Muoia la Francia: è il Paese UE con più incidenti sul lavoro

Un’analisi dei processi politici e imprenditoriali che hanno portato la Francia ad avere più di due morti sul lavoro ufficiali al giorno nel 2021: una spirale discendente che toglie diritti e formazione e riguarda anche il governo Macron. Ne parliamo con il sindacalista Jérôme Vivenza

01.12.2023
Incidenti sul lavoro in Francia: una manifestazione dei parenti dei defunti

La vita di un imprenditore è spesso più dura di quella dei suoi dipendenti perché si prende tutti i rischi”. Lo disse Emmanuel Macron, all’epoca ministro dell’Economia, al forum economico di Davos del 2016. Parole che squarciano un velo, che ci dicono che, quando si parla di rischi legati al mondo del lavoro, viene preso in considerazione solo l’aspetto economico. La vita e la salute sono al di fuori dell’orizzonte mentale di chi governa. Sarebbe da chiedere che posto occupino in questa prospettiva i 674 morti sul lavoro registrati in Francia da Eurostat nel 2021, una cifra che fa del Paese il primo per decessi sui luoghi di lavoro in area UE. Parliamo di più di due morti al giorno.

Eppure si tratta di dati sottostimati. Secondo il Code de la sécurité sociale si devono infatti considerare incidenti sul lavoro solo quelli che coinvolgono individui vincolati a un imprenditore da un contratto di lavoro. Pertanto, di fatto, non possono essere conteggiati gli incidenti e i decessi che coinvolgono gli autonomi, compresi quelli che, considerati piccoli imprenditori di se stessi, di fatto lavorano per un unico committente, come chi lavora per Uber, e tutti quelli che in Italia chiamiamo “il popolo delle partite IVA”.

Ma la lista di coloro che in Francia non compaiono nelle statistiche ufficiali fornite dalla Caisse National Assurance Maladie (CNAM), presso la quale è assicurata la maggior parte dei dipendenti, è davvero lunga, perché nel computo non troviamo neppure i lavoratori in nero, quelli distaccati sul suolo francese da imprese con sede in altri Paesi, quelli della Funzione Pubblica e tutti quelli soggetti a regimi speciali, come i marittimi, i ferrovieri, i lavoratori del settore energetico.

Per capire la dimensione della sottovalutazione basta dare un’occhiata ai dati dei morti sul lavoro relativi al 2019, quando alla rilevazione di Assurance Maladie si sono affiancate quelle di altri soggetti pubblici. I 733 decessi contati dalla CNAM quell’anno sono diventati 790 secondo la Dares, l’istituto di ricerca e studi statistici del ministero del Lavoro, che vi ha aggiunto 27 assicurati dalla Mutualité Sociale Agricole (MSA) e 30 addetti alla funzione pubblica territoriale e ospedaliera. Tuttavia, ulteriori dati forniti da MSA (relativi a lavoratori dipendenti e non) portano a 119 gli incidenti mortali tra i suoi assicurati nel 2019. Ma non basta, perché l’ENIM (Établissement national des invalides de la marine), ente che gestisce il regime previdenziale speciale per i lavoratori marittimi del commercio, della pesca e della nautica, ha contato 14 decessi tra i suoi. Insomma: rifatti i conti arriviamo a 896 decessi censiti dai vari organismi. E, ancora, si tratta di dati sottodimensionati rispetto alla realtà.

La Francia prima in UE per morti sul lavoro: interinali e giovanissimi le categorie più a rischio

Molti datori di lavoro imbrogliano quando si tratta di dichiarare gli infortuni sul lavoro perché, trattandosi di un sistema assicurativo, un numero eccessivo di richieste di risarcimento comporterebbe un aumento dei contributi da loro versati”.

A spiegarlo è Jérôme Vivenza, dirigente della CGT (Confédération Général du Travail) e rappresentante dei lavoratori dipendenti all’interno del Comité National de prévention et de santé au travail. E continua: “Si tratta della cosiddetta sottodenuncia degli infortuni sul lavoro, il cui valore è stimato dalla Corte dei conti, organo di controllo ufficiale, oltre il miliardo di euro”.

Precarietà del lavoro, formazione carente, ricorso massiccio a manodopera interinale o in subappalto, promozione dell’“uberizzazione” e deresponsabilizzazione delle aziende sono alla base dell’enorme numero di decessi. Lo ha dimostrato Matthieu Lépine, militante della sinistra francese, con un lavoro di monitoraggio del fenomeno attraverso la stampa locale online durato quattro anni e confluito nel libro L’hécatombe invisible. Enquête sur les morts au travail.

Dall’indagine risultano quattro grandi categorie a maggior rischio: gli interinali, i lavoratori in nero, quelli distaccati da aziende con sede legale in altri Paesi europei e i giovani. Sono lavoratori la cui precarietà e ignoranza rispetto ai diritti non permettono loro di rifiutare di operare in condizioni di pericolo.

Gli interinali, per lo più impiegati nel settore edilizio e industriale, sono per lì80% operai e per oltre un terzo hanno meno di 25 anni. Parliamo di un esercito di persone quasi quadruplicato nel giro di trent’anni. Nel loro caso l’elemento formazione è cruciale, perché i loro contratti durano un tempo insufficiente a dare una preparazione adeguata a garantire la sicurezza. Una realtà che fa tremare le vene nei polsi se pensiamo che l’80% degli addetti alla manutenzione delle centrali nucleari francesi è rappresentato proprio da loro.

“In nome della flessibilità”, afferma Lépine, “i contratti precari si sono moltiplicati negli ultimi trent’anni. A ciò vanno aggiunte condizioni di lavoro spesso schiavizzanti. Così non solo la frequenza degli infortuni sul lavoro tra gli interinali è doppia rispetto alle altre categorie, ma gli incidenti sono anche più gravi”. È quindi evidente che le scelte circa l’organizzazione del lavoro influiscono sulla sicurezza e la salute dei lavoratori.

