Draghi, l’uomo che sussurrava alle cravatte (e ai mercati)

Fisco, parità di genere, Next Generation EU: ciò che farà Mario Draghi al governo si può intuire dal discorso che ha tenuto in Senato.

Due anni fa un analista del Crédit Agricole, Louis Herreau, realizzò uno studio con il quale cercava una correlazione tra l’andamento dei mercati finanziari e il tipo di cravatta indossata da Mario Draghi quando a Francoforte illustrava alla stampa le decisioni della BCE. Venne fuori che l’allora presidente in sette anni aveva sfoggiato 18 tipi di cravatte distribuite in 72 discorsi, e tra le più frequenti (sette volte) ce n’era una color malva che, se le telecamere non tradiscono, è proprio quella che il premier indossava al Senato nel suo discorso programmatico.

Per quanto possa apparire bizzarro, lo studio (che includeva persino la disamina del tipo di nodo, da falco o da colomba) rivela bene lo sfrenato desiderio che hanno sempre avuto analisti e giornalisti finanziari nel cercare una corretta interpretazione delle parole di Draghi. I cui interventi, gli addetti ai lavori lo sanno, venivano passati al vaglio di appositi software per capire quanto fosse ricorrente o meno l’uso di una parola, un aggettivo o un verbo, durante le descrizioni della politica monetaria della BCE, per poi cercare una relazione con le decisioni dell’Eurotower.

Parla, non parla, come parla: l’attesa del discorso di Draghi al Senato

Questo desiderio di sapere è legittimo (anche perché nel caso delle decisioni della BCE ci sono in ballo soldi e investimenti da fare), ma calato nella realtà italiana, negli ultimi giorni, ha assunto dei toni catastrofici davvero paradossali.

Giornalisti e comunicatori si sono fatti venire il mal di testa a forza di chiedersi come mai Draghi non usasse i social media; perché non avesse rilasciato alcuna intervista dal momento del giuramento; cosa mai intendesse quando finalmente ha pronunciato il più chiaro dei concetti: “Parlerò quando avrò qualcosa da dire”.

La verità è che il circo mediatico romano è andato nel panico totale quando ha realizzato che nei prossimi mesi verrà meno il carburante che da decenni alimenta il motore del chiacchiericcio e dei retroscena; meccanismi tipici dell’italica informazione politica di giornali e TV, e che trova una straordinaria complicità nei parlamentari nostrani, che spesso parlano senza dire nulla, oltretutto su argomenti per i quali non avrebbero titolo. Dovremo abituarci. Tutto qui. E forse un periodo di disintossicazione non è un male per la stampa italiana in generale.

Del resto, nelle 5.536 parole del discorso di Draghi al Senato ci sono comunque abbastanza spunti per scrivere un centinaio di articoli o imbastire un seminario universitario di sei mesi sul futuro dell’Italia. Se sarà l’ennesimo libro dei sogni di un professorone o un progetto che salverà le generazioni future dalla disoccupazione e dal debito pubblico, è presto per dirlo. Ma alcune direttrici sulle quali si muoverà il suo governo, Draghi le ha fatte capire chiaramente senza inondarci di tweet.

Le possibili strategie di governo di Mario Draghi

Innanzitutto, alcune riforme cruciali sono troppo complicate per lasciarle in mano ai politici. Una per tutti, quella del fisco.

Draghi ha citato l’esempio della Danimarca, dove un gruppo di esperti incaricato di riformare il sistema di tassazione ha sì consultato prima i partiti, ma poi la riforma l’ha scritta lui. Un concetto, questo, che ricorda quello che accade alla NATO, dove i politici spiegano ai generali che tipo di operazione vogliono fare e questi ultimi, dopo un’accurata analisi, presentano un piano militare. Il committente può accettare o rigettare il piano, ma non modificarlo; casomai ne chiede uno nuovo ai generali, gli unici che sanno come ci si muove sul terreno (dove ci sono soldati che rischiano la vita). Ci pare di capire che Draghi, se gli sarà consentito dai partiti e dagli eventi, si muoverà su questo binario.

La politica fatta fuori, dunque? Tutt’altro. Draghi non ha avuto bisogno delle opache e pilotate fughe di notizie di uno spin doctor per far suo il concetto che di recente ha espresso il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis: ci sono aziende che ricevono aiuti statali che già prima della pandemia erano decotte, senza speranza (zombi), e queste a breve non riceveranno più soldi.

