Partiti, senza territorio non si governa: a Milano e in Italia ha vinto chi è rimasto

Una riflessione sui risultati elettorali sulla base della presenza dei partiti nei territori, con strategie ed esiti differenti: l’esempio di Milano. Lorenza Rossi, FdI: “Abbiamo portato via voti alla Lega e da aree di società deluse dai partiti di sinistra”.

“Una volta il punto di forza dei partiti di sinistra e in particolare del PCI era la presenza massiccia e articolata sul territorio. Non mi riferisco soltanto alle sezioni che erano la struttura portante della politica nei quartieri, ma anche alla presenza dei militanti nei luoghi di lavoro, nei consigli di fabbrica, nei sindacati e nelle associazioni che monitoravano il sociale. C’era una tradizionale sensibilità in quella direzione. Ora tutto è cambiato. Il partito di massa è stato smantellato da anni. Il PD è da almeno un ventennio che non guarda cosa avviene nelle periferie, nella parte più povera ed emarginata del Paese. Non è un caso che i punti di forza elettorali del partito siano i centri storici. È troppo tempo che il PD sta nelle stanze del potere senza guardare cosa avviene nelle viscere della società. Sarà difficile tornare indietro se non si rifonda radicalmente il partito.”

Emilio Randazzo non lo vedevo da anni, da quando da studente andavo a distribuire davanti alla fabbrica volantini dal titolo “studenti-operai uniti nella lotta”. Lui è un ex operaio della Breda, il colosso siderurgico di Sesto San Giovanni, ex Stalingrado di Italia, che negli anni Ottanta fu smantellato a seguito del gigantesco processo di deindustrializzazione che assieme alle grandi fabbriche liquidò anche la classe operaia, e più in generale il proletariato urbano. Ora è fuori dalla politica militante da anni, ma la passione non si è spenta, e guarda con orrore i flussi elettorali che registrano uno spostamento verso il centrodestra delle generazioni più giovani.

Randazzo era militante del PCI, poi PDS, poi DS e poi PD. Ora in quell’area che veniva occupata dalla Breda, dalla Pirelli, dalla Magneti Marelli e altre più piccole fabbriche c’è l’Università Statale di Milano, un enorme multisala e il teatro Arcimboldi. E al posto dell’ex partito di massa che occupava fabbriche e quartieri con le sezioni e le cellule di partito c’è la fiamma di Giorgia Meloni, che alle ultime elezioni proprio nella ex Stalingrado d’Italia ha incassato una quantità inaspettata di voti grazie al lavoro nel sociale fatto negli ultimi anni. Una ragnatela silenziosa ma attiva, fatta di circoli di quartiere e di presenza nelle istituzioni locali, supportata da un’opposizione che non ha badato a spese e che ha raccolto l’adesione anche dei residui di classe operaia e ceto medio basso.

Da partito di massa a partito di governo: evoluzione e involuzione del PD

Mentre la borghesia progressista milanese si stringeva attorno alle bandiere del sindaco Sala e del PD in una Milano tecnologica simboleggiata dal Bosco Verticale e dal futuribile centro direzionale, nell’hinterland e nella periferia si insediavano prima la Lega poi Fratelli d’Italia, prendendo così d’assedio il centro sinistra.

C’è chi dice, come Massimo Cacciari, che il PD non sia mai nato. Può essere. Ma è certo che da molti anni il principale partito della sinistra, uno dei maggiori perdenti delle ultime elezioni, a un certo punto della sua lunga storia abbia tradito la strategia del partito di massa voluto da Palmiro Togliatti alla fine della Seconda guerra mondiale per realizzare “la via italiana al socialismo”. Una strategia che negli anni Settanta, precisamente nel 1976, portò il partito di Enrico Berlinguer a conquistare la maggioranza degli elettori, superando per la prima volta la DC.

Gli osservatori più attenti sostengono che la svolta da partito di massa a partito di potere avvenne all’inizio del nuovo millennio, quando Massimo d’Alema, superando il fattore K che per anni aveva impedito ai comunisti di entrare nelle stanze dei bottoni, divenne presidente del consiglio. A quell’epoca, mi spiega un vecchio comunista, scattò l’illusione che si potesse governare senza tenere conto della base sociale che aveva retto per decenni il partito, fino alla scissione con Rifondazione Comunista che portò con sé una parte della struttura di massa del partito.

Ognuno dei cinque segretari che si sono alternati ai vertici del PD negli ultimi anni si è ripromesso di tornare nelle aree popolari dove era nato, ma alla fine prevaleva la logica del potere. Ora probabilmente il Pd dovrà fare i conti proprio con la sua storia per uscire dal tunnel delle sconfitte, anche se dai primi vagiti dopo la débâcle non sembra che la lezione sia servita.

