Il clima è peggiorato, ma anche noi

Milano Marittima è il luogo in cui vado da quando ero ragazzo, e dove da tre anni, da aprile a settembre, passo la maggior parte del mio tempo. Una località che è sempre stata nelle pagine della cronaca rosa per la presenza di veline e calciatori, per le sue discoteche, i suoi bagni, gli street […]

Milano Marittima è il luogo in cui vado da quando ero ragazzo, e dove da tre anni, da aprile a settembre, passo la maggior parte del mio tempo.

Una località che è sempre stata nelle pagine della cronaca rosa per la presenza di veline e calciatori, per le sue discoteche, i suoi bagni, gli street bar e lo shopping nelle boutique delle più prestigiose griffe. E che è salita improvvisamente alla ribalta della cronaca nazionale, in questi giorni per motivi molto diversi: un tornado devastante che in pochi minuti l’ha messa in ginocchio, ma soprattutto per il coraggio e la sua straordinaria capacità di reagire e rialzarsi immediatamente, pronta a offrire ai suoi turisti, l’indomani, il consueto buongiorno, con sorrisi aperti e sinceri come succede solo in questo angolo d’Italia.

Da tempo sostengo che se il turismo del nostro Paese venisse dato per cinque anni in gestione ai romagnoli avremmo risolto il problema del PIL nazionale. Lo so, sono di parte, ma chiunque abbia passato almeno un week end in Liguria e uno in Romagna sa perfettamente di cosa sto parlando.

 

Il tornado a Milano Marittima e la reazione dei romagnoli

Iniziamo col dire che si è trattato di un vero miracolo se invece di raccontare la capacità di reazione dei romagnoli oggi non ci troviamo a piangere decine e decine di vittime. La mattina di mercoledì 10 luglio, mezz’ora prima del tornado, ha iniziato a piovere molto forte: unico motivo per il quale la spiaggia e le strade erano deserte nel momento in cui il tornado si è scatenato con tutta la sua violenza – e si è evitata la tragedia.

 

Chi pensa che stia esagerando è invitato ad andare sulla pagina Instagram di “cerviaemilanomarittima” e guardare i filmati in cui pini marittimi secolari cadono come birilli, e i lettini e gli ombrelloni della spiaggia viaggiano come proiettili a oltre 100 km all’ora fino a 15 metri di altezza.

Come ha scritto Andrea Gramellini sul Corriere della Sera nell’articolo intitolato Romagna Capitale: “Milano Marittima avrebbe avuto tutte le ragioni per maledire il destino cinico e baro. Solo che non le è venuto in mente: aveva troppo altro da fare. Doveva coricare gli alberi sui lati della strada, recuperare le sdraio volate in mare, riparare i chioschi di piadina e accogliere i bagnini del circondario venuti a dare una mano non per buonismo, ma perché integrati nella stessa comunità”.

I bagnini del circondario, quegli stessi bagnini di confine che ogni anno a inizio stagione discutono animatamente per quei 10/15 centimetri di pertinenza del loro stabilimento, quando si piazzano le passerelle e i supporti per gli ombrelloni in attesa dei turisti, nel momento del bisogno corrono senza indugi in supporto dei loro colleghi. Una volta un importante imprenditore della zona mi ha detto: «Lo sai perché i bagnini di queste zone fanno i soldi nonostante questo mare, mentre quelli di altre spiagge d’Italia che hanno a disposizione un mare tra i più belli del mondo no? Perché quando chiedi a un bagnino di queste zone come va, ti risponde: “Non bene, si può fare meglio e si può fare di più”, anche quando hanno la spiaggia piena e i “lettini a castello”».

Tutti insieme quindi, uniti per il bene comune senza preoccuparsi del proprio spazio, dei propri interessi personali; senza aspettare supporto da chissà quale entità, né perdere tempo a cercare capri espiatori e discutere di cause e responsabilità: tutti insieme, uniti per risolvere il problema e ripartire con la consapevolezza che, se si pensa di poter essere furbi individualmente, si finisce inevitabilmente per essere stupidi collettivamente. Ma da queste parti collettività e comunità hanno ancora un grande senso e un grande valore, perché che ti piaccia o no prima o poi con quella collettività ci devi fare i conti, dalla scuola di tuo figlio ai trasporti, dai rifiuti ai servizi pubblici e alla sanità. I medesimi valori che hanno animato in fretta Abruzzo e Marche nelle ore in cui sono state colpite dagli stessi disastri ambientali, pochi giorni fa.

