L’Italia dei musei a cielo aperto: ma chi paga il biglietto?

Avrei dovuto aspettarmelo: quando entri in contatto ravvicinato con il mondo dell’arte la prospettiva cambia. La realtà come siamo abituati a intenderla si trasforma, e le dimensioni spazio-temporali si dilatano; devi abbandonare idee e opinioni precostituite e aprirti a qualcosa di nuovo e diverso. Fuori dal contesto dell’arte, nella vita di ogni giorno, questo approccio […]

Avrei dovuto aspettarmelo: quando entri in contatto ravvicinato con il mondo dell’arte la prospettiva cambia. La realtà come siamo abituati a intenderla si trasforma, e le dimensioni spazio-temporali si dilatano; devi abbandonare idee e opinioni precostituite e aprirti a qualcosa di nuovo e diverso. Fuori dal contesto dell’arte, nella vita di ogni giorno, questo approccio è comunemente noto come fiducia.

 

L’arte si può insegnare?

Ne parlo – di arte, non di fiducia – con Francesco Cascino, art consultant, fondatore e presidente di Arteprima, associazione culturale che progetta interventi di arte relazionale e rigenerazione urbana al fine di favorire inclusione sociale, innovazione e sviluppo imprenditoriale, territoriale e culturale. Non ho finito di porre la prima domanda che mi interrompe e mi corregge. Così passiamo dall’indagare se l’arte si può insegnare a parlare di come l’arte si può imparare, partendo da un dato neurobiologico: l’uomo ragiona per immagini e l’arte visiva genera senso di appartenenza, partecipazione, capitale sociale, qualità degli spazi urbani, attrazione di attività commerciali e creative.

“L’esperienza visiva e la trasformazione di sensazioni ed elementi astratti ma fondanti in elementi visivi e percettibili, nel mondo che ci circonda, sono processi che ci appartengono da sempre. L’evoluzione di questo processo è l’arte, la trasformazione da astratto in concreto la fanno gli artisti. Il prossimo passo è già la trasformazione degli artisti in scienziati perché sono in grado di agire su neuroni e sinapsi che ricollegano punti invisibili formando significanti inediti. Con un duplice ordine di conseguenze: l’arte è un elemento connaturato all’uomo, fisiologico e naturale”, ossia l’arte non è qualcosa fuori di noi ma al contrario fa parte di noi. “Ogni volta che vediamo un artificio, inteso come prodotto dell’arte, dovremmo essere in grado di comprenderlo da soli e invece necessitiamo di un aiuto per decodificarne il messaggio. Quindi l’arte che si può imparare” – e insegnare, insisto io – “è quella concettuale, che nasconde dei messaggi con rimandi e metafore.”

Siamo circondati di arte, sempre e ovunque: “Alcuni di noi la comprendono subito, altri no perché sui meccanismi visivi si è depositata troppa ruggine. La nostra mente ragiona per immagini: chi fa arte è un produttore di altre immagini che si aggiungono a quelle già presenti.” Che confusione! Che cosa si può insegnare allora? “La differenza tra arte retorica, ruffiana, e arte di ricerca”, continua Cascino. “È necessario fruire di arte di qualità per contribuire a sviluppare l’intelligenza emotiva. Con Arteprima abbiamo scelto di fare formazione solo con artisti di grande valore. L’arte la facciamo tutti; l’arte di qualità la fanno gli artisti, e non tutti”.

“Sì, certo, l’arte si può e si deve insegnare anche se comunica attraverso le immagini”. Non ha nessun dubbio Francesca Villanti, storica dell’arte e curatrice di mostre di prestigio a livello internazionale. “Dobbiamo considerare che il più delle volte vediamo le opere sradicate dai loro luoghi di origine e che il senso dell’opera cambia valore nel corso degli anni. A Roma ad esempio, nella Basilica di Sant’Agostino, possiamo ammirare la Madonna dei Pellegrini del Caravaggio: è un’opera che appartiene a quel luogo e a quel tempo. I nostri occhi del 2020 sono molto diversi dagli occhi del Seicento; dobbiamo cancellare 400 anni di storia per comprenderne le innovazioni e il grande valore. Le spiegazioni sono fondamentali. Con l’arte contemporanea è un po’ diverso: comunica elementi che non sono immediatamente percepibili per chi non è abituato, ma c’è sempre uno studio profondo dietro. Quante volte sentiamo commenti quali ‘avrei potuto farlo anch’io’! E invece no. Penso ad esempio al taglio di Lucio Fontana: ha uno studio pazzesco dietro, una complessità tecnica e intellettuale altissima. Quindi sì, l’arte si deve insegnare. Deve poter arrivare e trasmettere un messaggio anche a chi non ne sa nulla: se ho degli strumenti a disposizione, la mia capacità di capire aumenta e l’opera diventa più bella perché compresa fino in fondo. È fondamentale educare le persone”.

La Madonna dei Pellegrini del Caravaggio, Basilica di Sant’Agostino a Roma.

Educare all’arte: il ruolo dei musei

I musei, ad esempio, svolgono (spesso bene) un ruolo importante nel campo dell’educazione all’arte. Posseggono le giuste competenze interne, ma non si accontentano e il più delle volte coinvolgono organismi culturali esterni: gli art consultant, appunto, i curatori di mostre, o direttamente gli artisti. Fanno network e danno vita a un processo virtuoso: se tutte le parti lavorano bene, ne derivano ritorni non solo in termini di immagine, ma anche economici.

