Dall’Italia all’Arabia, l’esodo dei medici è “un’emorragia”

Sempre più operatori sanitari scelgono di trasferirsi nei Paesi arabi, dove gli stipendi vanno dai 14.000 ai 20.000 euro al mese; ma non è solo una questione di denaro. Il quadro della situazione con la testimonianza del dottor Claudio Pagano e del presidente di AMSI e UMEM Foad Aodi

Due medici in un ospedale dell'Arabia Saudita

Un Servizio sanitario nazionale sempre più fragile, messo in una condizione di perenne difficoltà dalle politiche di austerità attuate in Italia negli ultimi quindici anni. Si può dire che la sanità pubblica italiana è malata, con un evidente impoverimento della qualità generale dei servizi offerti.

Basti pensare alle liste d’attesa, esacerbate durante e dopo la pandemia da COVID-19, alla carenza di personale medico/sanitario, al definanziamento del fondo sanitario, al congelamento delle assunzioni, alla mancanza di posti letto, alle chiusure di alcune strutture ospedaliere, ai pronto soccorso sempre più affollati, con disuguaglianze regionali e locali che spingono a scegliere strutture sanitarie più adeguate. Questo comporta la crescita delle spese sanitarie private, che pesano sulle famiglie e in alcuni casi spingono a rinunciare alle cure necessarie.

Esempi lampanti di un sistema avviato al collasso, che secondo l’ultimo rapporto presentato al Senato lo scorso ottobre dalla fondazione GIMBE necessita “di essere rilanciato”. Dalle stime calcolate in una proiezione tecnica fornita nella NADEF (Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza), si osserva una diminuzione della percentuale della spesa sanitaria rispetto al PIL nel periodo di cinque anni compreso tra il 2020 ed il 2025 che lo vede scendere da un 7,4% a un 6,2%. Un chiaro definanziamento che si riversa non solo sui cittadini, ma anche sugli operatori sanitari ormai allo stremo, sempre più spinti verso le dimissioni – non dimentichiamo che le stime, subito dopo la fase clou della pandemia, hanno evidenziato il burnout di quasi 15.000 medici ospedalieri non causato dallo stress pandemico.

Medici che scelgono il privato, e l’estero: l’esperienza di chi ha lavorato in Arabia

Un cospicuo numero di professionisti sanitari sta scegliendo di operare nel privato invece di continuare nelle strutture pubbliche, dove i turni, proprio per carenza di personale, sono stancanti. I più temerari decidono di fare richiesta di trasferimento all’estero, alcuni allettati dagli stipendi, altri perché alla ricerca di nuove sfide. Come nel caso del professor Claudio Pagano, endocrinologo, professore associato di Medicina interna presso l’Università di Padova, che ha sentito l’impellente bisogno di nuovi stimoli professionali.

“Nel gennaio 2021, dopo le prime due ondate di COVID-19 che ho vissuto in prima linea in un reparto apposito, ho deciso di fare un’esperienza all’estero. Ho iniziato a inviare il curriculum ad alcune agenzie di reclutamento, che fanno da interfaccia tra le richieste degli ospedali e i professionisti. La selezione, in questi casi, avviene attraverso una prima scrematura, dove si prendono in considerazione le caratteristiche professionali del medico facente domanda e gli ospedali che ricercano. In seguito, passata questa selezione, il colloquio vero e proprio avviene con l’ospedale designato.”

“La realtà dove ho operato, in Arabia Saudita, è stata quella di una catena di ospedali privati, in un’importante città del Golfo Persico, Al Jubayl, su base assicurativa. Una realtà medica il cui modello organizzativo ospedaliero era molto efficiente. La struttura era ed è di alta qualità e questo per un motivo ben preciso: gli ospedali privati, per potersi interfacciare e avere le convenzioni con le assicurazioni, devono soddisfare dei criteri di accreditamento ben precisi che sono garantiti da agenzie di certificazione internazionali. L’ambiente con il quale mi sono confrontato era caratterizzato dalla presenza di colleghi di diversa nazionalità; il 20-30% era europeo.”

