Si chiedono dove mettano i soldi le coop che li impiegano. Gli educatori romani manifestano contro le irregolarità salariali: “Volevano pagarci la malattia con la cassa integrazione”. Il caso di tre educatrici, cacciate da scuola e spinte a firmare registri irregolari.
Fulvio Greganti, pubblicitario, giornalista e scrittore, sull’idea di nazione
Gli ideali di nazione hanno nascita ufficiale nel Rinascimento, ma esistono da parecchio tempo prima. La traccia B1 della maturità 2023 svolta da Fulvio Greganti, agente pubblicitario, giornalista e scrittore
Parlare dell’idea di nazione, a partire dal saggio di Federico Chabod, è un’esigenza dei nostri tempi. Discutere di un principio di individualità e di un’idea romantica è un approccio corretto ma, molto più opportunamente, bisognerebbe considerarne i prodromi e le conseguenze.
La terra dei padri e il sentimento di appartenenza è caratteristica di ogni luogo. Se pensiamo ai primi insediamenti, se ci ricordiamo le prime popolazioni primitive attorno al fuoco, dobbiamo per forza essere consapevoli che è sempre esistita un’intima accettazione delle proprie tribù, dei propri villaggi anche non in contrapposizione agli altri individui. È novecentesca l’idea dei nazionalismi aggressivi e bellici, è completamente moderna l’idea chiusa e da steccato della nazione come difesa di interessi corporativi e conflittuali.
Tutti i più grandi scrittori e pensatori italiani della nostra storia sono stati patrioti. Dante Alighieri, che ancora vagheggiava, da ghibellino, l’impero; Alessandro Manzoni che, da cattolico, rivendicava la libertà della Penisola; Giuseppe Ungaretti che, attraverso le sue poesie, aveva nostalgia di un sentimento nazionale perduto. Analizzando più nel dettaglio gli ultimi secoli della nostra storia attraverso Federico Chabod, possiamo considerare che perfino il fascismo propugnò una torsione violenta e ingiustificabile dello spirito nazionale. Allora dove nasce questo bisogno che in certo qual modo hanno esercitato tutti, singoli cittadini e popoli? È un qualcosa di esterno all’individuo oppure un diritto primigenio?
Da osservatore molto attento ai fenomeni di massa e di costume, ho sempre fatto molto caso all’utilizzo del tricolore durante le elezioni politiche, soprattutto dal 1945 in poi. Per moltissimi anni solo due partiti diversissimi tra loro avevano nel logo la bandiera italiana o qualcosa di simile. Sul finire del 2023 la stragrande maggioranza dei partiti era colorata di bianco rosso e verde. Di sicuro in certe situazioni particolari questa esigenza è più avvertita ed è sempre strettamente connessa al principio di libertà. Non può esistere il concetto di nazione senza libertà. Libertà da invasori esterni ma libertà anche rispetto a se stessi. Libertà non come licenza, ma come piedistallo necessario per rivendicare determinati valori.
Se vogliamo ragionare per schematismi oziosi e inconcludenti, potremmo concludere che allora l’universalismo ha il fiato corto, ma trarremmo una scorciatoia pericolosa e ingiusta. Il sogno di una terra utopica e senza confini, l’affermazione di principi generali che valgono per tutti, in definitiva l’isola che non c’è, non è solo astrazione e fumisteria inutile. Come diceva Giovanni Verga, spessissimo la verità si vede lontano dalle situazioni contingenti.
Anche Federico Chabod era figlio del suo tempo. Valdostano, partigiano, ha svolto nella sua carne il ruolo che gli competeva sia come politico che come storico e pensatore. La sua ricognizione dell’idea di nazione passò in rassegna il Romanticismo, il Risorgimento, la Resistenza, tre momenti storici intensissimi che hanno riaffermato, in epoche diverse, l’italianità nella sua accezione più ampia. In maniera molto più controversa, anche Giovanni Gentile, il filosofo italiano poi compromesso con il fascismo, individuò nel primo Romanticismo e nel Risorgimento, in perfetta continuità, il compiersi del popolo italiano in nazione.
