Effetto Serra sulla Leopolda: il taglia e cuci dei dati per adulare Draghi

Dal palco della kermesse renziana il finanziere Davide Serra ha magnificato gli effetti del Governo Draghi rispetto ai precedenti. Analizziamo i dati per valutare se è proprio come dice.

Dal 19 al 21 novembre 2021 si è tenuta l’undicesima edizione della Leopolda, e per un attimo, su giornali e tg l’attenzione si è spostata dal Covid a quella che sembrava una “notizia”.

Il convegno organizzato a Firenze da Matteo Renzi è stata invece l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa e abbandonarsi a qualche intervento di sana apologia politica. Come nel caso dell’imprenditore bocconiano Davide Serra, tra i principali finanziatori di Italia Viva.

Nel primo giorno della manifestazione, Serra ha cercato di dimostrare che l’Italia avrebbe avuto un forte aumento del PIL grazie all’arrivo di Mario Draghi, il quale insieme a Renzi avrebbe creato una miriade di posti di lavoro, al contrario degli altri governi. Un vero e proprio Rinascimento post-pandemico come ama ripetere Renzi ad ogni latitudine. E prima di Draghi, il diluvio: termine di paragone in negativo, manco a dirlo, è il precedente Governo Conte II, di cui i Renziani dimenticano sempre di essere stati attivi contribuenti sia alla nascita che al naufragio.

Per corroborare la sua tesi, l’imprenditore ha impiegato grafici e dati sull’andamento dell’economia italiana ed europea durante gli ultimi anni. Sforzo encomiabile; peccato che quanto afferma non sia vero.

SenzaFiltro ha analizzato il suo intervento e l’utilizzo che ha fatto dei dati e delle due l’una: o Serra – imprenditore nonché bocconiano, giova ricordarlo – non sa analizzare l’andamento dell’economia, il che metterebbe in serio pericolo la reputazione della scuola di economia più costosa del nostro Paese, oppure ha interpretato i dati in maniera parziale, forse folgorato sulla via di Rignano.

Vediamo perché, punto per punto.

“Ultimi con Conte, primi con Draghi”: il wishful thinking del renziano Davide Serra

Il primo grafico di Davide Serra, inerente alla situazione economica e da lui stesso prodotto, è mostrato nella Figura 1. Indica il tasso di crescita del PIL dal terzo trimestre del 2018 all’ultimo disponibile, ovvero il secondo del 2020. Serra ne desume due tesi:

  • per colpa dei Governi Conte I e II, l’Italia durante il 2020 avrebbe avuto un tasso di crescita del PIL inferiore agli altri Paesi europei;
  • grazie al Governo Draghi, dal 2021 l’Italia sarebbe cresciuta di più rispetto agli altri Paesi europei.

Figura 1

Fonte: Eurostat, elaborata da Davide Serra

Il grafico in Figura 2, di nostra elaborazione, è stato creato utilizzando sempre i dati sul PIL reale dell’Eurostat, ricavati dagli stessi Paesi del grafico di Serra.

La differenza è che tutti i dati trimestrali del PIL sono rapportati a quelli dell’ultimo trimestre del 2019 (2019-Q4), cioè l’ultimo in una situazione di normalità. Il nostro grafico quindi considera i Paesi a partire da un valore pari a 100: in questo modo è più facile vedere chi è andato meglio e chi peggio, partendo dallo stesso equivalente.

Figura 2

Fonte: Eurostat, elaborata da Alessandro Guerriero per SenzaFiltro

L’analista della Leopolda si scorda della pandemia per attaccare Conte

Come si osserva dal nostro grafico, il valore del PIL del secondo trimestre 2020 (Q2-2020) era pari a poco più dell’80% del dato di riferimento (2019-Q4). La Francia ha osservato una caduta addirittura più forte rispetto a quella italiana. In generale, è evidente che tutti i Paesi sono stati colpiti da un cosiddetto shock esogeno, ovvero la pandemia.

Dove sta il trucco?

Serra non tiene conto del fatto che è quasi impossibile vedere l’effetto dei governi sul PIL, visto che il COVID-19 ha inciso in maniera nettamente superiore rispetto a qualunque altro evento in questi ultimi tempi. L’imprenditore sembra poi dimenticare che l’Italia è stato il Paese europeo più colpito dal virus durante la prima ondata, e che è stato il primo a adottare un lockdown assai restrittivo, con un forte impatto sull’economia. Se la Germania avesse iniziato il lockdown prima dell’Italia, con lo stesso numero di contagi e tagli alla sanità simili a quelli italiani, il suo PIL sarebbe stato così superiore?

È difficile dare una risposta. L’unica certezza è che non si può imputare un crollo così forte del PIL al Governo Conte, ma alla pandemia. Se facessimo il contrario, sarebbe come incolpare gli inquilini per i danni a un edificio a causa delle fondamenta.

Il PIL italiano cresce, ma Draghi non c’entra: è questione di rimbalzo

La seconda tesi, invece, asserisce che grazie a Draghi l’economia italiana starebbe facendo meglio delle altre.

