Non accettate coaching dagli sconosciuti

Sono passati molti anni da quando ho iniziato ad occuparmi di consulenza e sviluppo nelle risorse umane, e nonostante il coaching sia diventata una metodologia di intervento molto diffusa in azienda, incontro spesso interlocutori che mi chiedono quale sia la differenza tra la classica formazione e il coaching. In questi anni la crescente e rapida […]

Sono passati molti anni da quando ho iniziato ad occuparmi di consulenza e sviluppo nelle risorse umane, e nonostante il coaching sia diventata una metodologia di intervento molto diffusa in azienda, incontro spesso interlocutori che mi chiedono quale sia la differenza tra la classica formazione e il coaching.

In questi anni la crescente e rapida diffusione di esperienze di coaching nei contesti lavorativi ha destato curiosità ed entusiasmo, misti anche a diffidenza. Questo è avvenuto in un momento storico in cui tutte le società occidentali stanno affrontando una profonda crisi di senso di identità con forte indebolimento dei tradizionali punti di riferimento, professionali, familiari e ideologici. Il lavoro, la carriera professionale, può così diventare un significativo valore personale espresso attraverso la ricerca dell’eccellenza e della performance.

Oggi ogni attività professionale si sviluppa in contesti sempre più complessi, competitivi e veloci, e le imprese sono attraversate da profondi cambiamenti (globalizzazione, nuove tecnologie, ristrutturazioni). Tale complessità necessita sempre più di una elaborazione delle informazioni/situazioni più importanti, facilitata da un momento di distacco e da un’alternanza riflessione/azione tipica del processo di coaching.

Fino a qualche tempo fa le aziende utilizzavano la classica formazione d’aula per orientare le persone all’organizzazione, attraverso il trasferimento di concetti condivisi (allineamento), cercando nel contempo di rinforzare la relazione tra azienda e persone (coinvolgimento).

Oggi è sempre più chiaro che molte di queste tecniche formative non sono più attuali ed efficaci, in quanto le nuove competenze richieste sono di natura relazionale ed emozionale e l’esigenza è quella di trovare il giusto equilibrio tra le caratteristiche della persona e l’organizzazione in cui lavora. Mantenere un equilibrio tra essere, fare e affermare la propria individualità all’interno dell’azienda è quindi una nuova competenza che spesso i processi classici di formazione, centrati sui contenuti, non riescono a sviluppare, e che invece trova una perfetta rispondenza nell’esperienza del coaching.

 

Coaching e formazione: quali sono le differenze?

Vediamo quindi quali sono le significative differenze tra la formazione e il coaching.

Innanzitutto il paradigma iniziale del coaching parte dal presupposto di un rapporto di co-elaborazione tra il coach e il suo cliente (coachee), che colloca la loro relazione su un livello non lineare (come quella tipica tra cliente e fornitore), ma dialettico circolare, tra co-attori e partner di un progetto comune. Tutto questo avviene all’interno di una relazione privilegiata a due, dove tra l’altro l’oggetto dell’intervento è definito dal cliente.

La formazione invece, che spesso si realizza in gruppo e in giornate calendarizzate e organizzate per argomenti, si limita in genere a una trasmissione di contenuti predefiniti attraverso una comunicazione unidirezionale tra docente e allievo. I contenuti della formazione, inoltre, spesso non vengono condivisi direttamente con gli allievi, che quindi subiscono passivamente la scelta fatta dal committente azienda.

La circolarità tipica del coaching, al contrario, fornisce una grande plasticità all’intervento, che si sviluppa in maniera interattiva con i contributo metodologico del coach e le azioni del cliente. Le sessioni individuali sono spesso personalizzate nella loro durata (60/120 minuti) e frequenza (6/10 incontri). Il coach non è quindi un esperto di uno specifico ambito o tecnologia, ma il facilitatore di un percorso di consapevolezza e assunzione di responsabilità che il cliente intraprende per raggiungere gli obiettivi che lui stesso si è dato. Questo “basso profilo” in termini di non proattività nel processo da parte del coach rappresenta nei fatti una garanzia di efficacia del coaching, che mette sempre al centro il cliente e la sua esperienza.

Da questi elementi si evince con chiarezza che, all’opposto dell’attività formativa, il percorso di coaching non può essere preparato, e anzi spesso è auspicabile che il coach conosca meno bene del suo cliente il campo di intervento di quest’ultimo. Uno degli strumenti principali del coach è infatti l’ascolto, soprattutto quando detiene potenzialmente la risposta alla problematica presentata. Questa capacità del coach di “essere neutro” e “fare il vuoto”, cioè essere di fronte al cliente senza nessuna soluzione o intenzione, lo rende una figura completamente diversa dal formatore, che spesso viene considerato invece come l’esperto della situazione e quindi il protagonista dell’incontro.

Più il coach riesce, attraverso una relazione di fiducia con il coachee, a creare uno spazio creativo di piena libertà dove il cliente possa sperimentare le sue problematiche e le sue verità, più l’intervento si rivelerà efficace e proficuo. Il coaching può dunque essere paragonato a uno strumento messo a disposizione del cliente per raggiungere i propri obiettivi.

Nella sequenza logica dell’apprendimento ci penso, ne parlo e poi agisco. La formazione si pone tra i primi due step, mentre il coaching tra gli ultimi due.

Per sintetizzare, se siete interessati a conoscere e acquisire nuovi concetti e nuove tecniche partecipate a un corso di formazione; se volete applicarvi in un nuovo comportamento che migliora la vostra performance cercatevi un bravo coach. Senza mai scordare che l’esito della performance, come sempre, dipende dalla bravura di entrambi gli attori.

 

Photo by Serkan Turk on Unsplash

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