Più vulnerabili al rischio di morire mentre lavorano sono i giovanissimi. Il problema è la mancanza di una formazione adeguata perché, anche qui, più che l’inserimento dei ragazzi nel mondo del lavoro, l’obiettivo è il facile reperimento di manodopera a basso costo – addirittura gratuita, se i giovani hanno tra i 15 e i 17 anni. Lo dimostra il fatto che si sta via via sottraendo alla scuola la formazione professionale a vantaggio dei centri di formazione per gli apprendisti (CFA), e che la destra francese ha suggerito di abbassare l’età minima per accedere all’apprendistato da 15 a 14 anni. E ciò benché tra il 2019 e il 2022 il 10,9% di morti sul lavoro avessero tra i 15 e i 24 anni, e nonostante l’Institut National de Recherche et de Sécurité (INRS) abbia certificato che gli incidenti sul lavoro sono 2,5 volte più frequenti tra i giovani con meno di 25 anni.

“Come in tutti i Paesi, anche in Francia il lavoro si sta intensificando. La settimana lavorativa legale è di 35 ore, ma la produttività richiesta è notevole”, dice Vivenza. “Questa intensificazione porta a organizzazioni del lavoro stressanti e spesso prive di logica. I compiti sono scarsamente definiti e il ricorso a fornitori di servizi e subappaltatori porta a una mancanza di lavoro di squadra. Il turnover porta alla stanchezza dei lavoratori più esperti, che non si prendono più la briga di accogliere e formare i nuovi arrivati”.

Quando la politica uccide: sempre meno diritti, formazione e ispezioni sul lavoro

Non è solo precarizzando il lavoro che in Francia si aumenta il rischio di incidenti fatali. Il Codice del lavoro, per un quarto (2.500 articoli sui circa 11.000 complessivi) dedicato proprio ai problemi di salute e sicurezza, è da tempo oggetto di tentativi più o meno massicci di revisione e “contenimento”, con il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, che spinge per comprimerlo in soli 150 articoli che definiscano i diritti fondamentali, per lasciare poi alla contrattazione aziendale tutto il resto.

Per ora questo è solo un progetto. Quello che invece è già stato fatto è sopprimere, nel 2017, i CHSCT (Comité d’Hygiène, de Sécurité et des Conditions de Travail), i quali, presenti nelle aziende con più di cinquanta dipendenti, vigilavano sulla sicurezza e la salute dei lavoratori. Ormai presidente, Emmanuel Macron ha deciso di farli confluire, insieme ad altri organismi, nel CSE (Comité Social et Économique), riducendo in modo drastico il numero degli addetti al controllo della sicurezza in azienda e prevedendone la presenza solo nelle imprese con oltre trecento dipendenti.

In parallelo e con la medesima ispirazione “dimagrante” si è messo mano all’Ispettorato del lavoro, che tra il 2014 e il 2018 ha perso il 6,5% dei suoi ispettori, arrivando a ridurre il rapporto ispettori-lavoratori a 1 su 10.000 nel 2021. Infine, non dimentichiamo la recente riforma che ha aumentato l’età pensionabile, costringendo anche i lavoratori di settori particolarmente esposti al rischio di infortunio e morte a lavorare fino a 64 anni.

Di contro, neppure le azioni volte a contrastare decessi e infortuni sembrano essere efficaci e sufficienti. “Il Governo francese”, dice Vivenza, “ha introdotto un piano per prevenire gli incidenti gravi e mortali, ma noi riteniamo che manchi di ambizione e non affronti il problema nella giusta direzione. In realtà tutti gli infortuni sul lavoro devono essere prevenuti, perché sono le circostanze e non le cause a determinarne la gravità”.

Le colpe dell’informazione francese: di sicurezza sul lavoro si parla poco e male

Di fronte agli attacchi concentrici alla sicurezza sul lavoro, i sindacati cercano di fare argine. Spiega Vivenza: “Ci battiamo per avere più democrazia sui posti di lavoro, norme più severe sull’uso dei subappaltatori e il ripristino dei CHSCT. È stato appena firmato un accordo per la riassegnazione degli ispettori della Sicurezza Sociale, stiamo portando avanti un programma per sensibilizzare i nostri attivisti su questi temi ed è in corso anche una campagna sul significato del lavoro. Infine, chiediamo che la medicina del lavoro venga integrata nella sezione infortuni e malattie professionali della Sicurezza Sociale per garantire l’indipendenza del medico, e per assicurare che lui e la sua équipe partecipino all’attuazione di una politica coerente di prevenzione della salute sul lavoro”.

Al di là dell’oggettiva responsabilità del sistema politico e produttivo rispetto all’enorme numero di infortuni mortali, vi è anche un grande problema di consapevolezza collettiva rispetto al tema, che passa attraverso la sua sottorappresentazione sui mezzi d’informazione. “Gli articoli riguardanti gli infortuni e le morti sul lavoro sono generalmente molto sintetici, confinati nella rubrica delle brevi, con pochissime informazioni circa le circostanze in cui avvengono e spesso senza esplicito riferimento al concetto di incidenti sul lavoro”, dice Lépine. Eppure gli 8.000 morti da lavoro stimati in Francia da qui al 2030 sembrano tutto tranne che qualcosa da derubricare come notizie da mettere a margine di pagina.

Insomma, eliminare il drammatico problema di queste morti richiede un cambiamento radicale di approccio al mondo del lavoro. Ma prima bisogna che tutti – imprese, politici, media, opinione pubblica – lo conoscano, e riconoscano.

 

 

 

Photo credits: francebleu.fr

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