Non dobbiamo nasconderci – è il concetto di Draghi – che esistono settori economici ormai obsoleti anche a causa della pandemia, e dobbiamo quindi scegliere quali attività salvare e quali mollare per accompagnare i lavoratori verso nuove opportunità: “Questo – ha detto Draghi – è compito della politica”. Ci sembra dunque di capire che su scelte cruciali e dolorose di questo tipo (una a caso: chiudere Alitalia) questo Presidente del Consiglio non abbia intenzione di fare il capro espiatorio, come troppo spesso è tornato comodo ai partiti tradizionali quando in periodi complicati c’erano dei tecnici al governo. Anche qua, vedremo.

La posizione di Draghi sulle quote rosa e la gestione del Next Generation EU

L’altra polemica scaturita dalla formazione del nuovo governo è quella sulla mancanza di ministri donne, circostanza a molti resa ancor più insopportabile dal fatto che – premesso che le scelte le ha fatte Draghi e avallate Mattarella – il Centrodestra ne conta più del PD, il quale storicamente si picca di essere maggiormente attento alle pari opportunità.

In attesa di vedere se la nomina dei sottosegretari sarà più colorata di rosa (il che farebbe scattare in automatico una polemica bis sul tema del “contentino”), ci limitiamo a notare come Draghi, invece di girarci intorno, sia andato dritto al cuore del problema: “Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge; richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi”. Punto. Anche questa sua posizione, invece di un ipocrita post su Facebook l’otto marzo, dovrebbe garantire qualche dozzina di commenti e di interviste sui quotidiani.

Infine i soldi del Next Generation EU, la polizza sulla vita per i nostri figli e nipoti. Come li vuole spendere Draghi l’ha detto chiaro e tondo (non c’è qua lo spazio per riassumerlo), ma ha spiegato con chiarezza che la stanza dei bottoni si troverà al Tesoro, che collaborerà con i vari ministeri e informerà costantemente il Parlamento. Al cittadino comune forse questo tema della governance non interessa granché, ma durante l’ultimo governo si è discusso per mesi su questo tema, poiché Giuseppe Conte voleva accentrare a Palazzo Chigi la regia dei fondi tagliando fuori i ministeri (e i relativi potenti mandarini) dalla gestione dei miliardi europei. La polemica è girata sui giornali per mesi come il criceto sulla ruota per poi non approdare, come accade spesso, a nulla.

Draghi, Giorgetti e la cravatta malva

Nel suo discorso al Senato Draghi, che ha citato la Caritas e anche Papa Francesco (il premier è membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali), si è impappinato nel leggere i numeri sui malati in terapia intensiva, scambiando le migliaia con i milioni. Sarebbe stato abbastanza grave e imbarazzante all’interno di una delle austere conferenze stampa alla BCE, dove i giornalisti ci pensavano non due, ma tre volte prima di rivolgergli una domanda per il rischio di essere fulminati con lo sguardo.

A meno che non si voglia pensare che questo piccolo lapsus sia stato fatto apposta per dimostrare che anche loro, i banchieri centrali, sono esseri umani come noi e possono sbagliare: sarebbe diabolico. A ben pensarci, seduto accanto, in Senato, a correggere subito il premier in questo preciso frangente è stato il ministro dello Sviluppo economico, quel Giancarlo Giorgetti che agli albori del governo gialloverde si rivolse a Salvini, che esitava ad allearsi coi 5 Stelle, dicendo: “Il governo va fatto, ho parlato con il demonio”. E alla domanda su chi fosse il demonio, Giorgetti rispose: “È un italiano che non sta in Italia. È un mio amico”.

Tornando allo studio iniziale, Herreau alla fine non è riuscito a stabilire alcun nesso tra le cravatte di Draghi e gli annunci di politica monetaria della BCE: si limita a notare che quando Draghi vestiva una cravatta blu scura i titoli di Stato tedeschi apparivano più volatili. Sarà un caso, ma per tutto il discorso programmatico di Draghi al Senato lo spread è sceso, salvo risalire appena finita l’ultima riga. Sarà stata la cravatta malva. O forse la consapevolezza dei mercati dell’immane compito che attende l’ex presidente della BCE.

In copertina: foto di Fabio Frustaci su www.diariodelweb.it

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