Navigator unanimi da nord a sud: i percettori RdC quasi mai adatti alle imprese

Giulia Elisa Martinozzi, dell’Associazione Nazionale Navigator e curatrice del libro “Navigator (a vista)”, intervistata da SenzaFiltro: “Cambiare la narrazione contro di noi e i percettori di RdC. Ma su di loro bisogna lavorare ancora a lungo”.

“Quando qualcuno mi chiede perché faccio il navigator, perché è così importante questo lavoro, io rispondo semplicemente e con poche parole: perché qualcuno, spero, si fiderà di me”. Lo scrive Antonio, professione navigator nella regione Lombardia e autore di Libera, uno dei racconti dell’antologia dal titolo “Navigator (a vista)”, edita da Mimesis, che raccoglie testimonianze dirette sul ruolo simbolo del Reddito di Cittadinanza. Una frase che sembra centrare in pieno il nocciolo della questione, visto e considerato il fuoco incrociato politico e mediatico che questa figura professionale sta subendo fin dalla sua nascita.

Giulia Elisa Martinozzi, A.N.NA.: “Un libro per ripensare i navigator e i percettori di RdC”

Ben venga, quindi, una raccolta di esperienze divergente rispetto alla piatta cronaca sul tema. Giulia Elisa Martinozzi, già vicepresidente dell’associazione nazionale di categoria A.N.NA. (Associazione Nazionale Navigator) e operativa nella regione Lazio, è curatrice del testo, oltre che autrice della prefazione. SenzaFiltro l’ha raggiunta e intervistata.

“L’idea del contest letterario l’ho avuta subito dopo il primo lockdown, periodo nel quale oltre alle consuete critiche abbiamo subito anche accuse personali da chi ci vuole fannulloni incapaci”. Un progetto che ha visto la luce nelle scorse settimane, rafforzato da un accorato intervento del sociologo Domenico De Masi, presente al festival Nobìlita nelle tappe di Ivrea e Imola, che nell’introduzione fotografa con lucidità quanto la cultura dell’inclusione sia a rischio, a maggior ragione se si cerca di demolire in modo strutturale proprio coloro che avrebbero dovuto incrementarla.

Martinozzi, se la narrazione generalista è quella di un mondo sotto attacco e da escludere in toto, l’intento del libro è di difendere la categoria dei navigator? “Almeno in principio sì. Quando poi abbiamo iniziato a ricevere i racconti dei nostri colleghi, valutati e selezionati da una giuria esterna, mi sono resa conto che eravamo inconsapevolmente usciti dallo scopo primario. La difesa della categoria, infatti, è diventata attraverso gli scritti difesa di un altro gruppo di persone, i percettori del RdC. Tutto questo è servito a noi per condividere storie e trovare coesione, anche in considerazione del fatto che le Regioni lavorano a compartimenti stagni, ma in senso stretto ci siamo fatti portavoce di una categoria nascosta alla gran parte degli italiani”.

Una categoria spiegata con dovizia di particolari attraverso le storie descritte nel libro. In uno dei racconti, ad esempio, si spiega la mappatura delle opportunità professionali delle aziende come conseguenza diretta della prima attività di un navigator: tracciare il profilo dei beneficiari attraverso dettagliate interviste, al fine di analizzare l’offerta di lavoro. Quello che emerge da questi colloqui è il ritratto di una popolazione che porta a galla innumerevoli difficoltà di natura sociale: abbandono scolastico, passati di detenzione non ancora riabilitati dalla società, malattie, disabilità e delicate situazioni familiari sono solo alcuni casi citati tra i grossi impedimenti al lavoro con i quali si entra in contatto. Senza contare l’analfabetismo digitale, il basso livello di formazione e il difficile ricollocamento a causa di competenze unicamente legate a settori in profonda crisi.

Quello che si evince da questo e da altri racconti è uno spaccato dove nella stragrande maggioranza i livelli di competenze e di professionalità richiesti dalle organizzazioni strutturate sono ben lontani da quelli degli utenti che beneficiano del Reddito di Cittadinanza.

In effetti il vostro operato è reso arduo proprio dalle caratteristiche dei percettori, che spesso sono difficilmente ricollocabili. Forse sviluppare la vostra figura oltre il Reddito di Cittadinanza permetterebbe di lavorare con profili diversi. Però il libro racconta di un’esperienza sociale ad alto livello emotivo.

