Diminuiscono dimissioni e licenziamenti, ma i numeri restano da record

Secondo dati ministeriali, l’anno scorso il fenomeno ha registrato un incremento del 13,8% rispetto al 2021. In crescita anche i licenziamenti: +30,2% sull’anno precedente. Entrambi i dati sembrano attenuarsi nell’ultimo trimestre 2022

Dimissioni e licenziamenti: un impiegato di spalle lascia il posto di lavoro

Sono stati quasi 2,2 milioni i lavoratori italiani che hanno fatto ricorso, nel 2022, alle dimissioni volontarie. Il 13,8% in più rispetto ai 1,93 milioni registrati l’anno precedente. Un vero e proprio boom, che può essere interpretato come un segno di dinamicità del mondo del lavoro, anche se l’escalation sembra mostrare qualche primo segnale di rallentamento.

Secondo quanto emerge dalla nota sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro relativa all’ultimo trimestre 2022, infatti, tra ottobre e dicembre dello scorso anno si è interrotto la tendenza rilevata dal secondo trimestre del 2021, con un numero di dimissioni in calo del 6,1% (-34.000) rispetto allo stesso periodo del 2021.

Un decremento che ha interessato in misura maggiore gli uomini (-7,2%) rispetto alle donne (-4,4%) e che non basta comunque a inficiare la portata del fenomeno, considerato che, in termini assoluti, il numero delle dimissioni resta superiore a quello registrato nel periodo pre COVID-19: 86.000 in più tra il quarto trimestre 2019 e lo stesso periodo del 2022.

Mi dimetto perché. Dentro le scelte dei lavoratori in fuga

Al di là dei numeri, che raccontano solo l’entità del fenomeno, sarebbe interessante capire perché tanti lavoratori danno le dimissioni. Purtroppo la rilevazione del ministero non si addentra nell’analisi delle motivazioni alla base della Great Resignation italiana.

Da un sondaggio di Fior di Risorse a cui hanno risposto più di 1.300 professionisti emerge che tre lavoratori su quattro hanno cambiato lavoro anche più volte negli ultimi dieci anni. Nello stesso sondaggio il 69,9% segnala di considerare (il 54,9%) o di prevedere (circa un sesto dei rispondenti) un cambio di occupazione. Tra le motivazioni spiccano la scarsa valorizzazione personale e la mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata, insieme a quelle economiche.

D’altra parte, anche i dati Eurostat sembrano confermare che le motivazioni che spingono a una scelta così drastica vadano ricercate nelle dinamiche interne al mercato: il 68,9% di chi ha lasciato il posto di lavoro nel terzo trimestre del 2022 lo ha fatto proprio per questo tipo di ragioni; una percentuale che sale all’89,9% per l’Italia, la più alta di tutta l’Ue.

Una ricerca del Politecnico di Milano pubblicata l’anno scorso rivela che tra i motivi principali che portano alle dimissioni per un lavoratore su quattro c’è anche l’esigenza di una maggiore salute fisica o mentale (24%).

“L’aumento delle dimissioni – spiega Tania Scacchetti della CGIL – può avere spiegazioni molto differenti: da un lato può essere legato alla volontà, dopo la pandemia, di scommettere su un posto di lavoro più soddisfacente o più agile; dall’altro però, soprattutto per chi non ha già un altro lavoro verso il quale transitare, potrebbe essere legato a una crescita del malessere dovuta anche a uno scarso coinvolgimento e a una scarsa valorizzazione professionale da parte delle imprese”.

Occorrerebbe capire di quanto incide ciascuna delle due spiegazioni: “Questo dato non è chiarissimo nel nostro Paese. Il calo delle dimissioni negli ultimi tre mesi dell’anno potrebbe rispecchiare una congiuntura economica un po’ più negativa e un mercato meno attrattivo”.

La situazione dei licenziamenti: sono il 30% in più

Non solo dimissioni: dalla rilevazione del ministero emerge un contestuale aumento anche dei licenziamenti.

Nel 2022 sono stati più di 751.000 i lavoratori che sono stati lasciati a casa dalla propria azienda. Un dato in aumento del 30,2% rispetto al 2021, quando però era ancora in vigore il blocco dei licenziamenti voluto dal governo per fronteggiare la crisi pandemica.

Tuttavia, proprio come per i numeri sulle dimissioni, l’ultimo trimestre del 2022 sembra indicare una frenata. Da ottobre a dicembre dello scorso anno, infatti, i licenziamenti sono stati 193.081, in calo di 4.000 unità rispetto allo stesso periodo del 2021. Anche in questo caso si tratta di un dato inferiore rispetto all’ultimo trimestre del pre COVID-19, quando il numero di licenziamenti si attestava intorno ai 240.000.

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