Malattie da lavoro non riconosciute in Italia: “Costretta a vendere casa e auto per curarmi all’estero”

La patologie ambientali possono privare del lavoro e compromettere la vita personale, e talvolta non vengono riconosciute, come nel caso della sensibilità chimica multipla. Ne abbiamo parlato con i membri della onlus MARA.

Quando si parla di sicurezza nei luoghi di lavoro si pensa perlopiù alla prevenzione da infortuni e incidenti, dimenticando spesso un altro ambito che può subire altrettante conseguenze negative, non meno invalidanti o persino letali: parliamo della salute. I danni da esposizione a sostanze nocive costituiscono una problematica tangibile e un costo a livello umano, lavorativo e sanitario tutt’altro che trascurabile.

Per affrontare il tema ci confrontiamo con una realtà che a livello nazionale si batte da tempo per la tutela dei diritti delle persone con patologie che trovano faticosamente riconoscimento: l’associazione onlus MARA. Composta da più di 1.500 soci, persegue diversi obiettivi, in particolare quello di fornire informazione e supporto ai e alle pazienti affetti da sensibilità chimica multipla, fibromialgia, encefalomielite mialgica, e con diagnosi differenziale di sindrome da stanchezza cronica e patologie correlate. Allo stesso tempo sostiene la ricerca scientifica e organizza eventi di sensibilizzazione, oltre a progetti sociosanitari per le persone svantaggiate, contrastando dinamiche di emarginazione sociale e mobbing. L’associazione ha inoltre stipulato convenzioni per aiutare i pazienti ad accedere ad analisi e approcci terapeutici con costi ridotti.

A fondarla è Tiziana Scotti, attuale presidente, che pone subito in evidenza il problema cardine: “Nel caso della sensibilità chimica multipla parliamo di una patologia di cui non solo si fa fatica a dimostrare l’eventuale correlazione con esposizioni pericolose avvenute nelle zone di abitazione o in luoghi di lavoro, ma per la quale è una lotta vederne riconosciuta e ammessa l’esistenza”. E puntualizza: “Ci sono casi di persone che presentano sensibilità chimica multipla sorta in seguito ad esposizione prolungata a toner di stampanti, a vernici e in generale ad ambienti di lavoro con emissioni pericolose, tra cui metalli pesanti. La cosa più dura è che lo Stato non riconosce determinate patologie, e questo significa essere privi di un codice di esenzione e soprattutto di un centro di riferimento per la diagnosi, in particolar modo precoce, oltre che per la cura”.

“Costretta a vendere casa e auto e a curarmi all’estero”: le malattie lavorative non riconosciute dall’Italia

Contesti di lavoro che fanno ammalare e che fanno perdere la possibilità stessa di lavorare, patologie invalidanti con effetti tangibili ma considerate fantasmi: un crogiuolo di contraddizioni incandescenti in un Paese che si vanta di avere un sistema di sanità pubblica efficiente.

“La maggior parte di noi sono malati gravi”, racconta Tiziana Scotti, che conosce sulla propria pelle gli effetti devastanti di questo tipo di patologie. “A trent’anni ho dovuto interrompere la mia attività lavorativa”.

Per Tiziana, così come per molte altre persone che condividono la sua situazione, inizia un percorso complesso: “Ci si rivolge al medico legale per vedere riconosciuta la propria patologia, che comporta conseguenze neurologiche, endocrine, allergiche e non da ultime esistenziali, oltre che economiche. Per curarci dobbiamo infatti andare all’estero e sostenere spese onerose: io ad esempio ho dovuto vendere auto e casa per sostenere tutte le spese, incluse quelle di viaggio. Per la salute si cerca di fare tutto”.

In merito a questa grave lacuna l’associazione MARA si sta attivando in maniera forte: “Stiamo cercando di mettere in piedi un progetto per curare i pazienti qui in Italia: chi fosse interessato a sostenere l’iniziativa può contattarci”.

Sensibilità chimica multipla, alcune Regioni ne negano l’esistenza

Lo scenario riguardante il riconoscimento di alcune patologie gravi come la sensibilità chimica multipla è in Italia a dir poco assurdo, e ci srotola davanti agli occhi un film già visto e basato sulla totale frammentarietà e ambiguità. In pratica questa patologia viene riconosciuta in alcune Regioni mentre in altre no, come se la malattia fosse un marchio DOP slegato dalla scienza.

“Non hanno rinnovato la tabellazione del medico legale”, specifica Tiziana Scotti. “Anche il riconoscimento resta comunque solo una formalità, perché qui in Italia manca un centro che fornisca un percorso diagnostico-terapeutico. Nel Lazio c’era un centro regionale per la diagnosi e cura ma è stato chiuso, una situazione vergognosa: ci sono grossi conflitti di interesse con lo Stato perché quando ti trovi di fronte persone malate a causa dell’ambiente e da esposizioni tossiche è come ammettere una responsabilità”.

