Zoom fatigue, iperconnessione e non solo: indaghiamo il tema degli infortuni da smart working e le responsabilità a essi correlate con i pareri del giornalista Nicola Zamperini e del medico del lavoro Vittorio Agnoletto.
“Io, finanziere, mi rivolgo allo spaccio per curarmi”: l’ipocrisia dell’Italia sulla cannabis
Il 30% dei consumatori è minorenne, il dato più alto in Europa, condiviso con gli altri Paesi dalle leggi più severe; ai malati cronici ne servirebbero due tonnellate l’anno ma se ne realizza solo un quarto, in un singolo istituto. I controsensi dello Stato nei confronti della cannabis, con la storia dell’ex GdF Alfredo Ossino
I mestieri della droga, quelli illegali e quelli legali, quelli legati alle sostanze terapeutiche e quelli che derivano dall’indotto degli stupefacenti pesanti: a quanto ammontano i loro giri d’affari? E perché mentre il mercato illecito delle mafie è più florido che mai, quello lecito deputato a sostenere i malati cronici non riesce a decollare, e produce solo una minima parte del fabbisogno? Per sopperire alla lacuna, il privato che vuole uscire contrastare i dolori fisici può produrre cannabis a uso personale o rischia il carcere? E ancora: perché l’idea di un mercato positivo della cannabis resta un pruriginoso tabù?
Cominciamo a cercare qualche risposta nei numeri.
I numeri della cannabis in Italia: le leggi più stringenti aumentano l’uso tra i minori
Il Forum Droghe, che lo scorso 26 giugno ha pubblicato il suo “libro bianco” in concomitanza con la Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga istituita dall’Onu nel 1987, riporta i dati ISTAT, secondo i quali gli introiti delle varie associazioni per delinquere ammonterebbero a 16,6 miliardi (dati 2019), di cui il 40% proveniente da cannabis e il 31% da cocaina.
La legalizzazione della cannabis in Italia, invece, ipotizzando un monopolio di Stato simile a quello che esiste per le sigarette, porterebbe introiti all’erario per circa 7 miliardi di euro. Una cifra importante alla quale andrebbe aggiunto il risparmio in termini di costi sociali, cioè le spese sanitarie, per la sicurezza, per combattere, il degrado, e non ultime quelle per la magistratura. Le opportunità di fare impresa, inoltre, creerebbero un indotto di professioni fino 35.000 nuovi posti di lavoro.
In Italia sono 6 milioni i consumatori di cannabis; un italiano su dieci, con un tasso di minori del 30% contro la media europea del 18%. Il record viene condiviso dall’Italia con gli altri due Paesi europei che hanno le leggi più stringenti in materia di droghe: la Svezia e la Francia. Va ricordato in merito il ruolo dello spacciatore, che usa una serie di trucchetti per far pesare di più la cannabis e farla apparire migliore (vi aggiunge polvere di piombo, la lucida con la lacca). Inoltre, dal momento che la pena detentiva è la stessa che per lo spaccio di droghe pesanti (sempre sei anni di reclusione), tanto vale diversificare e ampliare la possibilità di guadagno con cocaina ed eroina, che per i consumatori – in particolare i minorenni – costituiscono spesso il salto verso l’autentica tossicodipendenza.
Un censimento preciso dei malati cronici che hanno bisogno di cannabis come terapia antidolorifica è difficile, ma si stima siano oggi circa 21.000, per un fabbisogno annuo di sostanza che supera le due tonnellate (stima Ufficio Centrale Europeo per gli stupefacenti). A Firenze l’unica casa farmaceutica di Stato legittimata a trattare cannabis a scopo terapeutico ne produce dai 300 ai 500 chili l’anno, al massimo.
Che fare dunque? Rivolgersi allo spacciatore? Produrne una modica quantità a casa, per uso personale? La legge lo permette?
Antonella Soldo, dell’associazione Meglio Legale: “Uso personale? La legge punisce, dirimono i tribunali. E la produzione di Stato è ferma”
“Ecco la questione”, ci spiega Antonella Soldo, esperta di politiche sugli stupefacenti e coordinatrice di Meglio Legale, associazione nata nel 2020 che si batte per una gestione di Stato della cannabis. “La legge, all’art. 73 del Testo Unico sugli stupefacenti, vieta la coltivazione della cannabis in qualsiasi modo, punendo con il carcere fino a sei anni di reclusione. Dopo di che i tribunali, fino ad arrivare alle sezioni unite della Corte di Cassazione, hanno stabilito che c’è differenza se tu coltivi per uso personale o ai fini di spaccio. Accade così che il soggetto prima viene accusato, poi affronta il processo, e successivamente può essere assolto. Ma nel nostro ordinamento la coltivazione rimane sempre legata allo spaccio. La legge, dunque, dice che il privato è punibile; poi sono i tribunali che eventualmente scagionano, e che continuano a sollecitare un cambio e un chiarimento della legge, tutt’oggi non ancora avvenuto”.
Come è nata l’idea di Meglio Legale?
“Mi ero personalmente trovata ad approfondire questo tema per il mio lavoro e per il mio impegno, sia nell’associazione Luca Coscioni che politico. Inizialmente solo sulla cannabis medica, poi in generale, ed è uno dei temi più rilevanti socialmente, che ha un grandissimo impatto sulla Giustizia: un terzo dei detenuti sono in carcere per reati legati al Testo Unico sugli stupefacenti. Se ci si pone come obiettivo il miglioramento della vita della nostra intera società, bisogna andare a vedere quali sono i suoi problemi. Per quanto qualcuno cerchi ancora di relegarlo a tema da pochi viziosi, è in realtà una cosa che ha impatto su tutta la società, non solo su chi consuma. Basti guardare ai dati europei: dove la legislazione sulle droghe è più severa, più alto è il consumo tra i minori. Questo dimostra che c’è una diretta corrispondenza tra la severità delle leggi e l’incapacità di gestire il consumo, e quindi i rischi, delle droghe”.
