Retribuzione disabili: chi li paga e quanto guadagnano?

Che lavori fanno le persone con disabilità? Che contratti hanno e quanto vengono pagati? Quali differenze salariali ci sono tra lavoro in azienda, lavoro in cooperative sociali e tirocini? Queste sono le domande che mi hanno guidato lungo un percorso molto lungo, che è iniziato prima che arrivasse il coronavirus e che in certi casi […]

Che lavori fanno le persone con disabilità? Che contratti hanno e quanto vengono pagati? Quali differenze salariali ci sono tra lavoro in azienda, lavoro in cooperative sociali e tirocini? Queste sono le domande che mi hanno guidato lungo un percorso molto lungo, che è iniziato prima che arrivasse il coronavirus e che in certi casi mi ha permesso di vedere coi miei occhi il lavoro dei disabili; in altri mi ha concesso soltanto di farmi raccontare la situazione dai loro responsabili e telefonicamente.

Purtroppo in Italia gli esempi di aziende che hanno trovato per il lavoratore disabile la giusta collocazione (attenzione: non sto parlando di postazione, ma di collocazione) sono pochi. In molti ancora pensano, e me lo ha confermato Gabriele Gamberi di Asphi (fondazione che si occupa di tecnologie digitali per migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità), che ci si possa fermare all’adeguamento delle postazioni che fa parte dei cosiddetti accomodamenti ragionevoli. Ma quali sono davvero gli accomodamenti ragionevoli?

Gabriele è molto chiaro: “Tutti si fermano alla postazione di lavoro, ma quella dovrebbe essere l’ultima cosa, forse la meno costosa e la meno importante. Il percorso di inclusione non è fatto solo dagli ausili, è molto più complesso. L’accomodamento ragionevole deve comprendere la capacità di riorganizzare il lavoro e i suoi tempi, deve comprendere la formazione del personale, l’identificazione di un mansionario corretto, e solo in seguito l’adeguamento delle postazioni. Solo così puoi costruire l’identità del lavoratore e non l’identità del disabile. La tecnologia fa parte degli accomodamenti ragionevoli, ma non basta”.

 

La metodologia IPS spezza i tirocini a catena

Il pregiudizio nei confronti delle persone con disabilità, manco a dirlo, è radicato e profondo, e lo testimonia anche l’esperienza di Angelo Fioritti, direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Ausl di Bologna. Il dipartimento infatti sta ottenendo buoni risultati in ambito lavorativo con la metodologia IPS (Individual Placement and Support), ma il merito di questo successo, lo scopro presto nelle sue parole, non è di certo delle imprese.

Il dipartimento sta seguendo in totale 1200 persone. Tra queste, 760 svolgono tirocini presso cooperative sociali o presso datori di lavoro pubblici e privati; le altre 440 sono seguite con la metodologia IPS. Di queste ultime, ben 200 hanno ottenuto un contratto di lavoro nel profit e con le stesse modalità degli altri disoccupati. A spiegarmi esattamente che cos’è questa nuova metodologia è Vincenzo Trono, educatore del dipartimento.

Con IPS abbiamo ribaltato la logica dell’assistenza, per cui da parte nostra non c’è alcun tipo di mediazione con i datori di lavoro, ma soltanto un’attività di supporto all’individuo affinché svolga la ricerca autonomamente. Il nostro operatore non si rapporta con il datore di lavoro, ma sostiene la persona con disturbo mentale affinché svolga tutte le attività di ricerca del lavoro nella maniera corretta. Li seguiamo nella fase di preparazione del curriculum, nella ricerca delle offerte di lavoro, li prepariamo ad affrontare i colloqui. Tutto questo è fortemente motivante per la persona, perché la aiutiamo a cercare l’occupazione che desidera e che è in linea con le sue aspirazioni. E soprattutto, essendo una ricerca autonoma, nel datore di lavoro non scatta il pregiudizio che c’è di solito verso una persona con disturbo mentale e assume con più facilità”.

Il lavoro del dipartimento è preciso e mirato. Ciò che ci lascia l’amaro in bocca è che la percentuale di successo dell’operazione dipende largamente dal fatto che al datore di lavoro non si dichiara la condizione di malattia. “Se fosse un operatore sociale a mediare con il datore di lavoro – prosegue Vincenzo – la risposta sarebbe no grazie, oppure alla meglio, sì ma facciamo un tirocinio. E in seguito al primo tirocinio si proporrebbe un secondo tirocinio, sempre con il dubbio che la disabilità psichiatrica possa creare problemi. Il parcheggio del disabile nella posizione di tirocinio è una condizione sin troppo diffusa e l’IPS serve proprio per rompere questa catena. Ancora troppo spesso si ritiene che la disabilità psichica faccia diventare la persona poco occupabile, e il pregiudizio è anche all’interno dei centri per l’impiego”.

