Ma come si spiega un così modesto incremento salariale, soprattutto a fronte dell’impennata del costo della vita?
La risposta è da ricercarsi in una inadeguata indicizzazione degli stipendi e nel gran numero di Contratti nazionali scaduti ancora in attesa di rinnovo. La “modesta dinamica retributiva osservata nel comparto industriale“, spiega l’ISTAT, “si associa alla limitata entità degli incrementi fissati dai rinnovi siglati tra il 2020 e 2021 (quando le aspettative inflazionistiche erano ancora molto contenute). Nel settore dei servizi la più contenuta crescita salariale è anche legata al fatto che più della metà dei dipendenti è in attesa del rinnovo del CCNL”; rinnovi che sono l’occasione per rinegoziare gli aumenti salariali a livello collettivo.
E i contratti nazionali in attesa di essere rinnovati a fine marzo 2023 sono 32, con circa 6,9 milioni di dipendenti coinvolti, il 55,6% del totale. Alla fine di marzo, i 41 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 44,4% dei dipendenti – circa 5,5 milioni – e corrispondono al 43,8% del monte retributivo complessivo. Nel corso del primo trimestre 2023 sono stati recepiti i CCNL di autorimesse e autonoleggio, servizi socioassistenziali, gomma e materie plastiche, vetro, FIAT, lavanderie industriali. Il resto dei lavoratori dovrà aspettare. Ancora.