Il centro produttivo di Firenze è l’unico che può legalmente produrre “cannabis di Stato” per i malati cronici?
“Sì, anche se negli ultimi mesi c’è stata una sospensiva della produzione per una questione di mancanza fondi non meglio precisata, che abbiamo cercato di approfondire con delle interrogazioni anche al Consiglio regionale, ma finora non abbiamo avuto risposta. La questione è questa: Lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, che dipende dal ministero della Difesa, è un istituto farmaceutico, appunto del ministero della Difesa, che storicamente ha avuto il ruolo di produrre presidi sanitari per l’esercito italiano e che dopo la fine della Seconda guerra mondiale si è occupato di poche cose. Quando ci si è posti il problema della cannabis terapeutica in Italia, è stato deciso di affidare questa produzione proprio a questo istituto, anche un po’ per rompere i pregiudizi che c’erano su questa possibilità terapeutica. Affidiamo quindi l’incarico all’esercito, il posto più sicuro che abbiamo in Italia, così nessuno può dire che ci sono seconde finalità. Il punto è che questo centro ha una limitata capacità di produzione. Ciò significa che in questi anni è stata importata tanta cannabis, dall’Olanda, dal Canada, dalla Germania, che è partita dopo di noi ma è riuscita a soddisfare il fabbisogno interno, e quindi a esportare.”
“Lo scorso anno è stato fatto un bando che per la prima volta apre anche ai privati la possibilità di coltivare cannabis medica. Ci sono state delle aziende che vi hanno partecipato ed è ora in corso un lungo processo per affidare l’avvio vero e proprio della produzione. Il punto è che la cannabis terapeutica è legale in Italia dal 2007; siamo nel 2023 e ancora abbiamo i pazienti che non riescono ad avere la sostanza terapeutica, e o si fanno la piantina sul balcone o vanno dallo spacciatore, con tutti i rischi che la cosa comporta.”
Alfredo Ossino, dalla Guardia di Finanza allo spaccio per ragioni di salute: “Non capisco l’atteggiamento dello Stato”
Tra loro c’è stato anche un ex finanziere (in pensionamento anticipato per malattia causata dal servizio), passato dalla lotta allo spaccio di stupefacenti, dopo lunghi appostamenti che gli sono costati la salute, a testimone di come la cannabis terapeutica gli abbia restituito le forze e quindi la vita sociale.
È Alfredo Ossino, oggi cinquantanovenne, autore del libro Cannabis – la vera storia di un agente antidroga, uscito lo scorso 15 giugno. Nel testo il protagonista dell’amara vicenda racconta gli interminabili anni di dolori mal curati con oppiacei, l’isolamento, la depressione, fino alla scoperta della cannabis terapeutica, reperita però in quel mercato illegale che lui aveva combattuto per decenni nel nome della Guardia di Finanza. L’iter interminabile per il riconoscimento del prodotto per curarsi, i pregiudizi e le resistenze, tanto in famiglia quanto tra i medici stessi, fino al ritorno alla vita. E oggi?
“Mi batto contro la disinformazione”, dice. “Partecipo a eventi sul tema per denunciare la disinformazione di medici e farmacisti che lo Stato non forma. Mi batto tra le tante difficoltà che ancora incontro per reperire la quantità di cannabis terapeutica che mi è stata regolarmente prescritta, cosa che non avviene per nessun altro farmaco. Mi batto contro i pregiudizi, perché ancora mi devo giustificare: prima, con gli oppiacei che potevo assumere in qualsiasi situazione, non mi reggevo in piedi e venivo compatito. Oggi, che salto la corda, cammino e sono tornato alla vita, suscito sospetti: ‘È perché ti fumi quella roba’, e mi devo giustificare. Ma non mi fermo. Nessuno deve più violare l’art. 3 della Costituzione, che parla di dignità prima ancora che di libertà. Salute, libertà e dignità non possono essere negoziabili”.
E poiché di mestieri e lavoro continuiamo a parlare, Ossino tocca anche i temi del commercio, degli introiti a cascata che si perde uno Stato drogato di pregiudizio.
“Per avere quello che mi spetta devo percorrere migliaia di chilometri in auto per andare in una certa farmacia di Messina – spiega l’ex finanziere – e comunque la mia salute viaggia sempre sul filo del rasoio, perché se dopodomani mi viene a mancare la terapia per qualsiasi tipo di ritardo, io mi devo dare da fare. Devo portare soldi in mezzo alla strada. Questo non capisco dello Stato: se non soddisfa il fabbisogno nazionale (di fatto una domanda, che come tutte le domande scatena un’offerta), è chiaro che la criminalità si fa avanti perché c’è un business. Per non parlare della frustrazione di esser sempre senza soldi. Se spendo per curarmi, è chiaro che non avrò più i soldi per una pizza con gli amici, un paio di scarpe nuove, una piccola vacanza. Ripeto: la salute non è negoziabile. È evidente però, che se la gestione di Stato fosse adeguata, ne trarrebbe vantaggi tutta la società.”
Photo credits: Guardia di Finanza via cataniatoday.it
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