I miei giorni sono trascorsi tra le pulizie ai pavimenti, l’aiuto in cucina, la sistemazione delle accoglienze, i magazzini, il trasporto degli ospiti in ospedale per le visite mediche.
Intanto ho conosciuto meglio alcuni di loro: ho pranzato insieme a Saido (nome di fantasia), del Burkina Faso. La sua famiglia e il suo villaggio, cinque anni fa, gli hanno pagato il viaggio aereo verso l’Europa, alla volta di un Paese in cui non c’è bisogno di Visa: l’Ucraina. Ha studiato all’università del Donbass per diventare dentista, ma lo scorso anno la sua storia si è interrotta a causa della guerra. È stato portato in Polonia, dove non l’hanno accolto molto bene, visto il colore della pelle. Allora ha deciso di essere aiutato dal CRI per venire in Italia. Oggi è ospite nella struttura, e dal lunedì al venerdì lavora come imbianchino a Torino in attesa di ricevere l’attestato dei suoi esami e poter finire la laurea in odontoiatria.
Un pomeriggio la polizia ci ha consegnato una minore giunta sola al traforo del Frejus, Fara. Era molto triste e camminava con la testa bassa. Un po’ tutti, ospiti compresi, hanno cercato di aiutarla, di farla distrarre. Linda, una ragazza Ivoriana, mi ha fatto da traduttrice. Le abbiamo offerto la merenda e ha iniziato ad aprirsi, ma come al solito non ci ha detto da quale centro arrivasse, dopo Lampedusa. Le ho chiesto dove fossero i genitori. Lei ci risponde che la mamma è rimasta in Libia perché i soldi non bastavano per entrambe, e si è fatta serva di qualche scafista per garantire il posto a lei. Piangeva, ma allo stesso tempo sorrideva perché voleva andare in Belgio a studiare per riscattare la mamma. La mattina dopo non l’abbiamo più trovata nel campo.
La notte, per il servizio MigrAlps, siamo partiti da Susa alle 19 per pattugliare le strade fino a mezzanotte o più, se dovesse servire. Con altri due colleghi abbiamo iniziato il monitoraggio degli arrivi alla stazione di Oulx, dove sono scese sette persone intenzionate a camminare per i sentieri. Gli abbiamo proposto di passare la notte al Rifugio Massi e hanno accettato.
In seguito abbiamo imboccato l’antica strada del Monginevro. Qui nelle vecchie gallerie spesso sostano i migranti in attesa del momento migliore per varcare il confine, delle caverne dalle condizioni igieniche indicibili.
Poi, delle luci nella foresta: guardie francesi o migranti? Su quei sentieri stride la vicinanza di diversi ceti sociali: turisti, migranti, pellegrini della via Francigena, polizia, soccorritori, tutti con lo stesso obiettivo, ma con condizioni di vita molto, molto differenti.
Arrivati a una grotta, abbiamo scoperto tre amici che si nascondevano per paura. Li abbiamo invitati a tornare a valle per passare una notte migliore, ma loro hanno declinato: volevano stare lì e aspettare l’alba eludendo le torrette di avvistamento francesi. Li abbiamo riforniti di viveri e mantelline per la notte e gli abbiamo augurato buona fortuna. I nostri giri sono terminati intorno alla mezzanotte, quando abbiamo fatto ritorno alla base di Susa.