“In realtà – conclude il direttore Fioritti – gli studi e le ricerche condotte finora dimostrano che l’IPS è un modello che funziona, perché il lavoro è fondamentale per la salute mentale in tutte le sue funzioni, non solo di sostegno economico, ma di identità, di relazione e di strutturazione del tempo. All’inizio abbiamo ricevuto molte critiche: ci accusavano di esporre i nostri pazienti a livelli di stress troppo alti, con il rischio di aumentare i ricoveri e le delusioni. Invece si è verificato esattamente il contrario”.

 

Le cooperative sociali, il lavoro alla CIM. E la retribuzione dei lavoratori disabili

Sono riuscita a visitare la cooperativa sociale CIM prima che questo virus ci tappasse tutti in casa e ho visto con i miei occhi gli ambienti in cui le persone con disabilità sono impegnate: il ristorante La Taverna del Castoro, il laboratorio di assemblaggio e confezionamento Casella e il laboratorio educativo Talità Kum. Sono rimasta piacevolmente sorpresa quando Mara, responsabile della comunicazione, e Remo, responsabile educativo della cooperativa, mi hanno fatto l’elenco delle imprese del territorio che commissionano a Casella il lavoro da eseguire. Per la Farmac Zabban confezionano materiale farmaceutico (garze, termometri, tutori), per la Pilot assemblano gli espositori per le penne, ma lavorano anche per Rivit, Sistem Pneumatica, PG ed Euroricambi. Aziende importanti del bolognese che invece di delocalizzare in all’estero le lavorazioni a basso costo le hanno tenute qui, dando un potente segnale.

Mara mi accompagna a conoscere i ragazzi del laboratorio di imballaggio, che vedo lavorare con impegno e dedizione. Ma è poi Remo a fare il punto sulle retribuzioni. “I lavoratori disabili della cooperativa sono nove: quattro nell’assemblaggio e confezionamento, tre al ristorante, uno nel servizio di pulizia e uno in ufficio. Lavorano tutti part time e sono assunti con contratti da operaio generico, lavapiatti e impiegato. Il livello contrattuale è quello previsto dal CCNL cooperative sociali, e nello specifico è un A2 (operaio generico addetto a mansioni semplici, con retribuzione lorda di 1.195,13 euro), oppure un B1 (addetta alla segreteria, con una retribuzione lorda mensile di 1.250,81 euro). Ovviamente la retribuzione va poi rapportata all’orario effettivo di lavoro, che nel loro caso è part time”.

“I tirocinanti invece sono 19 nell’assemblaggio e confezionamento e 6 nel ristorante. Per loro non è prevista una retribuzione, ma una indennità che viene corrisposta, nei nostri casi, dall’ente promotore (in genere un ente pubblico: il Comune di Bologna, l’Az. USL, l’ASP). Indipendentemente dall’ente promotore, l’indennità è regolata dalla Legge Regionale 1/2019 ed è di almeno 450 € mensili in presenza di un monte ore superiore a 100/mese e con almeno il 70% di presenze nel periodo. Nei casi in cui le ore mensili siano comprese tra 51 e 100 l’indennità può essere inferiore. Ma se è vero che normalmente l’indennità viene erogata dal promotore, è anche vero che CIM ha istituito il Fondo Vamolà per sostenere progetti di tirocinio per persone al di fuori del circuito assistenziale pubblico. Ad oggi i tirocinanti sostenuti da CIM sono tre”.

Il momento del pranzo alla “Taverna del Castoro”

Quando finiamo di parlare è ormai ora di pranzo e dalla cucina del ristorante arriva un profumo incredibile. Purtroppo non posso fermarmi con loro, e mentre esco vedo entrare parecchie persone. Anche il parcheggio si è riempito. Mara mi spiega che si tratta dei dipendenti delle aziende limitrofe che pranzano alla Taverna del Castoro. Me ne vado con l’acquolina in bocca.

Oggi, mentre scrivo, tutte le attività di CIM sono sospese, tranne il ristorante che si è organizzato per fare consegne a domicilio. E in un ultimo scambio telefonico per aggiornarmi sulla situazione, il ricordo di quel profumo svanisce e Remo mi lascia con l’amaro in bocca: “Temo dovremo fare dei tavoli di contrattazione e organizzarci per la cassa integrazione, cosa che in 32 anni non era mai successa”.

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