Alcuni immigrati si sentono più tutelati in carcere che in libertà: puntiamo i riflettori sul fallimento delle politiche di integrazione e inclusione, e su una sentenza della Cassazione che l’Italia disattende dal 2006.
Nel mondo arabo è ancora primavera: da Maghreb e Siria il maggior numero di donne ingegnere
Un report dell’Unesco mette in luce la rivoluzione inclusiva che pervade Nord Africa e Medio Oriente: le donne si formano più degli uomini, soprattutto in materie scientifiche.
I Paesi del Maghreb registrano il più alto numero di donne ingegnere al mondo. È il sorprendente dato che emerge dall’ultimo report dell’Unesco intitolato La corsa contro il tempo per uno sviluppo più intelligente, in cui si denuncia invece la bassa percentuale di laureate in ingegneria nel mondo.
Dal documento, diffuso lo scorso 11 febbraio, si evince che nel panorama internazionale le donne laureate in ingegneria sono solo il 28%; il 40% quelle laureate in informatica. “Anche oggi, nel ventunesimo secolo, le donne e le ragazze sono escluse dai campi legati alla scienza a causa del loro genere. Le donne devono sapere che possono eccellere in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica e che hanno il pieno diritto di partecipare al progresso scientifico”, ha commentato Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco.
Questo rapporto, incentrato sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile per il 2030 e la Quarta Rivoluzione Industriale, è stato prodotto con il sostegno della Fondazione Ipsen e verrà pubblicato integralmente nell’aprile 2021.
Il Maghreb e la Siria primi al mondo per donne ingegnere
A smentire stereotipi e pregiudizi, dunque, sono i dati che arrivano dal Nord Africa. Sono le donne algerine le prime in classifica, con il 48,5% di donne ingegnere, seguite dalle colleghe tunisine con il 44,2%, e da quelle marocchine, 42,2%.
Nel mondo arabo emerge un altro dato che colpisce, soprattutto se si considerano le circostanze degli ultimi anni, ed è quello della Siria, con il 43,9% di donne laureate in ambito ingegneristico. La Siria ha sempre avuto uno dei tassi di alfabetizzazione più alti della regione mediorientale, ma dieci anni di guerra hanno stravolto le abitudini e le condizioni di vita della popolazione civile. Investire in studi ingegneristici, per queste donne, è particolarmente significativo: una sfida contro la tragedia della guerra che ha provocato morte e distruzione ovunque.
Nel sud del mondo segnano il passo anche diverse aree dell’America Latina, tra cui spiccano il Perù con il 47,5% di donne laureate in ingegneria, l’Uruguay con il 45,9% e Cuba con il 41,7%. Dati molto interessanti, specie se paragonati alle percentuali di alcuni Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – Ocse – dove la percentuale delle donne laureate in ingegneria non raggiunge nemmeno il 28% del totale. Nel capitolo intitolato “Per essere intelligente, la rivoluzione digitale dovrà essere inclusiva”, la Francia, ad esempio, ha tra i suoi ingegneri solo il 26,1% di donne, gli Stati Uniti il 20,4%, il Canada il 19,7% e il Giappone il 14%.
La parità nelle posizioni di ricercatore continua a crescere nel sud del Mediterraneo. L’Unesco rileva che il loro numero è aumentato dal 35% nel 2005 al 47,1% nel 2017 in Algeria, e dal 36% al 45,6% in Egitto nello stesso periodo. Cifre promettenti, anche se queste medie mascherano enormi disparità tra i campi di ricerca.
Nel mondo accademico “la proporzione di donne diminuisce all’aumentare del livello gerarchico”, afferma il rapporto. Così, in Algeria, le ricercatrici costituiscono il 51% della forza lavoro al primo livello gerarchico (dottorandi assunti come ricercatori o ricercatori senza dottorato), e solo il 20% al quarto livello (direttore della ricerca o professore ordinario). Un divario quasi identico (dal 48% al 24%) si osserva nell’Unione europea, mentre è minore in Egitto (dal 51,2% al 35,5%). Le carriere delle donne sono più brevi a causa di due fattori principali: il mantenimento dell’equilibrio tra lavoro e vita famigliare, ma anche il divario retributivo di genere.
La Tunisia e il percorso verso la democrazia. Che passa per la formazione
Tornando agli incoraggianti dati del Maghreb, ci sono alcune importanti considerazioni da fare.
Nelle ultime settimane si è tornati a parlare di Nord Africa, e di Tunisia in particolare, in virtù della ricorrenza del decennale della rivoluzione, la cosiddetta Primavera Araba, che ha rovesciato il regime di Ben Alì. La Tunisia ha imboccato la non facile strada verso la democrazia, che si sta percorrendo tra numerose difficoltà, ma sembra aver ingranato la marcia giusta.
