Nella ricerca del vaccino, attenti al brevetto

La guerra dei vaccini anti Covid è anche una guerra di brevetti ma nessuno lo dice.

La speranza di uscire presto dalla pandemia è legata allo sviluppo di un vaccino. Le aziende farmaceutiche potrebbero però imporre prezzi troppo alti, anche per la frammentazione della proprietà intellettuale. Due iniziative per scongiurare i rischi.

di Fabio Montobbio e Valerio Sterzi

Vaccino: a che prezzo?

La speranza di uscire presto dalla pandemia è legata allo sviluppo di un vaccino che riesca a immunizzare contro il Covid-19 (se ne parla qui e qui). Così la notizia che quello di Pfizer-Biontech, in via di sperimentazione, possa avere un’efficacia superiore al 90 per cento ha generato un’ondata di ottimismo sull’intero settore e una sostanziale crescita dei mercati azionari.

In linea generale, i brevetti svolgono un ruolo centrale nel proteggere l’innovazione, nel generare incentivi alla ricerca e sviluppo e alla creazione d’impresa. È anche grazie alla protezione della proprietà intellettuale se oggi, per il coronavirus, si contano al mondo più di 160 vaccini sperimentali. In questo caso, tuttavia, vi sono due potenziali rischi. Il primo è legato alla possibilità che le aziende farmaceutiche impongano prezzi eccessivamente elevati. Il secondo riguarda la frammentazione e sovrapposizione della proprietà intellettuale, che potrebbe generare costi aggiuntivi per lo sviluppo e la produzione del vaccino.

Nonostante le cospicue opzioni di acquisto avanzate da vari paesi, il prezzo dei potenziali vaccini è per ora avvolto nella segretezza, con le aziende e i governi che difendono il loro diritto alla riservatezza. Pare comunque che i prezzi possano variare in modo consistente, da 3 – 4 dollari la dose in Europa nel caso del vaccino AstraZeneca, a 10 dollari per quello Johnson&Johnson-Sanofi, fino a 50-60 dollari nel caso di Moderna (se ne parla qui).

Attraverso l’assegnazione di un potere di monopolio, il brevetto dovrebbe permettere alle imprese di recuperare i costi sostenuti per la ricerca e lo sviluppo dei nuovi farmaci. Tuttavia, i nuovi vaccini si possono basare anche su ricerche già brevettate in passato. Vecchi e nuovi brevetti possono coprire diversi aspetti del vaccino, incluse alcune sue formulazioni specifiche, alcuni metodi di produzione o altre caratteristiche proprietarie necessarie per produrlo o utilizzarlo. D’altra parte, molte aziende farmaceutiche hanno ricevuto – e ricevono tuttora – cospicui fondi pubblici (cfr. qui) per la ricerca e per accelerare le fasi di sperimentazione. Il timore, quindi, non è solo che con prezzi troppo alti i vaccini non siano accessibili a tutti, ma anche che i contribuenti paghino due volte, avendo già largamente contribuito con le loro tasse alla sua scoperta e al suo sviluppo.

Dal lato della domanda, i governi hanno un ruolo fondamentale. Possono rivendicare, nell’interesse pubblico, l’uso di alcuni brevetti con imprese private che hanno sviluppato un vaccino la cui ricerca è stata in parte finanziata da fondi pubblici (quiqui). Per esempio, negli Stati Uniti il contributo del finanziamento federale deve essere indicato nelle domande di brevetto (anche se sembra che Regeneron e Moderna non lo abbiano dichiarato in alcuni brevetti recenti), per segnalare al governo i brevetti sui quali è possibile esercitare i diritti riconosciuti dal Bayh-Dole Act. Le agenzie federali si sono impegnate a far rispettare queste clausole, ma alcune associazioni richiedono un intervento più significativo, tra cui l’applicazione del march-in right: mai usato prima, permetterebbe di ottenere licenze gratuite sui brevetti sviluppati grazie a finanziamenti federali. I governi hanno quindi il diritto-dovere di sorvegliare se, e in che misura, le aziende farmaceutiche hanno usato fondi pubblici per sviluppare il vaccino anti Covid-19. Il compito è reso più complicato dal fatto che molte delle attuali ricerche sono il frutto di altre pregresse, spesso brevettate (si veda qui).

Dal lato dell’offerta, le aziende farmaceutiche potrebbero decidere spontaneamente di mantenere i prezzi bassi per motivi di immagine (se ne parla qui). Per esempio, la tedesca CureVac prevede di imporre solo un “margine etico” per gli azionisti. Altri due importanti produttori di farmaci – Johnson&Johnson e AstraZeneca – si sono impegnati a non trarre profitto dai loro vaccini. Non è chiaro però cosa voglia esattamente dire “non trarre profitto”. Così come è importante capire cosa succederà una volta che l’Organizzazione mondiale della sanità abbia dichiarato la fine della pandemia: raramente le malattie sono sradicate in modo completo e i vaccini tendono a essere un’attività economica a lungo termine molto redditizia per le imprese.