Immagine dei danni nel tratto di spiaggia di Milano Marittima, subito dopo il passaggio del tornado.

 

Per la cronaca, a Milano Marittima a tirarsi su le maniche e ricostruire non c’erano solo i romagnoli, ma anche ragazzi e ragazze dell’Est Europa che da anni lavorano nei ristoranti, negli hotel e negli stabilimenti balneari della riviera.

 

I cambiamenti climatici e i loro negazionisti. Ma nel 2050 Madrid sarà come Marrakech

Cause e responabilità sono evidenti: la causa si chiama “cambiamenti climatici”, e la responsabilità è di tutti noi.

Negli anni Settanta gli studiosi hanno iniziato a parlare di rischio ambientale. A fine 2017, 11.000 scienziati hanno ribadito che si trattava di una situazione di emergenza e che dovevamo agire subito. Una ricerca pubblicata di recente su Plos One ha simulato come il cambiamento climatico impatterà realmente su 520 città del mondo. Madrid nel 2050 avrà un clima simile a quello di Marrakech oggi, Stoccolma sarà simile a Budapest, Londra a Barcellona, Mosca a Sofia e Milano a Dallas. Continuiamo però a pensare che non ci riguardi, che è solo propaganda, che si tratti di ingiustificati allarmismi. Questa tendenza viene definita “divario del consenso”, il gap tra conoscenza scientifica e opinione pubblica.

Gli scienziati, appunto: quelli che vengono spesso screditati agli occhi dell’opinione pubblica e definiti con ironia “professoroni” ogni volta che obiettano o sollevano dubbi rispetto a teorie strampalate, o che ci sollecitano ad aprire gli occhi su temi ben più importanti di quelli che si trovano oggi nelle agende dei governi. Gli uomini di scienza, spesso umiliati nei salotti televisivi a dibattere di vaccini o di rischio idrogeologico con cantanti, attori e starlet del momento.

Peccato che siano poi gli stessi che li deridono in pubblico a rivolgersi a loro in privato ogni volta che hanno il bisogno di affrontare un problema serio, che richiede conoscenza e competenza; che si tratti di un chirurgo, di un economista o di un principe del foro. In quei casi i professoroni smettono di essere caricature per indossare i panni degli esperti di cui hanno disperatamente bisogno; quelli che hanno competenza, conoscenza e cognizione di causa, quelli a cui dovremmo affidarci e di cui dovremmo fidarci.

In un momento in cui terrapiattisti, complottisti, no vax e revisionisti storici riempiono salotti televisivi, social e piazze, il “divario del consenso” ha raggiunto il suo punto di picco massimo, e non sorprenderà nessuno scoprire che, come emerge da uno studio condotto da Bobby Duffy (il direttore della sezione inglese dell’istituto di ricerca Ipsos), il nostro è il Paese che più distorce la realtà, dal numero di omicidi all’immigrazione fino all’incidenza del diabete.

In questo scenario in cui la propaganda ha la meglio sulla scienza non sorprende che Greta Thunberg venga definita “Gretina” e “rompiballe” senza scandalizzare nessuno, bensì suscitando sorrisi e consensi da quella che oggi si definisce “pancia” del Paese. E forse non è un caso se nelle ultime Europee i partiti ecologisti hanno avuto grandi consensi ovunque tranne che in Italia, dove l’unica lista ambientalista si è fermata al 2,3%. Nel nostro Paese, quello che forse più degli altri dovrebbe avere a cuore questo tema.

È tempo di affrontare il cambiamento climatico con serietà e senso di responsabilità, portandolo al centro del dibattito politico e nell’agenda di ogni individuo che abbia a cuore le sorti del pianeta. Si stima che limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi costerebbe circa 830 miliardi di dollari: è un impegno enorme, ma qual è il prezzo da pagare se non facciamo nulla?

È chiaro che nessuno da solo può risolvere il problema, ma è altrettanto evidente che ognuno può e deve avere un ruolo attivo in questo processo di cambiamento, assumendosi la responsabilità delle proprie scelte individuali e delle proprie azioni quotidiane; magari rinunciando a qualcosa oggi per preservare un bene comune che si chiama ambiente.

 

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