“L’ospedale dove ho prestato servizio ha trecento posti letto, con tutte le specializzazioni del caso. In questo tipo di ospedale privato non esistono liste d’attesa e i pazienti possono presentarsi senza appuntamento, aspettando al massimo un giorno. Certo, non ha il livello di diagnostica e clinica di un grande hub italiano, però avevo la responsabilità clinica e nessuna incombenza organizzativa.”

“Una nota negativa è a mio avviso quella della mission. Mentre in Italia – almeno quella dichiarata – è rappresentata dall’erogazione di prestazioni sanitarie e basta, lì la mission era duplice: stabilire degli standard di assistenza sanitaria di alto livello in primis, ma garantire anche il profitto. Quindi il lavoro del medico viene valutato anche sotto questo aspetto. Doverosa, in questo caso, una piccola chiosa sugli stipendi di cui si favoleggia: vengono commisurati, oltre alle reali capacità del medico, anche sulla base di ciò che porta in termini di produttività. Sicuramente gli stipendi sono più alti, esiste un vantaggio fiscale, la tassazione è molto ridotta, ma sono da considerare una serie di costi aggiuntivi che sono l’assicurazione di responsabilità civile, che il medico paga di tasca propria, e il fatto che non esistono contributi previdenziali. Dopo un anno che ho prestato servizio presso l’ospedale di Al Jubayl, per motivi personali, ho chiesto il trasferimento. Tutt’ora lavoro in Irlanda”.

Foad Aodi, presidente AMSI-UMEM: “Emorragia di medici e infermieri che lasciano l’Italia”

Di fatto, ad oggi, anche secondo le stime registrate, i medici e gli infermieri che decidono di fare domanda di trasferimento sono aumentati in modo esponenziale.

“Il bilancio da maggio fino al 30 ottobre 2023 parla chiaro”, sottolinea il prof. Foad Aodi, presidente AMSI (Associazione Medici di origine Straniera in Italia) e dell’UMEM (Unione Medica Euro Mediterranea). “Su 1.700 professionisti della sanità 850 sono medici specialisti, 600 sono infermieri, 150 fisioterapisti, 50 farmacisti, 50 tra logopedisti, psicologi, tecnici radiologi, tecnici di laboratorio, podologi, OSS, con un aumenti del 40% delle richieste da maggio ad agosto, e del 65% da settembre”.

Le richieste provengono per l’80% dal pubblico; basti pensare che negli ultimi cinque anni all’AMSI e all’UMEM ne sono arrivate più di 10.000 da tutte le Regioni italiane: Lombardia, Veneto, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna sono quelle con la domanda maggiore.

“Abbiamo raccolto, nello spazio di tempo che va dal 1 maggio a oggi, dalle dieci alle dodici richieste al giorno tra email, telefonate e messaggi privati attraverso le piattaforme virtuali”, continua Aodi. “Questa è un’emorragia importante, non nascondo che sono molto preoccupato. Come associazione abbiamo anche lanciato il protocollo per i professionisti della sanità: ‘Aiutiamoli a casa loro, in Italia’. C’è da dire che questo fenomeno lo seguiamo da circa dieci anni. Iniziò con il Qatar, a seguire ci sono stati gli Emirati Arabi, e adesso negli ultimi mesi l’Arabia Saudita”.