Nel corso del nostro Risorgimento, Camillo Benso conte di Cavour coniugò sempre l’idea di nazionalità con quella dell’agibilità e della libertà politica, per fare in modo che il Regno di Sardegna prima e la nascente Italia dopo rivaleggiassero, in condizioni di parità, con la Francia e l’Inghilterra. La sua politica fu graduale, figlia del compromesso, dialogante con l’opposizione (di qui il termine “connubio”), laica e moderna, rispettosa del tempo ma ostinata nell’accentuare i caratteri avanzati delle prime industrie nascenti.
Giuseppe Mazzini incarnava invece la nazione come patria spirituale che si doveva necessariamente confrontare con il cerchio concentrico più grande della nazione europea se voleva progredire in termini certi e decisi. Si è molto parlato in questi anni di Mazzini come dello scopritore della triade Dio, patria e famiglia. C’è del vero se si interpretano correttamente le parole. Per Mazzini la patria era spirituale e ascensionale, la famiglia era la cellula primaria della società, e Dio era il sentimento trascendente e mai una religione confessionale. Quando si parla di umanità in Giuseppe Mazzini si ricorda espressamente questo: la convinzione che nessuno si salvi da solo, bensì all’interno di un quadro complessivo dove, accanto alla libertà e all’uguaglianza, doveva prendere posto anche l’associazione o, appunto, umanità.
Abbiamo definito così in tutto e per tutto l’idea di Nazione e non manca più niente? Nel corso dei secoli mi hanno sempre molto affascinato tutti quei pensatori che, metaforicamente, hanno messo in relazione le istituzioni pubbliche e politiche e le prerogative della persona. Lo facevano i pensatori organici dell’alto Medioevo, lo facevano Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti con il loro primato morale, ma lo faceva soprattutto Platone con la sua Repubblica, che all’università viene studiata sempre in modiche quantità e non integralmente. Il “pericoloso” organicismo platonico affermava in maniera perentoria e molto al di là della metafora che c’è una relazione strettissima tra anima e polis, tra istituzioni e corpo, tra vita degli individui e vita politica.
E dunque la nazione non potrebbe essere un principio generatore, un principio originario, un principio di vita? E dove se ne va a finire la libertà se si sposa in pieno questo tipo di approccio? Una falsa interpretazione del platonismo immagina che questi pensieri siano il frutto elitario e parziale di quello che accadeva nella sua epoca, e non il tentativo di superare i secoli. Tutte le filosofie degne di questo nome hanno espresso, di solito, pensieri duraturi e permanenti. La sua libertà non avrebbe mai potuto essere quella dei moderni, che si traduce spessissimo in licenza; la sua libertà non prevedeva una vita civile al di fuori dello Stato; non ragionava in termini di inutili individualismi. E allora?
Allora, per tornare al nostro oggi, alla nostra epoca piena di diritti inalienabili, forse dobbiamo cambiare frequenza. Sintonizzarci sulle nostre anime, sul nostro agire, sul nostro sentire. Sintonizzarci soprattutto sui nostri costumi, sul loro senso comune e sulle loro virtù, e coniugare la libertà, così come la nazione, in senso positivo, come un qualcosa che si possiede fin dalla nascita. Le dittature, gli autoritarismi, i totalitarismi che si sono serviti delle bandiere per scopi malvagi e violenti hanno agito come infiltrati al servizio di idee deviate. Spesso il bene ed il male sono principi opposti, ma vicini, e con facilità ci si schiera con gli uni e con gli altri senza considerarne le conseguenze.
In definitiva l’idea di nazione, tecnicamente, in Europa è nata con il Romanticismo, è vero; ma è altrettanto vero che una certa idea di nazione preesisteva ancora prima, e preesisterà anche dopo, fino alla fine dei nostri giorni.
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