti importanti per riportare il Sistema sanitario nazionale in pari con gli altri Paesi UE. Nel frattempo la spesa sanitaria privata supera i 40 miliardi di euro, e il personale scappa all’estero
Una volta fiore all’occhiello e motivo di vanto per il nostro Paese, oggi il Sistema sanitario nazionale (SSN) versa in una situazione critica. A testimoniarlo il diciannovesimo rapporto C.R.E.A. Sanità (Centro per la Ricerca Economica Applicata alla Sanità), presentato mercoledì 24 gennaio al CNEL di Roma e intitolato Il futuro (incerto) del SSN, fra compatibilità macro-economiche e urgenze di riprogrammazione.
A quanto emerge dal report, l’Italia, rispetto ai principali partner UE, investe meno in sanità: il livello della spesa italiana è distante dalla media UE del 32%. Al SSN servirebbero ben 15 miliardi di euro per portare la quota di PIL destinata alla sanità sui valori attesi in base alle effettive disponibilità del Paese, che deve fare i conti con gli interessi molto alti sul debito (il 4,3% del PIL, contro una media dell’1,8% negli altri Paesi UE). Se anche l’investimento avvenisse, però, dicono gli autori della ricerca, questo non basterebbe a colmare il rilevante gap esistente tra la spesa sanitaria italiana e quella degli altri Paesi UE.
Il rapporto del C.R.E.A. Sanità si concentra anche su altri aspetti della sanità italiana: la spesa privata, il finanziamento, le condizioni di lavoro del personale e la situazione del settore sociosanitario, la governance della spesa farmaceutica, le tariffe per la specialistica e l’equità del sistema. A questi approfondimenti si affianca l’analisi di alcuni indicatori a livello regionale e la proposta di una serie di suggerimenti (definiti “opportunità”) per risollevare le sorti del SSN.
Rapporto C.R.E.A. Sanità: la spesa privata supera i 40 miliardi
“Anno dopo anno è sempre più difficile interpretare l’andamento della sanità italiana” afferma Federico Spandonaro, professore aggregato presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e presidente del comitato scientifico di C.R.E.A. Sanità. “I dati disponibili sono sempre meno e di bassa qualità, mentre il dibattito sul tema resta impantanato sul terreno politico. Sarebbe invece doveroso trovare tutti insieme una sorta di pace sociale per superare le sfide e i problemi che deve affrontare il SSN. Il vero problema di questo Paese – aggiunge – è l’assenza di una crescita sostenuta del PIL: in questo modo è molto difficile tenere in piedi il sistema”.
In Italia il settore pubblico finanzia il 75,5% del fabbisogno sanitario; il restante 24,5% è coperto da spese private delle famiglie, con una quota molto elevata (circa il 90%) di spesa privata out of pocket (ossia senza coperture di tipo assicurativo). Secondo l’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) si tratta di una delle quote di finanziamento pubblico tra le più basse in Europa, dove in media supera l’80% della spesa.
E se la spesa sanitaria pubblica crolla, viceversa quella privata aumenta: nel 2022, ha raggiunto infatti i 40,1 miliardi di euro, in crescita dello 0,6% medio annuo nell’ultimo quinquennio. L’incremento si è registrato in tutte le Regioni (+5,0% di media). A guidare la classifica il Trentino-Alto Adige (21%) e la Lombardia (19,7%), a chiuderla la Sicilia, che ha quota più bassa di spesa privata (1,0%) tra le Regioni italiane. In media, le famiglie italiane spendono privatamente 1.289,7 euro l’anno per la sanità (+9% rispetto al 2020).
Non tutti, però, possono permettersi di sostenere queste spese, mentre chi vi è costretto per motivi di salute si ritrova a vivere condizioni di forte disagio economico, legato ai consumi sanitari, che nel 2021 ha afflitto il 6,1% dei nuclei famigliari, ossia 1,58 milioni di famiglie. Un fenomeno in crescita del +1,5% rispetto al 2019, con un’incidenza superiore al Sud (8,2%) rispetto al Nord.
Lavorare nella sanità non attrae più: il personale fugge da stress e stipendi bassi
Se i pazienti e i cittadini sono in sofferenza, il personale sanitario non se la passa meglio.
Tra il 2003 e il 2021, il numero di medici per 1.000 abitanti over 75 è passato da 42,3 a 34,6 (corrispondente a un gap di 54.018 unità), mentre il numero di infermieri da 61,0 a 52,3 (per un gap pari a 60.950 unità). Il rapporto spiega che i professionisti escono dal sistema soprattutto per cambiare lavoro, andare all’estero o in pensione, mentre le possibilità di ricambio generazionale sono condizionate dal numero di posti limitati messi al bando negli atenei.
A questi problemi si somma la perdita di attrazione di queste professioni, come testimoniato da Paolo Misericordia, responsabile del centro studi di FIMMG (Federazione italiana Medici di Medicina Generale) e da Maurizio Zega, presidente di FNOPI (Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche), che parla di un calo di iscrizioni al corso di laurea in Infermieristica del 10% nell’ultimo anno (che sale al 15% nel Lazio). A incidere su questo cambio di prospettiva sono in particolare lo stress elevato, la carenza di organico, la percezione di lavorare in un contesto non favorevole e, soprattutto, l’aspetto economico: i professionisti richiedono infatti un aumento della retribuzione compreso tra il 20 e il 40% in più.
Il rapporto sottolinea, inoltre, una forte carenza di assistenti alle cure, in primis i cosiddetti OSS (Operatori Socio Sanitari), che operano sia in contesto residenziale che domiciliare. Per queste figure l’Italia, se si esclude l’esercito di badanti (non professionali) costituito, tra regolari e irregolari, da circa 880.000 persone, conta solo 86,4 assistenti per 1.000 abitanti over 75, contro i 114,6 della Spagna, i 175,8 della Francia e i 211,1 del Regno Unito.
Un quadro, quello emerso dall’ultimo rapporto C.R.E.A., che mette in risalto forti criticità e seri interrogativi sul futuro del SSN, istituito nell’ormai lontano 1978 e diventato oggi qualcosa di molto diverso da com’era stato immaginato in origine. A minacciare la sua sostenibilità e la sua stabilità ci sono anche le profonde differenze regionali – cristallizzate e accresciutesi da quando la competenza sanitaria è stata delegata alle Regioni – e appunto la carenza di personale, che è sempre più disaffezionato al settore o scappa in Paesi con opportunità migliori.
Diverse le proposte e le riflessioni in merito presentate durante il dibattito al CNEL. Tra gli altri Achille Iachino, a capo della Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del ministero della Salute, ha dichiarato sarebbe opportuno “riesumare l’idea del Piano Sanitario Nazionale, ossia quel documento programmatico che mette al centro l’operato del SSN, che controlla e vigila su tutto dall’alto, ma non in maniera autoritaria, per concordare innanzitutto principi di equità distributiva e stabilire modelli di governance e di performance delle Regioni”.
Photo credits: ilparagone.it
Leggi anche
Le testimonianze di alcuni operatori socio sanitari aprono uno spaccato disturbante su una categoria tanto necessaria quanto data per scontata.
Siamo l’Italia del fallimento della sanità pubblica, l’Italia della sanità privata arrogante sulla nostra pelle e sulle nostre tasche: di questo ci siamo ammalati negli ultimi decenni. E allora la politica non poteva e non doveva perdere l’occasione di tentare una riforma, mentre siamo ancora con le mani in pasta dentro una pandemia dalla coda […]