Il paradosso dell’Inail che assume senza tutele

Eroi senza tutela. Perennemente sottorganico, l’Inail assume personale sanitario ma non lo salvaguarda. Con l’ulteriore rischio di perdere il posto a emergenza finita.

Il tema delle assunzioni del personale sanitario continua a essere una delle criticità più gravi in Italia in questa seconda ondata pandemica. Infermieri, dottori, tecnici e OSS restano fortemente sottorganico. E sono fin troppi i lavoratori con contratti precari o libero professionali.

L’Inail senza le dovute tutele del proprio personale sanitario. La parola a USB

È l’Unione Sindacale di Base (USB) a rilevare un paradosso che fa ancora più male se consideriamo la retorica degli eroi che ha investito il personale sanitario nel corso della prima ondata. L’Inail, l’ente preposto alla tutela di lavoratori e lavoratrici italiani contro il rischio da infortuni e malattie professionali, per fronteggiare la crisi ha assunto nelle proprie strutture sanitarie medici e infermieri con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co), al pari di migliaia di colleghi in sanità.

Lavoratori autonomi che mancano di retribuzione adeguata, ferie, malattia e copertura assicurativa Inail contro gli infortuni sul lavoro. Proprio l’Inail che – per i casi di COVID-19 – riconosce la presunzione di origine professionale. Lavoratori in prima linea contro la pandemia, a contatto diretto ogni giorno con il rischio contagio, ma privi delle necessarie tutele.

Come rivela l’USB, un medico Inail con contratto co.co.co è stato contagiato. E ora cosa accadrà? Quali sono le sue tutele in caso di assenza, malattia, infortunio e postumi derivanti da questa malattia, di cui non si conoscono ancora le vere conseguenze sul piano sistemico? È per avere risposte a queste domande che il sindacato ha scritto ai ministri interessati, chiedendo di intervenire e modificare la tipologia del contratto di lavoro, trasformandola in contratto subordinato a tempo determinato.

Il presidio del 9 novembre scorso presso il ministero della Sanità e lo sciopero del 25 novembre, che ha coinvolto anche scuola, servizi educativi e trasporti locali, sono occasioni per rinnovare a governo e istituzioni quelle che sono considerate priorità inderogabili per il sistema sanitario: assunzioni stabili e massicce di personale; potenziamento della medicina territoriale, della prevenzione e delle attività di tracciamento; recupero di posti letto e ripristino delle strutture abbandonate negli anni.

Le poche e precarie assunzioni degli ultimi mesi, lamenta l’USB, non hanno permesso alcun investimento stabile in termini di formazione del personale e pianificazione delle attività di cura. Inoltre quanti operatori sanitari, con contratti co.co.co o partite Iva, saranno disposti a lavorare per pochi mesi con il rischio di essere gettati via a emergenza finita?

La carenza di personale sanitario: una piaga strutturale

Il caso dei reparti d’urgenza degli ospedali Santi Paolo e Carlo di Milano, con la lettera-denuncia del personale sanitario, rimarca per l’ennesima volta la carenza di medici specialisti, infermieri e operatori sociosanitari negli ospedali italiani. Per non parlare delle residenze per anziani: erano già troppo pochi prima della pandemia, a causa di anni di tagli alla sanità pubblica, vuoti nei percorsi formativi e pensionamenti (quota 100 e non solo), considerando l’età anagrafica avanzata di una parte del personale.

Uno studio Anaao Assomed datato marzo 2019 prevedeva che al 2025 sarebbero mancati almeno 16.500 medici specialisti. È un problema che viene da lontano, quindi, e che ora con il COVID-19 è deflagrato.

Prendiamo, nello specifico, gli infermieri. La carenza preesistente in questa categoria – almeno 53.000 unità – è stata aggravata dall’alto numero di contagi. Nel nostro Paese, secondo gli ultimi dati forniti dalla Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) basati proprio sulle rilevazioni e sui rapporti Inail, sono oltre 28.000 i contagi (in aumento) con 49 decessi al 19 novembre. In gioco c’è la salute di operatori e pazienti. Ogni infermiere dovrebbe, infatti, assistere al massimo sei pazienti per ridurre del 20% la mortalità, ma attualmente ne assiste in media 11.

L’Ocse, nel suo nuovo rapporto Health at a Glance Europe 2020, ha indicato come gli infermieri siano aumentati nei Paesi dell’Organizzazione tranne che in Italia, dove sono sempre 5,7 per mille abitanti contro una media di 8,2. Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up, ha calcolato che il fabbisogno attuale corrisponde a oltre 90.000 infermieri, ma per risolvere una volta per tutte la grave penuria che rende incerta l’assistenza occorre coinvolgerli con “politiche contrattuali adeguate e valorizzanti. Se il governo avesse messo in atto la strategia sacrosanta dei contratti a tempo indeterminato con retribuzioni degne dell’elevata professionalità degli infermieri italiani, non lasciando che in alcune regioni (vedi la Campania) i precari tra gli infermieri COVID-19 raggiungessero, scandalosamente, anche fino all’80% del personale, e se avessero richiamato anche i tanti colleghi all’estero, letteralmente scappati via di fronte a proposte ben più gratificanti, forse oggi potremmo contare su almeno il 20-30% di infermieri in più rispetto alla carenza attuale”, ha dichiarato De Palma, critico nei confronti del bando Arcuri per il reclutamento di personale che darà il via alla campagna di vaccinazione.

L’avviso pubblico riguarda la selezione di cinque agenzie per il lavoro cui sarà affidato il reclutamento e l’assunzione con contratto a tempo determinato di nove mesi (rinnovabili) di 3.000 medici e 12.000 infermieri e assistenti sanitari, che dovranno sostenere la campagna di somministrazione del vaccino. “Perché – incalza il presidente del Nursing Up – nessuno ha pensato a coinvolgere gli oltre 30.000 infermieri, su poco più di 250.000 dipendenti di ospedali e ASL che operano già sul territorio e negli ambulatori, oppure gli altri 230/250.000 circa tra liberi professionisti e dipendenti privati?”.

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