Quanto siamo sporchi: ancora tagli sui servizi di pulizia

Addetti e addette alle pulizie nella morsa degli appalti al ribasso: monte ore, servizi e DPI ridotti dai tagli. Anche in tempo di pandemia. I sindacati: “Contratto nazionale non rinnovato da otto anni”.

“Piuttosto che restare senza lavoro, vado a fare le pulizie”. Oppure: “Spero di non ridurmi a dover andare a pulire i cessi!”. O ancora: “Faccio un lavoro di un certo tipo, mica le pulizie”. Dulcis in fundo con retrogusto amaro: “Per pulire che cosa ci vorrà mai? Se devo mettere in regola chi lo fa perdo più tempo che altro”.

Alzi la mano chi in vita sua non ha mai sentito pronunciare almeno una di queste frasi, come se niente fosse. E magari qualcuna l’ha pure pensata, senza il dubbio che quel pensiero fosse la spia di uno stereotipo ambulante che ci tiene ostaggi, chi più chi meno, da tempo immemore, sgretolando il rispetto dovuto nei confronti a un lavoro essenziale e prezioso come quello degli addetti e delle addette alle pulizie.

Atterrando sul terreno della cultura del lavoro, le parole traghettano inevitabilmente modi di intendere e visioni che a loro volta si solidificano infatti, lasciati poi arrugginire sotto strati di pregiudizi. Magari proprio quelli che li hanno creati. L’ambito delle pulizie, di per sé molto articolato considerando tutte le distinzioni, come ad esempio la sanificazione e la disinfestazione, è tra i più attanagliati dai luoghi comuni.

Il risultato è quello di considerarlo un “lavoro sporco”, una sorta di ultima spiaggia, se non quasi una punizione: idea veicolata su larga scala persino da fiabe intramontabili dove la protagonista di turno trova il proprio riscatto sociale ed economico passando dal livello più basso delle pulizie (da cui salvarsi) al matrimonio nel castello già pulito (magari da altri). Non di certo un inno all’autonomia e men che meno alla dignità del lavoro: canovaccio che ritroviamo nella nostra attualità, con conseguenze tangibili e molto pesanti.

“Contratto nazionale degli addetti/e alle pulizie non rinnovato da quasi otto anni”: la denuncia di FILCAMS nazionale

Ai tempi del coronavirus la svalorizzazione del settore delle pulizie si affianca alla pretesa paradossale di ottenere, da parte di chi le svolge, un risultato impeccabile. Ed è proprio questo 2020 emblematico a ricordarci senza remore quanto il servizio di pulizie, con le sue varie declinazioni, permetta a tutti noi non solo igiene e decoro, ma anche salute e fruibilità degli spazi. In una parola: la tanto decantata sicurezza.

L’insostenibilità della situazione è stata resa esplicita lo scorso 13 novembre, in occasione dello sciopero nazionale che ha visto lavoratori e sindacati rivendicare diritti fondamentali per questo settore che in Italia coinvolge circa 600.000 persone. Al centro dell’attenzione dinamiche che giocano sporco sulla pelle di chi concretizza il servizio: gli/le addetti/e alle pulizie guadagnano infatti 7 euro e 16 centesimi lordi all’ora, gli appalti al ribasso regnano sovrani mentre il contratto nazionale non viene rinnovato da quasi otto anni.

Raggiungiamo telefonicamente a Roma la segretaria di FILCAMS nazionale, Cinzia Bernardini, che condivide la riflessione sugli stereotipi: “Se un lavoro non viene riconosciuto come importante, di conseguenza non viene nemmeno valorizzato”. E sottolinea: “La pandemia ha messo in luce più che mai l’indispensabilità del servizio di pulizie”.

La battaglia su cui si concentra da mesi FILCAMS riguarda proprio il rinnovo del contratto nazionale, a cui si aggiunge la grave questione dei tagli. “Si tratta di uno dei settori più colpiti dalle spending review di questi anni”, spiega. Sforbiciate che impattano negativamente dal punto di vista della sicurezza: “Ci sono ricerche che dimostrano che da quando è iniziata la parabola dei tagli sono aumentate le infezioni all’interno degli ospedali. Nelle sale operatorie e nelle terapie intensive, prima che ci entrino medici e infermieri, ricordo sempre che ci sono passati gli addetti alle pulizie. Senza di loro questi luoghi risulterebbero inaccessibili, scuole e uffici compresi”.

Arriviamo al nocciolo della questione. Dopo che è scoccata la pandemia agli addetti e alle addette alle pulizie viene richiesto maggior impegno, mentre le tutele arrancano e il rinnovo del contratto resta parcheggiato a sette anni e mezzo fa. “Tutto ciò accade nonostante le imprese abbiano visto un aumento di fatturato: la situazione non è più sopportabile”, evidenzia Cinzia Bernardini. “Il rinnovo del contratto nazionale implicherebbe anche un riconoscimento del valore e dei diritti di questi lavoratori e lavoratrici, oltre al chiaro discorso salariale. Il mancato rinnovo impoverisce la qualità stessa degli appalti”.