Anch’io ritengo che i nostri servizi non dovrebbero limitarsi ai soli percettori. E sono onesta nel dire che se fossi un’imprenditrice difficilmente assumerei i nostri utenti medi. Proprio lì sta il tema che non viene approfondito a dovere: non è così semplice trovare il match tra domanda e offerta, serve un lavoro lungo e di qualità sulle persone, che non porta risultati nel breve periodo.

Per queste ragioni i beneficiari vanno difesi a oltranza?

Quel che ancora non si capisce è che, per esempio, le agenzie per il lavoro non seguono questa fascia di persone. L’utente medio che incontriamo noi non è appetibile per l’imprenditore. Nelle Regioni che ce lo permettono proviamo a mettere in contatto i vari servizi territoriali con le necessità dell’utente, questo è il valore aggiunto. Ritarare e personalizzare i percorsi è la missione. La povertà, anche di mezzi, non è una colpa.

Nella prefazione hai scritto che avete provato a emanciparvi dal nome, da sempre marchio negativo di questa esperienza e non a caso titolo del libro, per rendere manifesta l’utilità del vostro lavoro. Ci state riuscendo?

Emanciparsi da una parola è difficile, a maggior ragione per i continui attacchi di stampo politico. Noi, in fin dei conti, siamo dei collaboratori che attuano una misura politica, come se fossimo funzionari. Quindi l’essere figli di un partito politico ci spinge in automatico davanti al plotone d’esecuzione, beneficiari compresi.

Un plotone composto, in diversi casi, anche dagli operatori dei centri per l’impiego ai quali i navigator sono stati assegnati. Non è una novità, e in molti racconti tra quelli raccolti se ne parla. Se a questo si aggiungono disorganizzazione e problematiche strutturali, si possono immaginare le gravose complessità legate alla mansione.

Senza voler approfondire ancora una volta le criticità organizzative dei centri e la mancanza di un coordinamento centrale, il libro può essere davvero un’occasione buona per rappresentare all’opinione pubblica lati nuovi della vostra missione?

La domanda è se l’opinione pubblica è pronta a una narrazione diversa. In caso positivo si potranno trovare tante risposte nell’antologia di racconti, proprio perché raccontiamo storie. Se queste servono a dimostrare non solo che i navigator lavorano, cosa di una banalità assoluta, ma che una misura come il Reddito di Cittadinanza aiuta tante persone, allora siamo sulla strada giusta.

Che cosa succederà dopo la scadenza del 31 dicembre?

Io credo ci sia futuro per il nostro ruolo, ma non si accompagna a una contentezza diffusa se non viene cambiata l’arbitrarietà delle Regioni e il dibattito politico, che ritiene l’utente un divanista. Un neologismo orribile.

Una questione non di forma contrattuale, ma di contenuto.

Parliamoci chiaro: io ho bisogno di lavorare, ma questo non è di interesse. La mia battaglia è di riconoscere senso a questa misura; se manca senso possiamo anche continuare a svolgere la mansione, ma che lo facciamo a fare?

Interessante punto di vista, a maggior ragione se si pensa che tre operatori su quattro hanno meno di quarant’anni, con un voto medio di laurea pari a 107 su 110 e con importanti esperienze professionali pregresse alle spalle. Un gruppo di lavoratrici e lavoratori che può continuare a rappresentare un valore aggiunto per l’economia del nostro Paese, ma che non dovrebbe incontrare troppi ostacoli se costretto a reinventarsi sul mercato del lavoro, nazionale o internazionale.

In sostanza, tanti di questi professionisti hanno scelto di intraprendere il ruolo per portare un concreto contributo sociale. Peccato, perché il rischio a fine ottobre è di finire in secondo piano rispetto all’agenda politica. Come ridare centralità al tema da qui alla fine dell’anno?

Io non rappresento il sindacato, sono una semplice collaboratrice con un contratto in scadenza che, per rivendicare l’utilità della propria professione, ha avuto l’idea di curare un libro. Che cosa posso fare di più? Lo sciopero della fame?

Meglio di no, c’è chi purtroppo già la fa. E senza scioperare.

Photo credits: paperboysalerno.it

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