Dalla Siria all’Italia: “Ho tre lauree, sono giornalista, faccio la barista”

Dalla Siria ha girato il mondo e ora gestisce una caffetteria-pasticceria a Milano, luogo aperto al dialogo e all’integrazione. Fayza Ismaeil, 30 anni, è sempre sorridente e vitale mentre lavora, fra dolci tipici siriani, torte e caffè. Tre lauree, giornalista e scrittrice, la sua storia dimostra tutta la volontà di una ragazza che non si […]

Dalla Siria ha girato il mondo e ora gestisce una caffetteria-pasticceria a Milano, luogo aperto al dialogo e all’integrazione. Fayza Ismaeil, 30 anni, è sempre sorridente e vitale mentre lavora, fra dolci tipici siriani, torte e caffè. Tre lauree, giornalista e scrittrice, la sua storia dimostra tutta la volontà di una ragazza che non si è mai arresa.

La fuga dalla Siria e il giro per il mondo

“Ho lavorato tutta la vita come giornalista”, racconta Fayza. “Dopo che è iniziata la guerra siriana, da giornalista vera e che racconta la verità, ho scritto un articolo contro il governo e sono dovuta scappare”.

Fayza inizia a girare per il mondo, cercando di avere visti per l’Europa e rincominciando ogni volta dall’inizio: Libano, Turchia, Malesia, persino la Cina, dove la giovane scrittrice ha alcuni parenti. “In Cina l’accesso a Internet è chiuso, ma il mio lavoro era in rete. Faticavo a comunicare, era come se fossi da sola in mezzo a miliardi di persone. Dopo mesi ho iniziato a parlare cinese. Ho dovuto”.

L’arrivo a Milano e la svolta

Fayza è anche autrice di poesie, e sui social conosce proprio Medhat Moussa, persona che per lei sarà fondamentale al suo arrivo in Italia, nel 2014. “Moussa per me è come un padre – racconta Fayza – quando sono riuscita ad arrivare in Italia gli ho fatto una sorpresa”.

Arrivata a Milano, Fayza all’inizio non ha vita facile: perde il passaporto, si ritrova senza documenti e senza conoscere l’italiano. Per fortuna riesce a farsi rifare i documenti e a ottenere l’asilo politico. “Per molto tempo non ho voluto uscire. Il mio computer l’avevo lasciato in Cina e quindi, utilizzando il telefono, ho scritto due libri (Farah, femminilità di carta e Mille messaggi d’amore per una stupida donna, N.d.R.). Poi ho iniziato a lavorare nel locale di Moussa”.

Qui Fayza lavora in laboratorio e poi fra i clienti. Per lei è la svolta: impara bene l’italiano, impara a fare dolci e a fare bene il caffè, al punto da crearne diversi personalizzati. Nel frattempo scrive anche il suo primo libro in inglese, già pubblicato da una casa editrice di Londra.

Il messaggio: “La Terra è di tutte le nazionalità”

Con Moussa crea l’associazione Sawa Onlus, di cui è la vicedirettrice. Anche lei – come tanti – ha dovuto affrontare i pregiudizi delle persone.

“Negli ultimi anni in Italia l’idea di migrante è diventata troppo brutta e negativa. Molti li associano a chi non ha niente da fare. Io stessa mi sono sentita dire di tornare al mio Paese. Ma quale Paese? Che cosa vuol dire straniero? Ci si sente anche dire che si hanno figli laureati senza lavoro mentre gli stranieri lavorano. Io sono entrata da regolare, la mia strada l’ho trovata da sola. Qui all’inizio è stato difficile, non conoscevo nessuno. Ho tre lauree, sono giornalista e faccio la barista. Di esempi positivi potrei portarne tantissimi”, continua Fayza mentre ci indica i clienti, italiani e stranieri, che lavorano o studiano e che passano da lei per un caffè e una chiacchiera cortese.

“C’è chi insegna, chi suona, chi scrive, chi sta in piedi moltissime ore per avere uno stipendio. Perché nessuno racconta mai questi esempi positivi, che hanno contribuito a migliorare l’immagine di Milano? Vogliamo sempre dare la colpa agli altri, ma non si può accusare persone che lavorano dalle 6 del mattino di aver ‘rubato’ il lavoro. Io sono in disaccordo con l’arrivo di clandestini senza documenti e che poi finiscono per stare in strada a chiedere elemosina ma la responsabilità è di chi apre loro la porta. Se non c’è la possibilità di accoglierli perché li si fa entrare? Ringrazio l’Italia come popolo, come terra bellissima, come comunità che mi ha fatto conoscere tutto il mondo ma non come sistema”.

La richiesta di Fayza è chiara: raccontare anche l’altro volto degli stranieri in Italia, risorse e non pericoli. Il concetto è semplice quanto importante: “Siamo tutti stranieri su questa Terra: la Terra è di tutte le nazionalità”.

 

Il reportage continua con i seguenti articoli:

Stranieri al lavoro: almeno i numeri non sono razzisti

Dal Cairo all’Italia: “Sono imprenditore ma lavoro con spirito da operaio”

Dall’Albania all’Italia: “La cultura non sfama, ma cura”

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