Gli intellettuali di sinistra e quando Mughini mi tirò il suo libro

Recensiamo “Senza intellettuali” di Giorgio Caravale, uscito per Laterza. La politica italiana e come ha usato la cultura: solo per sé stessa

Gli intellettuali di sinistra e quando Mughini mi tirò il suo libro

Finita l’ultima pagina di Senza intellettuali (Laterza, 2023) mi sono chiesta: che vita farei nel presente se mi inventassi tutt’altra storia personale nel passato? Dovessi dire di cosa parlano le 130 pagine firmate da Giorgio Caravale, professore di Storia Moderna alla Università Roma Tre, direi proprio questo: il rapporto col passato, e con la cultura, che la politica italiana ha intessuto negli ultimi trent’anni e di come la mia generazione si sia inventata una storia che non aveva pur di fare colpo sugli elettori.

Dico Renzi per dire quella generazione, dico Renzi per intendere una parte per il tutto e mettere a emblema il politico che più di chiunque altro, dalla seconda Repubblica in poi, ha reso la presunta cultura uno strumento mistificatorio. Segnatevi da pagina 37 in poi del libro, io ci ho trovato lo snodo: l’Italia figlia di quel modello che Caravale sintetizza con l’intellettuale ad personam e che muove i passi con Tony Blair a cavallo dei due millenni e che molti politici europei hanno fatto proprio pescando nomi in mezzo ai pensatori più in voga – psichiatri, storici, filosofi – e fondazioni culturali che iniziarono a scendere copiose su di noi come piogge tropicali. L’autore rievoca il Renzi che nel 2013 si fece fotografare a Roma davanti alla Feltrinelli di Piazza Colonna con in mano una pila di libri da cui far sbucare, bello in vista, Il complesso di Telemaco di Recalcati: da lì a poco avrebbe tenuto al Parlamento Europeo il discorso inaugurale del semestre di presidenza italiana rivendicando che le nuove generazioni avevano “il dovere di riscoprirsi Telemaco e il dovere di meritarsi l’eredità”. Scopro anche che in quegli anni Renzi usava come ghostwriter la grecista Andrea Marcolongo, figlia della Holden di Baricco, Baricco che Renzi provò ad avere come Ministro della cultura nel governo 2014, invito astutamente rifiutato.

La cultura costruita a tavolino è ignobile per natura e tradisce suo padre, altro che Telemaco figlio di Ulisse.

All’opposto la politica consumistico-edonistica di Berlusconi che candidamente diceva di fidarsi più del parere di Raimondo Vianello e di Mike Bongiorno e degli ascolti televisivi, cioè del popolo, che di un qualsiasi intellettuale da usare a fantoccio. Lo stesso Berlusconi che univa i puntini dalla Tatcher a Don Sturzo. O della Lega dei primi tempi, quando testava che effetto facesse ripetere ogni tanto dal palco dei comizi “come diceva Kant”, confessando poi di non sapere nulla di Kant e di avere la certezza che il suo elettorato volesse continuare a non saperlo. Troppo in alto la testa per la destra, convinta che i voti arrivino dalla pancia in giù.

Caravale passa in rassegna l’arco parlamentare senza tralasciare nessuno a destra e a sinistra, dalla linea Gramsci dell’intellettuale cosiddetto organico al partito fino a oggi. Gli invidio un senso tale della misura che un giorno, a metà libro, vado su google a cercare meglio chi sia, che vita faccia, se si è mai esposto politicamente, è talmente neutro che fa invidia ai saponi per bambini. Gli scrivo una mail all’indirizzo di Roma Tre, credo ci sia un piccolo buco tra gli intellettuali citati, non leggo del poeta Davide Rondoni che nel 2019 salì sul palco del PalaDozza di Bologna a supportare la campagna elettorale firmata Lega e Salvini per la Borgonzoni candidata presidente di Regione. Caravale è in ferie ma mi risponde, è diretto, è onesto, “(…) non ricordavo del legame di Rondoni con Salvini. Ho letto qualcosa online ed è un caso interessante anche se mi sembra privo di risvolti politici. Grazie per la recensione che leggerò molto volentieri”. Un professore medio italiano non avrebbe ammesso di aver omesso, lui l’ha fatto e gli ho detto grazie. Poi ci siamo scritti ancora.

Del libro mi resta la inesauribile, affannosa, muta della sinistra che alla fine muta ci è rimasta.

Nel 2018, al momento del firmacopie per il suo libro Era di maggio. Cronache di uno psicodramma, arrivato il mio turno chiesi a Giampiero Mughini – testa bassa mentre mi scriveva qualcosa sul frontespizio – se non pensava che la sinistra avrebbe fatto meglio ad aprire tutti i recinti in cui aveva blindato da sempre la cultura come fosse proprietà privata, impedendo che prendessero aria sia lei che l’Italia. Poiché a inizio presentazione si era lamentato dell’età media altissima presente in sala, rincarai la dose ipotizzando che forse da noi l’amore per la cultura l’avevano fatto invecchiare quelli della sua generazione negandone il passaggio ai giovani. Mi lanciò il libro tra la faccia e il tavolo, sono convinta che il gesto gli venne peggio delle intenzioni, dicendomi a mezza bocca che non era una domanda da fare. Io faccio le domande che spero servano ad avere risposte e il suo gesto lo è stato.

Siamo o non siamo ancora una terra di intellettuali, dato che nel frattempo abbiamo snobbato i poeti, i navigatori e i santi? Prima di leggere il libro avrei detto di no, dopo aver letto il libro dico di no ancora più convinta e a malincuore. Senza intellettuali l’avevo preso in prestito in biblioteca, domani vado a comprarlo.

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