“Ecco la questione”, ci spiega Antonella Soldo, esperta di politiche sugli stupefacenti e coordinatrice di Meglio Legale, associazione nata nel 2020 che si batte per una gestione di Stato della cannabis. “La legge, all’art. 73 del Testo Unico sugli stupefacenti, vieta la coltivazione della cannabis in qualsiasi modo, punendo con il carcere fino a sei anni di reclusione. Dopo di che i tribunali, fino ad arrivare alle sezioni unite della Corte di Cassazione, hanno stabilito che c’è differenza se tu coltivi per uso personale o ai fini di spaccio. Accade così che il soggetto prima viene accusato, poi affronta il processo, e successivamente può essere assolto. Ma nel nostro ordinamento la coltivazione rimane sempre legata allo spaccio. La legge, dunque, dice che il privato è punibile; poi sono i tribunali che eventualmente scagionano, e che continuano a sollecitare un cambio e un chiarimento della legge, tutt’oggi non ancora avvenuto”.
Come è nata l’idea di Meglio Legale?
“Mi ero personalmente trovata ad approfondire questo tema per il mio lavoro e per il mio impegno, sia nell’associazione Luca Coscioni che politico. Inizialmente solo sulla cannabis medica, poi in generale, ed è uno dei temi più rilevanti socialmente, che ha un grandissimo impatto sulla Giustizia: un terzo dei detenuti sono in carcere per reati legati al Testo Unico sugli stupefacenti. Se ci si pone come obiettivo il miglioramento della vita della nostra intera società, bisogna andare a vedere quali sono i suoi problemi. Per quanto qualcuno cerchi ancora di relegarlo a tema da pochi viziosi, è in realtà una cosa che ha impatto su tutta la società, non solo su chi consuma. Basti guardare ai dati europei: dove la legislazione sulle droghe è più severa, più alto è il consumo tra i minori. Questo dimostra che c’è una diretta corrispondenza tra la severità delle leggi e l’incapacità di gestire il consumo, e quindi i rischi, delle droghe”.
Il centro produttivo di Firenze è l’unico che può legalmente produrre “cannabis di Stato” per i malati cronici?
“Sì, anche se negli ultimi mesi c’è stata una sospensiva della produzione per una questione di mancanza fondi non meglio precisata, che abbiamo cercato di approfondire con delle interrogazioni anche al Consiglio regionale, ma finora non abbiamo avuto risposta. La questione è questa: Lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, che dipende dal ministero della Difesa, è un istituto farmaceutico, appunto del ministero della Difesa, che storicamente ha avuto il ruolo di produrre presidi sanitari per l’esercito italiano e che dopo la fine della Seconda guerra mondiale si è occupato di poche cose. Quando ci si è posti il problema della cannabis terapeutica in Italia, è stato deciso di affidare questa produzione proprio a questo istituto, anche un po’ per rompere i pregiudizi che c’erano su questa possibilità terapeutica. Affidiamo quindi l’incarico all’esercito, il posto più sicuro che abbiamo in Italia, così nessuno può dire che ci sono seconde finalità. Il punto è che questo centro ha una limitata capacità di produzione. Ciò significa che in questi anni è stata importata tanta cannabis, dall’Olanda, dal Canada, dalla Germania, che è partita dopo di noi ma è riuscita a soddisfare il fabbisogno interno, e quindi a esportare.”
“Lo scorso anno è stato fatto un bando che per la prima volta apre anche ai privati la possibilità di coltivare cannabis medica. Ci sono state delle aziende che vi hanno partecipato ed è ora in corso un lungo processo per affidare l’avvio vero e proprio della produzione. Il punto è che la cannabis terapeutica è legale in Italia dal 2007; siamo nel 2023 e ancora abbiamo i pazienti che non riescono ad avere la sostanza terapeutica, e o si fanno la piantina sul balcone o vanno dallo spacciatore, con tutti i rischi che la cosa comporta.”