Il requisito minimo per accedere a una prima selezione è la laurea. “Bisogna registrarsi a un sito generico; una volta appurato che il titolo di laurea sia valido, si presentano tutti i documenti al sito ufficiale del ministero per l’avvio dell’autorizzazione alla professione sanitaria, con i documenti validi, i vari titoli – il curriculum in questo caso è tenuto in forte considerazione – master, specializzazioni, anni di servizio, tempo in sala operatoria. Per i medici chiedono almeno tre anni di esperienza, per gli infermieri due. Una volta presentata la documentazione tramite il ministero, lo stesso decide o di convocare per un esame il candidato oppure chiamarlo per un colloquio, valutandolo di persona. Una volta superato sia l’esame sia la valutazione, si dà l’autorizzazione e si inizia la ricerca del lavoro, nel pubblico o nel privato. Esistono anche delle agenzie che attivamente cercano il lavoro sul posto, previo pagamento di due mensilità, ma anche qui bisogna stare attenti su quale agenzia scegliere perché non tutte sono affidabili, ci sono state tante truffe. Le specializzazioni più richieste sono neurochirurgia, neurologia, chirurgia plastica, dermatologia, e a seguire le altre. La media del pagamento mensile negli Emirati Arabi è più alta dell’Arabia Saudita, ma molto dipende dalla specializzazione e dagli anni di servizio”.

I motivi della fuga: “Gli operatori sanitari italiani sono i più richiesti”

I motivi che spingono i medici a fuggire dall’Italia sono svariati, e quelli segnalati dalla segreteria AMSI – che li ha raccolti – evidenziano un vero e proprio stato di difficoltà da parte degli operatori sanitari.

“Al primo posto la stanchezza, a seguire mancanza di sicurezza sul posto di lavoro, aggressioni, medicina difensiva, dal punto di vista psicologico mancanza di serenità e di valorizzazione in ambito professionale”, spiega il presidente Aodi. “Per questo motivo in tanti, tra medici e infermieri, si spostano dal pubblico al privato, e da qui – partendo proprio dal privato – scelgono poi di andare a fare un’esperienza all’estero di tre-quattro anni. Molti desiderano divulgare le loro metodiche di riabilitazione, di interventi chirurgici, di diagnostica, di ricerca nei Paesi del Golfo, dove credono siano presenti delle strutture all’avanguardia tali da poterli aiutare a realizzare questi sogni. Senza dimenticare anche il piano economico, non dimentichiamoci che l’Italia si classifica al decimo posto nel mondo come pagamento, mentre nei paesi del Golfo gli stipendi possono variare tra i 14.000 e i 20.000 euro, a seconda della specializzazione e dell’esperienza del medico. C’è da dire che i medici sono anche stimolati dal fatto di conoscere una nuova cultura, parlare altre lingue, vedere altri ospedali”.

Continua il professor Aodi: “Gli operatori sanitari italiani sono i più richiesti dal mondo arabo, ma anche da altri Paesi, perché molto preparati, solidali, riescono a trasmettere una forte sensazione umana di amicizia solidarietà, più di tutti gli altri europei”.

La fuga dei medici dall’Italia ha raggiunto quindi proporzioni preoccupanti, mettendo a dura prova il già fragile sistema sanitario nazionale. “Bisogna iniziare a correggere tutti gli sbagli che sono stati fatti negli ultimi quindici anni”, ci spiega Aodi. “Come AMSI e UMEM denunciamo il fenomeno da tantissimo tempo, perché abbiamo il polso della situazione a livello nazionale e internazionale, sia in entrata, con i professionisti provenienti dalla sanità di origine straniera, sia in uscita, come per tutti gli operatori sanitari che vanno all’estero”.

È urgente un intervento per preservare il sistema sanitario nazionale, soprattutto dopo questi anni emergenziali dove le carenze sono diventate vere e proprie falle da risanare. “Importante in questa fase è iniziare programmare, Che significa? Agire a 360°. Non far lavorare il buon esercito dei medici senza specializzazione, far specializzare i giovani assicurando posti sicuri, tutelare le condizioni economiche (perché bisogna aumentare gli stipendi), valorizzare questi professionisti, rendendoli partecipi delle decisioni organizzative”.

 

 

 

Photo credits: amazonaws.com

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