Anche qui, nella Figura 2 possiamo vedere che con Draghi il valore del PIL italiano non è tornato ai livelli pre-pandemia (equivalente a 100), e che i Paesi selezionati ora sono più o meno allo stesso livello, pari al 95% del PIL pre-pandemico. Il PIL italiano è andato bene nel secondo trimestre del Governo Draghi (Q2-2021), ma la sua crescita è comunque rimasta in linea con quella degli altri Stati.

Anche qui, com’è possibile valutare il Governo Draghi basandosi soltanto su un dato trimestrale sul PIL, senza contare gli effetti esogeni della pandemia sul dato stesso? L’Italia ha avuto una caduta del PIL più importante rispetto agli altri Paesi, dunque il cosiddetto rimbalzo è stato più forte. Lo stesso è valso per la Francia, dove l’aumento del PIL è arrivato qualche mese prima di quello italiano; ma il livello di Germania, Francia, Italia e della media europea è rimasto lo stesso.

È importante ricordare che gli effetti esogeni della pandemia sono molto influenti, ed è difficile rintracciare il merito del governo sulla crescita del PIL, come detto in precedenza per Conte. In tutti i casi non è possibile discernerlo con la sicumera di Serra, che sembra sapere già in anticipo che cosa sta cercando nei dati.

Per rendere l’idea: applicando il ragionamento dell’analista della Leopolda, tra il secondo e il terzo trimestre del 2020 in termini di PIL il Governo Conte avrebbe ottenuto un risultato migliore rispetto alla media europea e alla Francia. Continuando a ragionare come Serra, dovremmo dire che Conte in quel periodo ha fatto bene all’economia italiana, cosa che l’imprenditore italovivo si guarda bene dal far notare.

Posti di lavoro, perché non è una gara a chi ne ha “creati” di più

Un altro grafico mostrato da Serra (Figura 3) è quello sui posti di lavoro creati o persi dai vari governi partendo da quello presieduto da Silvio Berlusconi nel 1994.

Figura 3

Fonte: Eurostat, elaborata da Davide Serra

Anche qui Davide Serra fa intendere che il Governo Draghi e il Governo Renzi avrebbero aumentato di molto i posti di lavoro, mentre il Governo Conte no. Ma imputare il crollo dell’occupazione a Conte significa essere in malafede: di nuovo, sembra che Serra dimentichi l’esistenza del COVID-19. Lo stesso vale quando si osserva il dato durante il Governo Draghi, perché è ovvio che dopo l’allentamento delle restrizioni e l’avvento dei vaccini sia l’occupazione che la produzione (e quindi il PIL) siano aumentati.

Andando a ritroso fino al periodo di Renzi primo ministro, Serra dà mostra di un’altra sciatteria analitica, poiché non tiene conto dei cicli economici, ovvero dell’andamento dell’economia italiana. In un momento di crescita (che può dipendere da fattori esterni) la produzione tende ad aumentare, e per questo ha bisogno di assunzioni di nuovi lavoratori. I governi precedenti a Renzi hanno dovuto affrontare una situazione economica di stagnazione o decrescita per via della crisi del 2008 e dei debiti sovrani del 2012, mentre durante il Governo Renzi la situazione era ben migliorata per via del rimbalzo dell’economia.

Viene attribuito al Jobs Act l’aumento dell’occupazione, ma vari studi economici dimostrano che l’allentamento delle tutele non crea più occupazione. In realtà, il risultato del Jobs Act è stato la precarizzazione di molti lavoratori e la riduzione dei loro diritti.

L’effetto Draghi sull’informazione: i Serra parlano, i giornalisti annuiscono

Ecco alcune ragioni per diffidare da chi vorrebbe valutare l’operato di un governo utilizzando soltanto l’indicatore del PIL, che misura la produzione di un Paese, ma non il suo benessere. Per esempio: che cosa è successo ai salari in questi ultimi anni? E alle disuguaglianze?

I dati e i grafici si prestano a interpretazioni controverse, specie presso i non addetti ai lavori, e c’è sempre qualcuno pronto ad approfittarne. Fa specie, tuttavia, che nessuno nel mondo dell’informazione si sia preoccupato di verificare quanto è stato affermato su un palco che ha goduto di una simile risonanza a livello nazionale.

Dispiace dare un freno all’ennesimo tentativo di incensare il taumaturgo dell’economia Mario Draghi, ma la realtà è ben più complessa di favole così confezionate. Esistono molteplici dati e indicatori che bisognerebbe osservare per determinare la bontà delle azioni di un governo, ma soprattutto servirebbe osservarle in un lasso di tempo maggiore. Sperando che la pandemia in cui siamo ancora immersi non abbia più nulla da dire.

Vorremmo essere capaci di credere a ciò che ha affermato Davide Serra. Al momento, però, ci riesce davvero difficile: il Paese racconta una storia ben diversa.

Per esempio quella di un Paese che ha i salari più bassi di Europa e che non crescono da 30 anni.

Photo by static.nexilia.it

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