A Roma il MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, ad esempio, è un vero e proprio laboratorio, e la città gode dell’opportunità di fruire di un museo che fa ricerca e che è in grado di attrarre eccelse intelligenze internazionali, e a seguire grossi investitori. “In questo modo”, continua Cascino, “Roma ha due vantaggi evidenti: un posizionamento – dimostra di essere sul pezzo – e un importante ritorno in termini economici: i musei di ricerca comprano artisti giovani per poi prestarli in giro per il mondo.” L’edificio che ospita il MAXXI, progettato dall’architetto anglo-iracheno Zaha Hadid, sorge nel quartiere Flaminio: parla con le case attorno, respira con il tessuto urbano e ne è diventato un luogo simbolico e identitario. Con risvolti anche concreti: l’area negli anni è stata oggetto di importanti processi di riqualificazione, di cui il MAXXI rappresenta l’esempio più evidente, e gli immobili attorno hanno acquistato un maggiore valore sul mercato.

Il design voluto dall’architetto Zaha Hadid per il MAXXI di Roma.

 

I musei fanno education attraverso mostre e laboratori: per i bambini – perché è fondamentale iniziare da subito – e per gli anziani – perché non è mai troppo tardi e abbiamo sempre da imparare. “In Italia abbiamo esempi belli, dal Nord al Sud”, mi spiega Cascino. “Oltre al MAXXI di Roma abbiamo il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea; il Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto; il Museo Madre di Napoli. Abbiamo esempi positivi anche nel mondo del privato, settore nel quale primeggia Milano: penso alla Fondazione Prada e alla Fondazione Pirelli HangarBicocca.”

I musei fanno molto, soprattutto con i bambini, che sembrano essere il loro primo obiettivo”, conferma Francesca Villanti. “Sto curando una mostra su Miró, a Napoli. Siamo già operativi con il comune e con le guide che spiegheranno la mostra, si lavora insieme. Mi hanno già chiesto una modifica progettuale: lasciare uno spazio libero sullo stesso piano dell’esposizione per allestire dei laboratori rivolti ai bambini piccoli, perché possano immediatamente fissare in memoria le impressioni che hanno vissuto.” L’arte così diventa esperienziale ed entra a far parte del nostro bagaglio, della nostra memoria, da subito.

Frequentando i musei possiamo imparare e comprendere come l’arte entri davvero nelle nostre vite: la cultura è parte integrante della vita, sta dentro, è essa stessa vita. L’esperienza visiva dell’arte di qualità aumenta l’intelligenza collettiva dell’intero corpo comunitario e definisce una nuova equazione: arte di qualità = intelligenza di qualità.

 

L’Italia, un museo a cielo aperto

Poi però bisogna fare i conti con la burocrazia, i fondi che non bastano mai. “Mi piacerebbe che anche in Italia i musei fossero gratuiti”, mi confida Francesca, “seguendo un po’ l’esempio della National Gallery di Londra dove si paga solo la mostra, che richiede sforzi extra, ma l’offerta è sempre aperta al pubblico. Non si tratta di non riconoscere il valore della cultura, ma di offrire, al contrario, la possibilità di goderne con calma e con i tempi giusti, per evitare la bulimia visiva che deriva dallo sfruttare appieno il prezzo del biglietto”.

Come è messa l’Italia se la paragoniamo con il resto del mondo? “Noi italiani abbiamo una fortuna straordinaria”, scandisce bene Villanti, “perché l’arte si studia con gli occhi. L’occhio va educato e abituato, e noi italiani siamo abituati a vedere il bello da sempre. Dappertutto. L’arte è parte della cultura italiana perché la si studia con gli occhi. È un enorme vantaggio competitivo rispetto al resto del mondo”.

Si sa: l’Italia è un museo a cielo aperto; possiede un patrimonio artistico, culturale e naturalistico che non ha eguali nel mondo; ospita il più alto numero di siti Unesco. “Rispetto a quello che abbiamo noi in Italia, fuori nel mondo non c’è nulla!”.

 

La National Gallery di Londra, esterno notte.

 

“Vogliamo spiegare quanto l’arte sia parte integrante e collante di una comunità; stiamo lavorando per diffondere questa sensibilità. I primi riscontri sono incoraggianti”, conclude Cascino. “Il salto successivo sarà passare dalla comprensione alla volontà di mettersi in gioco. È con questo spirito che stiamo lavorando, con Arteprima, a un nuovo manifesto culturale, quello dell’art thinking. Lo scopo è tornare a mettere l’arte a monte dei processi della vita, delle imprese, delle istituzioni, dell’ambiente, della società in genere e della politica, perché nei millenni ha dimostrato di essere il miglior problem solver e il più profondo e immortale dispositivo di attivazione dell’intelligenza emotiva.”

Un invito a tutti, allora, a tornare a riconoscere l’arte all’interno della nostra vita, come strumento di arricchimento: non di nozioni, ma di emozioni. Partecipare per credere.

 

 

Foto di copertina by Xavier Coiffic on Unsplash

CONDIVIDI

Leggi anche