“Made in Italy” visto dalla Russia: e quindi?

Tutto o quasi il bello di questo mondo è fatto in Italia. È un Paese fantastico proprio per la sua diversità nel fare e sviluppare prodotti, servizi, soluzioni che nessun altro al mondo potrebbe mai pensare di creare da zero. L’Italia è un paese che ci insegna tantissimo su come è possibile creare qualche cosa […]

Tutto o quasi il bello di questo mondo è fatto in Italia. È un Paese fantastico proprio per la sua diversità nel fare e sviluppare prodotti, servizi, soluzioni che nessun altro al mondo potrebbe mai pensare di creare da zero. L’Italia è un paese che ci insegna tantissimo su come è possibile creare qualche cosa di valore praticamente partendo da zero per poi chiamare il tutto “Made in Italy” e ottenere le lodi come migliori prodotti al mondo. Eppure, c’è qualche cosa di strano in questo marchio del “fatto in Italia” perché funziona in modo sbagliato e in situazioni sbagliate quando parliamo di internazionalizzazione e commercio con tutto il mondo.

Io mi occupo di comunicazione, quella online che cresce a dismisura e sempre più aziende in Italia scoprono questa fantastica possibilità di ottenere visibilità in paesi che sono molto distanti attraverso pochi click. Il mercato ha potenzialità enormi soprattutto per costi che un’azienda deve sostenere. Se poi ci mettiamo la possibilità di vendere online attraverso un ecommerce interessa praticamente a tutte le PMI in Italia. Il mio mercato di riferimento è soprattutto l’Est europeo, tutto quello che un tempo era URSS. Lì vado a coltivare l’amore verso il prodotto italiano, vado a mostrare, educare le persone a capire meglio l’Italia non solo attraverso le canzoni di Albano (che amano moltissimo ) o i vecchi film di Celentano. Il prodotto italiano è visto molto bene, ma dopo diversi anni di lavoro in questo settore ti rendi conto come il concetto di “Made in Italy” funziona non come un bonus, non come un plus per un’azienda ma soprattutto come una grande scusa per non fare nulla in più. Lasciatemi chiarire un secondo questo mio concetto banale.

È italiano: cioè?

Nel 2015 qualsiasi campagna di comunicazione in cui a parlare siano Enti Pubblici, PA, politici (o tutti coloro che stanno in alto) inizia con “Il nostro Made in Italy”. Lo potete vedere dalle soluzioni presenti online su progetti come Expo 2015, VeryBello o tante altre cose piccole, ma che ti fanno capire come questo “Fatto in Italia” è un continuo rimbombare di concetti per TV, radio e stampa dove viene messo al primo posto il concetto di un prodotto realizzato in Italia ma senza andare oltre al semplice fatto che si tratti di un prodotto italiano. Che cosa comporta tutto questo? Cioè: in che modo il “Made in Italy” crea problemi allo stesso prodotto italiano fatto in Italia?
È molto semplice. A livello di marketing, a livello di comunicazione ma anche durante una conversazione fra persone non si discute più di nulla, oltre al fatto che è “italiano” e basta. Sembra quasi che quando ci andiamo ad aprire verso il mondo ci dimentichiamo di dire qualche cosa in più su quello che viene fatto, oltre alla giustificazione di una produzione. Nella comunicazione, nel creare interesse non ci basiamo su niente altro che non sia il “Hey, sono Italiano e quindi….”.
Suona così per uno straniero quando va a leggere i prodotti, servizi, aziende online. Tutti hanno in prima pagina la descrizione dell’Italia, ma pochi riescono a trasmettere veramente cosa vuol dire essere, cosa vuol dire appartenere e creare un prodotto in Italia. Siamo quasi condizionati da tutto ciò, da questa scritta impressa sopra ogni cosa che passa nelle nostre mani.

Non vi nascondo che tutto questo funziona. Almeno, fino ad un certo punto funzionava prima di globalizzazione, prima dell’ “Italian sound” e prima di copie contraffatte di ogni cosa. Italia funziona come marchio, ma sempre più persone vogliono andare oltre alla semplice dicitura che compare su un sito web. I clienti diventano sempre più attenti verso la scelta di un prodotto, di un macchinario, di un cibo speciale.

Nella comunicazione, e vi parlo di quella fra Italia e Russia online, il “Fatto in Italia” già inizia a stare stretto. Già inizia a creare qualche spaccatura nel concetto di “Italia”, perché in questi anni forse ci siamo dimenticati come raccontare un prodotto fatto da Voi con le Vostre mani e con le Vostre teste. E sempre meno persone credono al semplice concetto ma si basano sulle emozioni, sulla voglia di un’azienda di trovare una soluzione, sulla velocità nella creazione delle risposte immediate. Ecco: in un contesto globale, in un contesto web nel 2015 il mondo, quello russo per esempio, chiede anzi pretende dall’Italia delle risposte immediate per il loro business in modo da ottenere dei risultati immediati e quello che vedo è soprattutto la classica risposta del tipo ” Ma noi siamo “Made in Italy, non ti basta?”. E non basta perché ci sono almeno altre cinque alternative da parte di cinesi, americani, tedeschi. Il mondo globale è anche questo e quando parliamo di online è ancora più veloce.

Il prodotto italiano per qualche verso è come se fosse uno scudo, come se fosse un monopolio che è illusorio in quanto il valore aggiunto è creato proprio sulla voglia e sulla qualità del prodotto stesso e non solo esclusivamente su concetti che conoscono tutti. La frase che suona oggi da parte di tante aziende è “Sono italiano ed è per questo che… tu russo devi acquistare un mio prodotto. Io non mi muovo oltre, perché sono Made in Italy. Ed è per questo che …..” Ed invece deve suonare per un cliente come “Добрый день, чем я могу вам помочь? (ciao, come posso aiutarla?) Sono italiano, sono bravo a fare determinate cose ed è per questo che posso essere una risorsa molto utile per te. Lasciami aiutarti in quello che hai bisogno”.

Questo comportamento è molto chiaro soprattutto nella comunicazione, forse perché pochi veramente si preoccupano di come un’azienda viene vista al estero, oppure pochi credono nella comunicazione, basta il prodotto. Ma sempre più spesso vedo clienti russi che acquistano dai cinesi prodotti italiani, sempre più persone lavorano con designer non italiani ma russi, perché quando non comunichi in modo giusto con loro trovano un’alternativa. Diversa, peggiore, di bassa qualità ma che comunica, che si racconta, che mostra come e perché.

Ricordatevi che essere “Made in Italy” è solo un biglietto da visita che deve essere confermato, verificato, dichiarato verso tutto il mondo. Non è una soluzione, ma semplicemente una prima impressione verso di voi.

[Credits immagine: riflessisrl.it]

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