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Hamas, Israele e noi ostaggi delle non-notizie
Quanto sta accadendo in Medio Oriente è ancora più difficile da capire attraverso i giornali italiani: c’è chi delega la verifica delle fonti all’esterno, chi la ignora del tutto, e chi continua a far passare spazzatura per notizie per ottenere qualche lettore in più
Quello che sta accadendo in Medio Oriente è molto, molto serio. La violenta escalation di Hamas, i rapimenti, il degenerare di un conflitto la cui fiamma non si è mai sopita ma, al contrario, ha sempre continuato ad ardere sotto le macerie; tutto questo spesso sfugge ai nostri occhi, perché la pagina “Esteri” dei nostri telegiornali non è la pagina “Esteri” di Al Jazeera TV o degli altri grandi network mondiali. Ci siamo accontentati per anni di farci raccontare degli estrosi cappellini della Regina Elisabetta dal corrispondente a Londra e abbiamo finito per confondere il gossip di Palazzo con il racconto degli oltre 170 conflitti attualmente in corso nel Pianeta secondo l’UCDP (Uppsala Conflict Data Program).
Bisognerebbe poter leggere, invece, lo scacchiere internazionale per contestualizzare tale escalation di violenza in cui svolge un ruolo la storica “distensione” delle scorse ore tra Arabia Saudita e Israele, che sarebbe stata di fatto la miccia che ha innescato una risposta violenta; replica che però era già abbozzata, disegnata, pronta a essere messa in atto. Ma cosa accade nel mondo dell’informazione? Oggi i giornali devono rincorrere questo approccio da all news, di quelle che chi ha avuto la fortuna di viaggiare all’estero – specie avvicinandosi al Medio Oriente – conosce bene, per poter raccontare dopo mesi cosa stia accadendo nel territorio israelo-palestinese.
Ci provano, eh. Come ci ha provato La Stampa, che in queste ore esce con un articolo in cui si racconta dei rapimenti di Hamas: un bel testo, in cui ogni video commentato, però, si sottolinea essere verificato dalla BBC. Che la Regina ce l’aveva in casa, certo, ma che dimostra di avere a cuore la verifica della veridicità di documenti video, che invece con il quotidiano italiano viene delegata all’esterno.
Certo, almeno in questo caso però la verifica c’è. Non come è accaduto al Corriere TV, che (scopro dalla irriverente pagina Facebook “Osservatorio sul declino della stampa italiana”) passa online sulla sua piattaforma (e poi rimuove) il video di un festeggiamento dei tifosi algerini del CR Belouizdad per il quarto titolo vinto di fila confondendolo con i razzi di Hamas.
Mi chiedo come si possa essere così leggeri mentre si racconta online un conflitto che rischia di essere quella famosa goccia che fa traboccare un mondo sull’orlo del baratro, al punto da far gridare ai russi “Urrà! Ora non penseranno più all’Ucraina!”, in un contesto globale interconnesso in cui la famosa farfalla che sbatte le ali a Ramallah provoca un terremoto a Kiev.
Non ho una risposta a tutto questo. Posso credere (ma lo credo da quando faccio divulgazione, e parlo quindi di otto anni dal mio primo seminario pubblico sul tema della qualità dell’informazione digitale) che a costo di vedersi chiedere numeri su numeri su numeri (a fronte di una manifesta incapacità di capitalizzarli economicamente) chi lavora sul versante digitale del giornalismo, meno nobile per motivi mai del tutto compresi, perda il contatto con quelle due o tre conditio sine qua non per definirsi giornalista. E allora finisca per cadere nel tranello del “clicca e pubblica“, confondendo fumogeni dalle case per bombardamenti. Cieli rossi di gioia per cieli rossi di sangue.
Come si arriva a ciò? Difficile dirlo per certo, ma nel Paese che ha dato i natali alla Bidella dell’Alta Velocità con una vicenda che ha monopolizzato il dibattito pubblico non sorprende. E non stupisce che con una situazione geopolitica del genere, nel pieno della crisi, scopriamo a giornali autorevoli unificati che Flavia Vento ha visto la Madonna in un campo da golf. Che lo ha detto in diretta Rai durante il contenitore della domenica condotto da Mara Venier, informandoci inoltre che sono dieci anni che non fa sesso. Mentre il mondo si appresta a finire, qualche deskista ha ritenuto di (o ha dovuto) occuparsi della vita sessuale e delle suggestioni mistiche di una soubrette diventata famosa perché chiusa in una gabbia trasparente durante una trasmissione di anni e anni fa.
È una questione di opportunità. È come la battuta fuori posto durante un funerale: se vuoi vestirti di nero lo devi fare bene. Ma di cosa ci sorprendiamo? Nei giorni scorsi ricordava Osvaldo Danzi nel suo podcast che si discuteva del DEF e l’Italia parlava tutta della pesca di Esselunga. Financo la politica.
Ma concedetemi un momento per allargare il campo, anche perché altrimenti sembra il solito “solone” su una stampa mediocre mentre è l’intero Paese a esserlo.
Quando abbiamo delegato ad algoritmi social l’onere di informarci, abbiamo deciso che debbano essere sia il signor Zuckerberg che il signor Shou Zi Chew che tutti gli altri patron delle multinazionali digitali a decidere come intrattenerci, anche con le notizie. Persone e piattaforme che perseguono obiettivi solo commerciali hanno la possibilità di suggerirci passivamente cosa vale la pena leggere. E noi, come polli, ci caschiamo.
Mentre un autobus volava giù portando via con sé più di venti persone e sollevando mille dubbi su come sono messe in sicurezza le strade italiane, mentre il Governo approvava un piano da 52 milioni di euro per “non” risolvere la questione Campi Flegrei se non in un piano che forse vedremo fra tre mesi, mentre Hamas colpisce Israele e mentre in Ucraina si continua a sparare, ad andare virale sui social con risolini e battute spicce è la storia di una donna di quarant’anni che non ama farsi chiamare signora perché si sente ancora giovane (e saranno pure fatti suoi), che abbordata da due aitanti giovinotti di vent’anni sente di doverli interrogare in cultura generale dando sfoggio della sua sapiosessualità. Il tutto lo racconta la donna stessa, in un post social la cui veridicità è pari al fatto che il valore della notizia è uguale a zero. Autorevole come i racconti inventati dalle pagine Facebook, pensati apposta per farsi cliccare. Neanche questa storia, però, si ferma alle paginette di colore, ma approda sul Messaggero, che decide di promuoverla al valore di Notizia.
Questa è la fotografia dell’informazione italiana, e la colpa non è solo delle logiche commerciali, delle mancate monetizzazioni, di giornalisti mal pagati e distratti o di editori dalle scelte rivedibili. La colpa è anche di tutti quelli che a botte di commentini e condivisioni lasciano marcire le proprie bolle digitali all’insegna della vacuità totale, che porta altra vacuità in un bombardamento di contenuti vuoti che le piattaforme continueranno a proporre come premiali.
L’unica arma in nostro possesso per invertire la rotta? Leggere cose che valga la pena leggere. E far sparire dagli occhi l’informazione che non è tale, a colpi di defollow e “nascondi“.
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