Frammentazione della proprietà intellettuale

La scoperta di un nuovo vaccino si basa su metodi già sperimentati dalle aziende, per cui brevetti più vecchi – in questo caso rilasciati prima dell’emergere del Covid-19 – possono proteggere la proprietà intellettuale del nuovo ritrovato. In più, sempre in virtù di quei vecchi brevetti i loro proprietari potrebbero fermare la ricerca, la produzione e la distribuzione di prodotti di altre imprese. C’è dunque il rischio che si aprano numerosi contenziosi che potrebbero ritardare lo sviluppo del vaccino e dei trattamenti efficaci contro il Covid-19.

Per esempio, quest’estate, in una solo seduta di Wall Street, Moderna ha perso oltre il 6 per cento per la semplice ragione che l’Ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti ha deciso di non invalidare un brevetto della concorrente Arbutus Biopharma. Alcune imprese farmaceutiche potrebbero dunque tentare di incrementare opportunisticamente il fatturato utilizzando il loro portafoglio di brevetti anche se solo marginalmente associabili al vaccino. E le aziende che lo producono potrebbero quindi trovarsi a fronteggiare una domanda crescente di royalties e licenze che potrebbe ripercuotersi sui prezzi di mercato. Già oggi si registrano più di 600 casi di contenzioso su brevetti legati al Covid-19, di cui quasi la metà negli Stati Uniti e un terzo in India e Brasile (figura 1). Biontech, l’impresa tedesca partner di Pfizer, quest’anno è già coinvolta in più di venti casi di contenzioso sui propri brevetti, contro gli undici casi dello scorso anno e i tre del 2018 (figura 2).

Covax, Pool e Open Covid Ip

A giugno l’Oms ha lanciato una campagna per l’equa distribuzione di 2 miliardi di dosi di vaccini contro il coronavirus entro la fine del 2021. L’iniziativa, denominata Covax, prevede che i paesi ad alto reddito paghino per acquistare i vaccini, sovvenzionandone così la distribuzione in 92 paesi a basso reddito. La Commissione europea ha aderito a Covax, tuttavia, alcuni paesi avanzati, tra cui Stati Uniti, Giappone e Regno Unito, hanno preferito accordi privati bilaterali per assicurarsi le dosi (se ne parla qui e qui). Il rischio è che con un numero non illimitato di dosi, solo in pochi paesi si vada verso la vaccinazione della maggior parte della popolazione. Coprire le persone più a rischio in un largo gruppo di paesi (ricchi e poveri), in modo multilaterale e collaborativo, probabilmente permetterebbe di sconfiggere la pandemia più rapidamente e in modo più equo.

Per aumentare la trasparenza nel mercato dei brevetti e facilitare un efficiente scambio di tecnologie, l’Oms sponsorizza il Covid-19 Technology Access Pool (C-Tap): l’obiettivo è sfruttare meccanismi già sperimentati (per esempio i medicines patent pool per Hiv, epatite C e tubercolosi, e il Technology Access Partnership dell’Onu) per organizzare in modo congiunto le licenze sui brevetti inseriti nel pool.

Un’ulteriore soluzione proposta da molti esponenti della comunità scientifica è l’Open Covid Pledge. Si tratta di uno strumento legale che permette ai proprietari di brevetti di mettere a disposizione gratuitamente le loro invenzioni per chiunque stia lavorando a soluzioni contro il Covid-19, per un periodo di tempo stabilito (durante l’epidemia e l’anno successivo). Rispetto ai patent pool e alle licenze obbligatorie, il vantaggio di Open Covid Pledge è che le parti interessate a sviluppare un’innovazione, basata sui brevetti “open”, possono usarli senza dover firmare un accordo di licenza: si riducono così notevolmente i tempi di sviluppo di un vaccino o di un trattamento per il Covid. Finora più di 250 mila brevetti sono stati inseriti nell’Open Covid Pledge (cfr. qui). Solo filantropia? I proprietari dei brevetti, pur rinunciando per un breve periodo a un ritorno economico sull’uso della proprietà intellettuale, potrebbero comunque ottenere notevoli vantaggi, non ultimo la possibilità di negoziare licenze a pagamento dopo il periodo previsto e in campi diversi da Covid-19.

Una volta pronti i vaccini, la loro produzione dovrà essere organizzata su larga scala il più rapidamente possibile. Di fondamentale importanza, qui, sarà l’abilità dei governi di assicurarsi in tempi brevi le giuste dosi di vaccino a un prezzo equo.

Ed è auspicabile che tutti gli sviluppatori di vaccini, in particolare quelli che hanno ricevuto – e ricevono – cospicui fondi pubblici, siano pronti a definire i necessari accordi di trasferimento tecnologico ai produttori di tutto il mondo. È perciò necessaria una gestione aperta, trasparente e collaborativa della proprietà intellettuale. E iniziative come Covax e l’Open Covid Pledge vanno proprio in questa direzione.

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