“Il Long COVID mi ha tolto anche la casa”: la malattia aggravata dalle istituzioni

Raccontiamo la storia di Margherita Clemente, 47 anni, che ha perso la salute, il lavoro e l’abitazione a causa delle complicazioni del COVID-19, che durano ancora oggi: “Rivedere il bisogno socioassistenziale”

05.07.2024
Long COVID: una mascherina abbandonata per strada

“Se c’è una cosa che vorrei chiedere alle istituzioni? Quelle che chiederei sono tante, ma la cosa più importante è rivedere il bisogno socioassistenziale, senza fare differenze in base a dei requisiti prestabiliti che non tengono conto delle conseguenze del COVID-19, con cui io faccio tuttora i conti nonostante l’abbia preso per l’ultima volta nel 2022. Una persona malata ha oggettive difficoltà a lavorare, ha bisogno di assistenza, non deve esistere un malato di serie A e uno di serie B”.

A pronunciare queste parole è Margherita Clemente, 47 anni, una delle vittime del Long COVID nel nostro Paese. Usare la parola “vittima” non è casuale, visto che ancora oggi in Italia ci sono molte persone che hanno contratto il virus diverso tempo fa e lottano contro degli strascichi così pesanti da condizionare la loro salute, ma anche la loro stabilità economica, nonché la possibilità di avere un tetto sopra la testa.

Per far valere i loro diritti, nel marzo 2024, è nata la Rete Long COVID, con l’obiettivo di sensibilizzare le istituzioni e la comunità medica riguardo le difficoltà dei malati di Long COVID e promuovere la ricerca scientifica su questa patologia non riconosciuta, con il coinvolgimento attivo dei pazienti.

Margherita, che ne fa parte, non è nuova su SenzaFiltro: l’avevamo incontrata nel novembre del 2022, quando avevamo dato spazio alla sofferenza di tre donne affette da Long COVID che avevano perso il lavoro. Se, cliccando sull’articolo, non trovate il suo nome, è perché allora Margherita aveva preferito usarne uno di fantasia, pur di non inficiare la possibilità di un’assunzione: temeva che esporsi avrebbe potuto essere controproducente.

La storia di Margherita, affetta da Long COVID e presto senza casa

Adesso che è passato un anno e mezzo e che la sua situazione è peggiorata, preferisce metterci la faccia e raccontarci come la sua odissea non sia affatto finita, anzi rischia di peggiorare ancora.

Entro il 30 settembre 2024 dovrà lasciare casa in cui vive, in provincia di Parma, perché ha ricevuto una notifica di sfratto per morosità incolpevole (quando, cioè, non si può pagare un canone di locazione a causa della perdita o della consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare). L’udienza, che c’è stata nel maggio scorso, ha confermato quanto lei stessa paventava.

Ma procediamo con ordine cercando di ricostruire la sua storia.

Dal novembre 2022, quando l’abbiamo sentita per la prima volta, senza lavoro, ha iniziato la sua strada per avere il riconoscimento come categoria protetta.

“Sono riuscita a rientrare nel collocamento mirato con un’invalidità del 46% solo nel luglio 2023 grazie a uno psichiatra che mi ha aiutato molto, e che aveva a sua volta lavorato in diverse commissioni per patologie non riconosciute. Oggi è deceduto. Prima di lui, ho lottato contro i mulini a vento. La reazione era sempre la stessa: ‘Hai un tumore? No. Hai un trapianto? No. Quindi non ti posso concedere di più del percorso con un orientatore’”.

Se il Long COVID rende impossibile anche un lavoro part time

Margherita trova lavoro nel novembre 2023. Le viene offerto un contratto a tempo determinato di 21 ore settimanali per sei mesi, che l’azienda sarebbe stata disposta a rinnovare, ma per lei, nonostante la gioia di avere un impiego, portare avanti tutto non è semplice.