A gravare sulle spalle di chi lavora nel settore ci sono in aggiunta gli appalti al ribasso, spesso oltre i limiti della decenza: “A ogni cambio di appalto dobbiamo lottare per far mantenere il monte ore contrattuale ed evitare così una retribuzione ridotta. Per questo stiamo chiedendo un confronto diretto con i committenti: sono loro che decidono gli appalti”. Non sono mancati esiti positivi dal punto di vista delle battaglie concretizzate dal sindacato, come quella del 2019, in Toscana, dove oltre 3.000 lavoratori/lavoratrici del settore hanno visto salvaguardate tutte le ore del contratto.

“Il problema di come si costruisce e affida un appalto resta fondamentale e va risolto”, chiosa Bernardini. “I committenti che puntano al risparmio dovrebbero considerare che poi il costo elevato se lo ritrovano nel gestire il propagarsi di infezioni e le varie conseguenze negative”.

In Lombardia taglio ore alle pulizie negli appalti. Marco Beretta, FILCAMS Milano: “Serve un protocollo”

Asticelle che si alzano vertiginosamente, dal punto di vista delle performance richieste, a fianco di asticelle che invece colano a picco sul fronte della tutela dei diritti. Questo connubio micidiale non risparmia la Lombardia, dove ci confrontiamo con il segretario di FILCAMS Milano, Marco Beretta, il quale racconta: “Abbiamo il problema delle gare d’appalto indette da ARIA (Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti), società della Regione Lombardia, le quali vengono assegnate a un costo che non copre il costo stesso del lavoro”.

C’è poi il caso emblematico della gara d’appalto per la pulizia e la sanificazione dell’ospedale Gaetano Pini di Milano, dove tra l’altro vengono trattati casi di COVID-19: “La gara ha previsto un prezzo che non copre il costo del lavoro, producendo così un taglio delle ore di attività delle lavoratrici del 30%”, spiega.

Danni alla categoria che si ripercuotono inevitabilmente sulla qualità del servizio: come si può garantire un ambiente sanitario sicuro se le ore a disposizione per pulirlo adeguatamente sono ridotte in piena pandemia? “La riduzione del monte ore dei contratti avviene soprattutto in occasione di appalti pubblici per contesti sanitari”, evidenzia Beretta. “Situazioni analoghe le abbiamo riscontrate anche a Bergamo e a Pavia. A questo proposito abbiamo chiesto di aprire un tavolo di confronto con la regione per discutere un protocollo degli appalti che porti al miglioramento della situazione”.

“In cassa integrazione da febbraio: per colpa dei tagli non ci davano nemmeno i guanti di protezione”

Diritti e tutele lasciati alla deriva, con un effetto domino sulle vite di chi lavora e su quelle di chi usufruisce del servizio, con esiti precari fino a livelli insostenibili. Una testimonianza diretta ci viene fornita da una lavoratrice del settore, che chiameremo S. per rispetto della sua privacy. Restiamo in Lombardia e stavolta approdiamo nel contesto scuola, dove S. svolge le pulizie da vent’anni.

“Soprattutto quando si ha a che fare con i bambini, l’igiene è un aspetto primario a cui prestare massima attenzione”, racconta. “Mi è capitato di lavorare anche in asili nido, e in quel caso la sanificazione va ripetuta più volte”. Un impegno che richiede sforzo fisico, scrupolosità, preparazione: eppure dall’altra parte non mancano situazioni di gravi lacune.

“Per colpa dei tagli è capitato che mancassero persino i guanti di protezione: in quel caso abbiamo dovuto portarli noi addette da casa”. Trattandosi di prodotti chimici, i detersivi riportano sull’etichetta l’indicazione di indossare occhiali di protezione: “E chi li ha mai visti quelli?”, risponde con una risata amara. In pratica si pulisce per tutelare la salute altrui mettendo in stand by l’attenzione sulla propria: un controsenso.

Ma questo non è l’unico problema: “Sono in cassa integrazione da febbraio, quando hanno chiuso le scuole per coronavirus”, spiega la nostra intervistata. “La situazione è molto difficile perché le entrate sono basse e calcolate al 40% sul nostro stipendio, che non arriva a 7 euro all’ora e con contratto part-time. In più, il pagamento di giugno dell’INPS mi è arrivato a ottobre. Quest’anno non avrò la tredicesima, che già prima non era il massimo, ma almeno c’era. Chi è senza l’aiuto di un famigliare in una situazione come questa non ce la fa”.

Le difficoltà, tuttavia, erano presenti anche prima della pandemia: “Noi lavoratrici del settore veniamo spesso trattate come trottole: ci vengono affidate incombenze da risolvere senza nessun preavviso. In generale chi lavora in questo settore viene poco considerato”.

S. si è inoltre dovuta scontrare con la dura realtà di un nuovo appalto al ribasso: “Vent’anni che lavoro e non solo mi sono state tolte ore di lavoro, ma pure gli scatti di anzianità”. Alcune sue colleghe continuano a lavorare, altre come lei sono state lasciate a casa in cassa integrazione. “Ho proposto la rotazione ma c’è stato un boicottaggio proprio da parte delle colleghe”. Una mors tua vita mea lavorativa, che impedisce la solidarietà e un’azione coesa di rivendicazione dei diritti. C’è chi tace per mantenere lo stipendio, chi alza la voce per riprenderselo: in ogni caso si corre sempre da soli.

In mezzo a tutti questi diritti calpestati, ci chiediamo: come può brillare indisturbata la pretesa di trovare tutto pulito e in ordine quando la dignità, come la polvere, viene cacciata sotto il tappeto a favore del profitto?

Photo credits: www.pu24.it

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