La presidente sottolinea anche la situazione d’abbandono da parte di un altro ambito importante del macrocosmo sanitario: le farmacie. “Per le case farmaceutiche le patologie di origine ambientale sono prive di interesse e di introito economico, quando invece dal nostro osservatorio possiamo dare un campanello d’allarme dicendo che queste patologie sono in aumento e sono sempre più correlate tra loro. Servirebbero approcci di diagnosi e di cura multidisciplinari che qui invece mancano”.

La situazione è peggiorata con la pandemia? “Per noi malati gravi l’avvento del COVID non ha cambiato nulla, siamo in lockdown perenne da anni”, chiosa Tiziana. “Da anni viviamo chiusi, in case protette e bonificate, in ogni caso isolati”. Lacune che innescano odissee dove a finire a tappeto sono la salute, il lavoro, la vita.

Malattia da sostanze nocive sul posto di lavoro: come agire

Salute compromessa e responsabilità da dimostrare. La presidente dell’associazione MARA definisce una lotta continuail percorso intrapreso a livello legale dalle persone che si ammalano: “Bisogna essere affiancati da medici e avvocati etici e preparati”.

Nel nostro servizio non possiamo non interfacciarci con Roberto Cao, consulente legale dell’associazione MARA, con cui collabora da una decina d’anni. Nella vita di tutti i giorni è un avvocato che conosce bene il tema del diritto alla salute e dei danni da esposizione a sostanze nocive. A proposito della questione sicurezza nei contesti lavorativi afferma: “Da quello che ho potuto constatare c’è un problema di mancata di consapevolezza sulle possibili conseguenze derivate dall’esposizione a sostanze chimiche. Inoltre manca una norma a livello nazionale che riconosca la sensibilità chimica multipla: questo è un ostacolo gigantesco. All’interno della comunità medica ci sono divisioni rispetto all’esistenza della patologia. In Italia il diritto sanitario è a macchia di leopardo e attualmente a riconoscere questa patologia ci sono solo alcune Regioni”. Il resto è cronistoria già raccontata.

Addentrandoci in ambito legale, un lavoratore o una lavoratrice che si ammalano in seguito all’esposizione a sostanze nocive nel contesto in cui svolgono la loro attività che cosa possono fare?

“Innanzitutto è necessaria la dimostrazione di un nesso causale tra esposizione nociva e patologia e per farlo è necessaria una relazione tecnica preparata da un medico legale. L’INAIL dovrebbe riconoscere il nesso di causalità e la malattia professionale oltre a una rendita nei casi più gravi. Il risarcimento è da parte del datore di lavoro confermata la sua responsabilità, civile o penale. Diverso è il caso in cui la sede di lavoro sia soggetta ad esposizioni nocive, ma non per responsabilità del contesto lavorativo stesso, bensì perché la zona in cui è ubicata riceve queste emissioni”.

Riguardo all’indennizzo, Cao sottolinea: “È un’alternativa allo stipendio, ma purtroppo non riesce quasi mai a sostenere le spese necessarie: ad esempio i malati di sensibilità chimica multipla necessitano di integratori, cure all’estero e isolamento da sostanze chimiche; inoltre le loro condizioni non consentono quasi mai a queste persone di lavorare. Molte di queste persone hanno bisogno di accompagnatori che li sostengano nelle trasferte. Ci sono situazioni che vanno al di là dell’immaginazione e che possono portare a gesti estremi”.

La prevenzione secondaria, salvavita poco frequentato sul posto di lavoro

Ci confrontiamo con un altro consulente dell’associazione MARA, Giacomo Rao, medico legale con esperienza di dirigente medico alla sovrintendenza sanitaria centrale, settore prevenzione ricerca direzione generale INAIL.

“Il tema della prevenzione da esposizione a sostanze tossiche nei luoghi di lavoro è affrontato spesso in maniera farraginosa”, commenta. “Diversi enti spendono molti soldi per fare prevenzione primaria per ridurre giustamente gli inquinanti più pericolosi, ma di fatto risulta impossibile togliere del tutto le esposizioni. Per un’efficace sorveglianza sanitaria personalizzata occorrerebbe approfondire la ricerca sulla prevenzione secondaria, che mira a intercettare dei biomarcatori precoci di esposizione e di effetto prima che la malattia si manifesti. Individuando queste alterazioni biochimiche potremmo salvare la vita a molti lavoratori e lavoratrici. Recenti ricerche individuano ncRNAs, tra cui microRNA, profili di metilazione come potenziali biomarcatori molecolari precoci di diverse tecnopatie”.

Sanità, scienza, tutela dei diritti, ricerca: in un’Italia sempre più frammentata tutti questi ingredienti, di base preziosi, perdono pezzi per strada e si sfaldano a discapito delle vite in carne e ossa, tra responsabilità che si continuano a non voler trattare e nemmeno nominare. Guarda caso, come le stesse malattie tuttora non riconosciute.

Foto di Kindel Media da Pexels

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