Dagli abusi al successo: la figlia prodiga ha fatto carriera

Una famiglia raccapricciante, una figlia che ce l’ha fatta. La storia che si cela dietro la facciata di una professionista in carriera è un romanzo, che abbiamo recensito: “La ragazza A”, di Abigail Dean.

E io, al suo posto, cosa avrei fatto?

È la domanda, per nulla banale, che ho avuto in testa per tutta la lettura di La ragazza A di Abigail Dean, bestseller internazionale pubblicato in Italia da Einaudi nella traduzione di Manuela Francescon e con l’entusiasmo di un fan eccellente come Niccolò Ammaniti, che nella fascetta di copertina avverte: “Provate a smettere e ditemi se ci riuscite”.

È proprio così: La ragazza A si legge con la stessa curiosità con cui si aspettano nuovi dettagli sul caso di cronaca nera del momento, la stessa morbosità con cui si guarda alla scena di un incidente stradale appena avvenuto in autostrada. Vorremmo saperne ancora di più sull’infanzia degli orrori passata da Lex, la voce narrante, conosciuta e incasellata come la “ragazza A” dagli agenti di polizia e dagli organi di informazione che si sono tuffati a bomba su una storiaccia come questa; vorremmo capire se si può davvero sopravvivere a un’esperienza del genere e, come Lex, diventare la testimonianza vivente di quello che oggi ci piace tanto chiamare “resilienza”.

La ragazza A e la sua famiglia degli orrori

Della numerosa famiglia Gracie – Padre, Madre e sei figli – Lex è quella che è riuscita a scappare, l’unica che potesse farcela. È riuscita a trovare il momento buono per fuggire in strada e implorare l’aiuto di un passante, a resistere ai soprusi e alle devastanti angherie di due genitori per cui si fatica a trovare gli aggettivi.

Raggelante è l’atteggiamento del Padre un po’ padrone e un po’ santone, che rifiuta di fare i conti con i suoi fallimenti e riversa secchiate di mediocrità e teorie pseudoreligiose sulla caterva di figli che continua a sfornare il ventre di Madre, moglie remissiva e docile che ha la consistenza di un vecchio cencio abbandonato in un cassetto.

A casa Gracie gli orologi e i libri sono vietati (eccetto la Bibbia, naturalmente), le botte frequenti, a scuola non ci si va più e tantomeno in ospedale – chissà che ti fanno. Si passa dal periodo dei Legacci Morbidi al periodo delle Catene, si perde il conto dei giorni, si mangia a stento e ci si lava ancora meno. Si perde progressivamente contatto con la realtà e con il proprio corpo.

La controversa rinascita della protagonista

Il racconto in prima persona di Lex procede a scatti, divisa com’è tra il bisogno di testimoniare gli orrori subiti e la necessità di mostrare ciò che è diventata oggi: una professionista di successo (però drogata di superlavoro), con due amorevoli genitori adottivi che può finalmente chiamare Mamma e Papà (e non Madre e Padre, come chiama per tutto il libro i genitori biologici), e con un rapporto con gli uomini su cui ci sarebbe molto da dire.

Lex è considerata da tutti – e in particolare dalla dottoressa K., la psicoterapeuta che l’ha assistita fin dall’inizio – un esempio di successo e rinascita, un caso clinico ben gestito, una sopravvissuta che ora può camminare con le sue gambe.

Lo è davvero? Questa è un’altra domanda che vi tormenterà. Sappiatelo.

Perché leggere La ragazza A

La ragazza A è molto più di un catalogo degli orrori ispirato a svariati fatti di cronaca avvenuti negli Stati Uniti.

L’autrice Abigail Dean, avvocata nella squadra legale di Google e scrittrice esordiente, ha dichiarato di aver voluto concentrarsi non tanto sugli abusi subiti dai fratelli Gracie, quanto su “ciò che succede quando gli incubi della tua infanzia ti seguono nell’età adulta”.

Che Lex sia riuscita a scappare lo scopriamo subito, così come sappiamo della fine di Padre e della morte in carcere di Madre: non ci resta che scoprire il ruolo giocato dagli altri fratelli ai tempi della reclusione forzata, e se oggi possono davvero dirsi al sicuro da tanto dolore.

Eccoci quindi a palpitare per la sorte della bellissima e fragile Evie, la sorellina preferita di Lex, da difendere a tutti i costi; ad alzare il sopracciglio davanti ai comportamenti ambigui di Ethan, che oggi tiene conferenze su come sopravvivere all’orrore e sembra aver trovato un modo (molto discutibile) per monetizzare le tante brutture del passato; a chiederci che ne sarà di Gabriel, il più indifeso, il più manipolato e manipolabile dei figli, forse mai davvero uscito da quella casa; a indignarci per il comportamento di Delilah, che dice di aver raggiunto la trascendenza, qualunque cosa significhi, e al processo giustifica, discolpa e addirittura perdona i suoi aguzzini; a rallegrarci per la sorte di Noah, che per ragioni anagrafiche non ricorda nulla della sua primissima infanzia e vive nella sua nuova famiglia adottiva ignaro di tutto.

E dunque, io cosa avrei fatto al posto di Lex? Sarei stata l’unica ragazza in grado di fuggire, o avrei accettato passivamente il mio destino come sembra aver fatto Delilah? Avrei trovato un modo per combattere le assurde convinzioni di Padre e dare una scrollata all’assurda remissività di Madre? Comunque la si pensi, c’è il rischio di sentirsi impotenti leggendo questo libro: vale la pena di correrlo.

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