Lorenza Rossi, FdI: “Noi presenti sul territorio da tempo e all’opposizione solitaria”

Se si bussa alla porta del circolo di Fratelli d’Italia, sotto casa, si respira un’altra aria.

Un entusiasmo da vincitori. Quando chiedo di parlare con i responsabili del circolo o con gli organizzatori, che mi possano spiegare come è strutturata Fratelli d’Italia sul territorio, Lorenza Rossi, della segreteria del circolo, mi chiede in primo luogo qual è il giornale che rappresento. Quando gli spiego che SenzaFiltro, giornale che si occupa di lavoro, vuole monitorare il rapporto tra i partiti e il territorio è ben contenta di mettermi in contatto con il coordinatore provinciale, che alla fine non si farà vivo. Tuttavia Lorenza Rossi qualche dato e qualche valutazione me lo fornisce volentieri.

“Da tempo siamo presenti sul territorio con i circoli di quartiere e i circoli ambientali. Tenga conto che Fratelli d’Italia ha avuto tutto il tempo di radicarsi nelle città come in provincia grazie a un’opposizione solitaria, anche nelle aree nelle quali la Lega era molto forte, come in Veneto o nell’hinterland milanese. Non è un caso che oggi Fratelli d’Italia a Milano e provincia sia il primo partito.”

Analizzando i flussi elettorali sembrerebbe che il vostro partito ha fatto man bassa di voti sottraendoli alla Lega. Lei conferma questa tendenza? “Direi di sì. Non solo abbiamo portato via voti alla Lega, ma abbiamo preso i voti da quelle aree di società deluse dalla politica dei partiti di sinistra. Rispetto alla Lega è evidente quello che è avvenuto: gli elettori non hanno perdonato al partito di Matteo Salvini di aver partecipato al governo Draghi”.

Dal 33 all’8%: la Lega abbandona il territorio, il territorio abbandona la Lega

La sconfitta più indigesta è quella appunto della Lega.

Matteo Salvini fa finta di niente, ma nel suo entourage, malgrado le bocche cucite nella comunicazione ufficiale, c’è chi comincia a mettere in discussione la sua strategia di tentare la strada del partito nazionale, con poco successo. Al Sud è stato un disastro, al Nord c’è stato il sorpasso della fiamma tricolore. Un esponente della Lega milanese, che negherebbe ogni cosa se facessimo il suo nome, imputa proprio all’abbandono del territorio una delle cause della sconfitta.

“Non possiamo nascondere i fatti. La Lega Nord aveva una presenza massiccia sul territorio soprattutto in Veneto, ma anche in Lombardia, dove non dobbiamo dimenticarci che è nata. Era quella la sua forza, lo stesso Salvini negli anni precedenti al governo con i 5 Stelle era riuscito a costruire una rete di alleanze con ceti produttivi e aree lasciate allo sbando dal centrosinistra che ci dava forza e portava voti. Tanti voti. Poi il governo giallo-verde, l’illusione di una Lega nazionale e la partecipazione al governo Draghi hanno bruciato progressivamente quel legame con i territori coltivati negli anni e hanno aperto un’autostrada per il nostro alleato Fratelli d’Italia, che passo dopo passo ha superato la Lega nel giro di qualche anno. Il crollo è drammatico se si pensa che siamo passati dal 33% alle europee all’8% delle ultime elezioni”.

La sconfitta della Lega brucia soprattutto in Veneto, dove imprenditori leghisti ricordano a Salvini che il loro partito negli anni ha dissipato voti al Nord: “Verificare che un partito romano-centrico superi la Lega nelle nostre zone è deprimente”.

Il Movimento 5 Stelle e il RdC, passpartout per parlare ai ceti a rischio

Singolare ma significativo il caso del Movimento 5 Stelle, il partito più d’opinione e meno territoriale del panorama politico italiano.

Il movimento fondato da Beppe Grillo e guidato da Giuseppe Conte, malgrado il crollo di voti dal 33 al 15% in soli quattro anni, in finale di campagna elettorale ha tenuto botta grazie soprattutto alla difesa a oltranza del Reddito di Cittadinanza, una conquista inventata da Beppe Grillo che è e rimane un punto di non ritorno per le aree povere del Paese perché tocca gli interessi materiali di milioni di persone.

All’uscita di un CAF intercetto un uomo sui cinquant’anni che ha appena fatto domanda per ottenere il Reddito di Cittadinanza.

“È in questo modo – osserva Fabrizio – che i grillini hanno conquistato la mia simpatia e la simpatia di molte persone che non si occupano di politica, ma che sono in una condizione di indigenza e di precarietà. Io non li avevo mai votati prima. Spero che il nuovo governo tenga conto di questa realtà. Togliere il Reddito di Cittadinanza in questo momento sarebbe un disastro per tanta gente che sente l’arrivo di una crisi che fa paura”.

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