Le e i manifestanti scesi in piazza in solidarietà con il giovane Mohamed Bouazizi, che si era dato fuoco in segno di protesta per le condizioni economiche in cui versava il suo Paese nel 2011, stanno continuando la lotta per i propri diritti umani. Una lotta che necessariamente passa dalle conquiste in campo culturale e professionale. I dati emersi dal report Unesco vanno proprio in questa direzione e fanno ben sperare.
“Quello scientifico, forse ancor più di quello umanistico, è un ambito dove la meritocrazia ha realmente un valore”, commenta con orgoglio la giornalista e scrittrice italo-tunisina Leila Ben Salah. “Le mie stesse parenti in Tunisia hanno tutte studiato materie scientifiche e riescono a conquistarsi spazi importanti”.
“Incoraggiate dalle famiglie”: perché tante donne maghrebine si formano in materie scientifiche
Questo entusiasmo e questa determinazione sono caratteristiche anche delle giovani donne maghrebine che crescono e si formano in Italia. Amina Abou Fares, di origine marocchina, è dottoressa magistrale in Farmacia, laureata all’Università di Camerino. Il report l’ha piacevolmente colpita, ma non l’ha colta di sorpresa.
“Oggi molte famiglie maghrebine incoraggiano le figlie a studiare e fare carriera, diversamente da quello che accadeva in passato, quando i genitori spingevano perché le figlie si sposassero”. Amina è dottoranda in neuroscienze e le piacerebbe continuare la sua carriera di ricercatrice magari in qualche azienda farmaceutica, dedicandosi alle malattie rare; valuta molto positivamente la sua esperienza: “Non ho mai subito discriminazione per le mie origini, in questo ambiente a nessuno importa da dove vieni, ma solo quanto vali”.
Le giovani donne marocchine sono molto orgogliose della loro storia: va ricordato, infatti, che secondo alcune fonti la prima università al mondo sarebbe stata fondata a Fes (in Marocco) da una donna, Fatima Al-Fihriya, più di duecento anni prima di quella di Bologna, per lungo tempo considerata il primo ateneo al mondo.
A Brescia un’altra giovane di origine marocchina, Amina Louky, una laurea magistrale in ingegneria gestionale e la passione per la scrittura che l’ha portata ad auto-pubblicare un libro, Non dirmi solo ciao, commenta così il report dell’Unesco: “Qui a Brescia la facoltà di Ingegneria è piena di giovani donne, figlie di famiglie algerine, maghrebine e tunisine, iscritte soprattutto ai rami di gestionale, meccanica e civile. Sono orgogliosa che nel Maghreb le donne si laureino più degli uomini”, afferma.
Oggi Amina collabora con un’azienda che opera nell’ambito dell’ortopedia con applicazioni di biomeccanica e neuroscienze. Nel suo piccolo ha portato in alcune scuole superiori la sua testimonianza, incoraggiando molte studentesse e studenti di origine migrante a proseguire i propri studi.
Il Marocco e le riforme che invertono l’immigrazione
Una donna che è diventata un modello di ispirazione per molte giovani è la ricercatrice Mounya Allali dell’Università del Piemonte orientale, membro del Centro Interuniversitario di ricerca.
“Bisogna analizzare i dati del report partendo dal concetto che in Nord Africa la piramide demografica ha una base di giovani, mentre gli anziani sono la punta” spiega Allali. “Negli ultimi anni il Marocco ha investito molto nella ricerca scientifica, sia nel pubblico sia nel privato. È stata una scelta lungimirante, come quella dell’istituzione di un Ministero dei Giovani e di un Ministero dell’Istruzione universitaria, che hanno interrotto la spinta migratoria che ha avuto il suo picco negli anni Ottanta. Le donne sono state particolarmente interessate da questi investimenti, cogliendo l’occasione per formarsi ad alti livelli e affermare il loro talento e i loro meriti”.
Il Marocco è un Paese da osservare e studiare per la sua forte spinta riformista che vede le donne in prima fila da anni, con lusinghieri successi in ambito di apertura politica e sociale. “Un esempio di contaminazione molto bello – conclude la ricercatrice – se si considera la geografia del Marocco, aperto sull’oceano e confinante con la Spagna, vicino alla Francia e all’Italia per ragioni storiche e culturali. L’immigrazione di ritorno, quella dei marocchini che hanno vissuto all’estero e poi sono tornati in patria con un patrimonio di conoscenze e valori innovativi, ha portato benefici all’intero Paese e ha contribuito a un importante cambiamento di mentalità”.
Photo credits: www.alaraby.co.uk
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