Secondo un recente rapporto OPSan, le persone in condizione di povertà sanitaria sono in aumento del 10,6% rispetto al 2022. Le ragioni di chi non può curarsi per ragioni economiche sono le più molteplici, e toccano anche il precariato lavorativo. E il Terzo settore fa da puntello
IA, missa est: Paolo Benanti alla Commissione Algoritmi
Il frate francescano, già docente universitario di etica e consigliere del papa sul tema dell’intelligenza artificiale, sostituisce Giuliano Amato alla presidenza: tornano a fioccare le critiche. Ma l’Italia non ha molto da dire nel dibattito (soprattutto europeo) sull’IA
L’abito fa ancora il monaco, persino in tempi di intelligenza artificiale. Mentre le pseudo-messe virtuali celebrate nei metaversi non fanno già più notizia e la Chiesa si interroga sulla propria futura identità digitale, la nomina a presidente della Commissione Algoritmi di Paolo Benanti, frate e docente di etica, si è innestata come un bug nel dibattito pubblico.
Il collegio, istituito dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria, dovrà stilare suggerimenti per affrontare l’impatto della rivoluzione algoritmica sul settore editoriale. Ora: è chiaro come la Commissione potrà esse fero o esse piuma, a seconda di quanto il Governo vorrà recepire le sue indicazioni, che dovranno inserirsi in modo organico nel quadro dell’AI Act europeo. Ma, poiché fanno comunque specie alcune critiche, analizziamole in una sorta galleria degli orrori e degli errori.
Paolo Benanti presidente della Commissione Agoritmi: perché “un prete” rischia di fare meglio dei “tecnici”
«Un prete alla guida? Significa partire con il freno a mano, l’IA deve essere lasciata libera di correre.»
Qualcuno conosce l’orientamento religioso degli altri componenti della Commissione? Magari si scopre che esiste qualche talebano ortodosso, molto più del “prete”. E ancora: questa affermazione denota la temibile polarizzazione, che permane, tra tutto o niente, tra chi opta per un’IA senza regole perché pro innovazione e chi la vuole costringere in un dedalo di leggi, perché il futuro fa paura. Nulla di più pericoloso e, purtroppo, anche di facile. L’IA è diventata chiacchiera da bar senza passare dal via, con la differenza che se davanti a un caffè siamo tutti allenatori, quando parliamo di rivoluzione algoritmica rischiamo di infliggerci un autogol dopo l’altro, se non ne comprendiamo la portata.
«Insegna etica, non può sapere di IA.»
Oltre a essere l’unico italiano del New Artificial Intelligence Advisory Board, neonato comitato ONU sull’IA, Benanti era già stato nominato nell’altra Commissione governativa, quella nominata dal sottosegretario Alessio Butti, con l’indicazione di supportare la strategia nazionale per l’IA, di cui a oggi fa parte. Ignoranza al galoppo.
«Dovevano mettere un tecnico.»
Scorrendo l’immaginario dei papabili profili tecnici, l’idea che, ad esempio, uno startupper, magari di media reputazione, possa presiedere un tavolo di lavoro complesso, mi mette i brividi: è bastato vedere come i giovani imprenditori della GenAI, IA generativa, si sono allarmati, mesi fa, al primo richiamo del Garante su ChatGPT, e soprattutto cosa non hanno detto. Nessuna capacità di lettura del reale (mai un accenno agli impatti lavorativi, mentre gli scioperi dello spettacolo erano in corso in U.S.A.); nessuna conoscenza tecnica sulle architetture dei modelli fondativi (eppure le denunce per violazione di copyright, dichiarazioni pubblicitarie mendaci – vedasi l’americana FDA – e violazione dei diritti umani erano già iniziate); nessuna capacità di analisi (l’erosione tra vero e falso online aveva già fatto capolino, con il celebre caso dell’opera fake di Vermeer sputata da Google nei risultati di ricerca).
A che cosa servirà la Commissione Algoritmi, nel concreto?
Dunque, benvenuto padre Benanti. Sul potenziale della Commissione Algoritmi, infine, serve bilanciare aspettative e possibilità, allargando lo sguardo al contesto internazionale.
Se guardiamo alle imprese, l’Italia non ha un campione da difendere: la Francia ha in pancia Mistral, considerata tra le pochissime aziende in grado di competere a livello mondiale con le grandi, come OpenAI, Google e Microsoft; e la Germania ha Aleph Alpha, motivo per cui i due Paesi hanno guidato le trattive sull’AI Act mentre il nostro è rimasto silente.
L’operato della Commissione non cambierà di una virgola il futuro della filiera italiana dell’IA e non nasce per questo, da cui la necessità di ridimensionare le polemiche, oltre che le attese. Di buono mi auguro possa offrire qualche spunto su tempi rilevanti: la riconfigurazione dei contributi al settore editoriale alla luce dello tsunami IA, la formazione professionale, magari qualche campagna informativa e linee guida trasparenti per la riforma dell’Ordine dei giornalisti. Andiamo in pace.
Foto di copertina di Domenico Grossi: Paolo Benanti al festival Nobìlita 2021, a Ivrea
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