A seguito del Long COVID “ho avuto una diagnosi di neuropatia a piccole fibre, vivo con il dolore cronico, con mal di testa continui, nebbia cognitiva (tra i sintomi più frequenti del Long COVID, N.d.R.) e da mesi ho problemi cardiovascolari con picchi pressori e cardiaci. Per me non funzionano neanche i betabloccanti. Inoltre, tutta questa situazione è legata a quella che viene chiamata sindrome di POTS (tachicardia posturale ortostatica, N.d.R.), che può portare tutti i sintomi appena descritti, oltre ad apnee ostruttive”.

Per non parlare di svenimenti, vertigini e stordimento. Come ci spiega Margherita, e come leggiamo anche sul sito dell’Humanitas University (università dell’ospedale Humanitas a Milano), nei pazienti affetti da POTS manca l’equilibrio tra la costrizione dei vasi sanguigni e la risposta della frequenza cardiaca.

Dover percorrere 60 km ogni giorno per andare al lavoro è quindi faticoso, per Margherita: “Ho provato a chiedere lo smart working, ma lavorando come supporto all’ufficio acquisti e produzione volevano che fossi presente. Ho provato anche a chiedere che mi dessero delle mansioni diverse per via del mio stato di salute, ma non è stato possibile. Così al momento del rinnovo ho dovuto rinunciare”.

Da malata a caregiver. Senza poter pagare l’affitto

Ai suoi problemi si aggiungono quelli del marito, 25 anni più grande di lei, con una salute compromessa da diversi anni, al quale si ritrova a fare da caregiver.

Ma non solo: mentre entrambi lottano con i loro problemi di salute, si trovano ad affrontare anche la situazione della casa nella quale vivono: un’abitazione gestita da un ERS ACER, ente che prevede degli alloggi con un canone calmierato: il suo è in media di 450 euro più le spese condominiali. Canone che, quando si ritrova senza lavoro, con il marito malato e con pochi soldi per far fronte a tutto (per un periodo prende la NASpI), Margherita non riesce a pagare.

“Ho chiesto sia all’ente che ai servizi sociali di aiutarmi a sostenere l’affitto, adeguando il canone al mio ISEE. Sono riuscita, dopo diversi tentativi, a ottenere un contributo di affitto in deroga, che per un po’ sono riuscita a pagare. Fino a che, a causa della mancanza di lavoro e al fatto di dover avere una badante per mio marito, sono diventata morosa”.

Margherita prova a mettersi in pari con l’affitto non appena trova lavoro, nel novembre scorso; nel frattempo fa presente la situazione e le viene assicurato che potrà pagare quando riesce.

Finché nel gennaio del 2024, non ancora in pari con i pagamenti, riceve la notifica di sfratto confermata dall’udienza del maggio scorso: a fine settembre dovrà lasciare l’abitazione.

Mentre continua a chiedere aiuto e a lottare affinché il coniuge abbia la giusta assistenza, arriva un’ulteriore batosta: il 2 aprile 2024 il marito muore.

“Oggi sono rimasta sola e senza casa. Inoltre, visto che soffro di Long COVID e mi è stata diagnosticata la neuropatia a piccole fibre, mi devo spostare per farmi curare. Da quattro anni faccio la spola tra gli ospedali di Pavia, Milano, Modena e Bologna. E per me è molto complicato: sto male a compiere qualsiasi sforzo. A questo punto, essendo rimasta senza nulla e nessuno, vorrei trasferirmi in Lombardia, dove mi è sembrato di avere maggiore aiuto dal sistema sanitario, ma senza un lavoro è difficile trovare un’abitazione. In quattro anni ho perso i miei genitori e mio marito, l’unica persona che mi capiva e mi è stata sempre vicina. La mia vita è stata condannata dal COVID-19, e ancora oggi devo lottare non solo per stare meglio, ma per far riconoscere il mio stato di salute”.

 

 

 

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Photo credits: assediobianco.ch

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