Rimanere umani, anche al lavoro

Non so se anche voi fate parte di quella percentuale di persone che ha sperimentato almeno una volta qualche difficoltà nel relazionarsi al team di lavoro. Dal capo difficile al fornitore invadente fino al collega competitivo, le relazioni sono una delle cause principali di stress, ma se saggiamente coltivate possono rivelarsi una grandissima risorsa. Quando […]

Non so se anche voi fate parte di quella percentuale di persone che ha sperimentato almeno una volta qualche difficoltà nel relazionarsi al team di lavoro. Dal capo difficile al fornitore invadente fino al collega competitivo, le relazioni sono una delle cause principali di stress, ma se saggiamente coltivate possono rivelarsi una grandissima risorsa.

Quando si parla di benessere lavorativo e produttività si tende a trascurare questo aspetto, concentrando l’attenzione su quei progetti volti a creare uno stile di vita più sano, a promuovere il movimento o dedicare un paio di giorni all’anno al team building. Bellissime iniziative, ma forse è arrivato il momento di estendere anche sul posto di lavoro l’invito – così attuale – a rimanere umani: credo che nelle aziende disposte a investire tempo e risorse per coltivare una cultura orientata allo sviluppo delle soft skills sia più facile creare relazioni vincenti e collaborative.

Daniel Goleman, il padre dell’intelligenza emotiva, insegna che l’autoconsapevolezza – cioè il portare l’attenzione al proprio mondo interiore e sapere di momento in momento che cosa sentiamo e perché – è la base per una corretta gestione di se stessi. E quando siamo in grado di gestire noi stessi e le nostre emozioni, riusciamo anche a entrare meglio in relazione con gli altri, a ridurre la reattività, a limitare la critica e il giudizio compulsivo, e infine a connetterci più autenticamente a chi ci sta intorno.

La mente razionale, spesso, pone le domande sbagliate. Di solito vogliamo sapere, ad esempio, che cosa ha da offrirci un determinato lavoro; ma, paradossalmente, la vera felicità proviene da quello che diamo, non da quello che ne ricaviamo, e forse anche a livello umano possiamo iniziare a dare di più.

Ecco quattro spunti di connessione, da utilizzare al lavoro e nella vita.

 

Guardarsi negli occhi

Lo sperimento in maniera tangibile ogni volta che conduco un team in un’esperienza di mindfulness: si parte con l’aspettativa di apprendere qualche tecnica di riduzione dello stress, basata sul respiro, e si finisce con la netta sensazione che la mindfulness – questa capacità di presenza e connessione – sia molto di più.

Mi torna in mente un episodio di alcuni mesi fa quando, al termine di una mattina di meditazione, ho chiesto al team di disporsi a coppie per un esercizio di eye gazing, in cui guardarsi silenziosamente negli occhi per alcuni minuti. Mi trovavo in un acceleratore di startup con un gruppo di professionisti e, una volta finita la pratica, due di loro si sono scambiati un sincero abbraccio, mettendo fine a un lungo periodo di incomprensioni. I responsabili del progetto mi hanno chiesto incuriositi che genere di magia avessi compiuto, ma la verità è che l’unica vera magia è reimparare a vedere che dietro ai colleghi, ai capi o ai collaboratori ci sono degli esseri umani. Proprio come noi. E che le difficoltà, anche relazionali, sono un dono se siamo aperti e disposti a imparare ciò che hanno da insegnarci.

 

Dare feedback

Può sembrare difficile e a volte si preferirebbe lasciar stare. Tuttavia offrire un feedback è un dono prezioso, purché si sia connessi al cuore e alle proprie intenzioni. Forse può essere utile tenere a mente questa breve guida, ogni volta che ci apprestiamo a dare un riscontro al lavoro di qualcun altro:

  • L’intento è quello di sostenere e raffinare lo sviluppo del collega e dell’intero team (ma più in generale, della persona che si ha di fronte) e delle sue capacità.
  • Un buon feedback riguarda sempre il lavoro svolto (la presentazione, la consegna o qualsiasi altra attività) e non la persona stessa.
  • È necessario includere tanto quelle aree che mostrano abilità e padronanze, quanto quelle capacità che possono essere migliorate, rilasciando un feedback costruttivo.
  • Offrire un feedback significa anche essere consapevoli dei propri condizionamenti riguardo all’esperienza di giudicare ed essere giudicati. Tutti abbiamo sviluppato pattern, paure e tendenze alla competizione; la nostra mente confrontante è spesso attiva e si adopera nel paragonarci agli altri. Si può iniziare mettendosi nei panni dell’altra persona (che è sempre un buon esercizio per coltivare l’empatia): come vorremmo ricevere il feedback e, di conseguenza, come possiamo darlo?
  • Quanto più è specifico – e quanto meno risulta vago e generico – tanto più un feedback è efficace.
  • La fiducia e il coraggio sono qualità fondamentali per supportare veramente la crescita delle altre persone.
  • Considerate il vostro feedback come un dono, un’offerta che nasce dall’intenzione genuina di essere di beneficio per gli altri e per voi stessi.

 

Ricevere feedback

Attenzione: la crescita non risiede solo nel saper donare un feedback, ma anche nel saperlo ricevere. Queste due capacità, apparentemente così diverse, hanno in realtà molto in comune e sono strettamente correlate: aprendo il cuore al dare, faremo spazio anche alla possibilità di ricevere.

  • Ricordate la vostra intenzione di crescere e maturare, che comporta anche la disponibilità a uscire fuori dalla propria zona di comfort.
  • Rimanete aperti e ricettivi al feedback che state ricevendo e non abbiate fretta nel prendere subito una posizione, anche quando sentite l’urgenza immediata di replicare: fermatevi e accogliete ciò che state ricevendo come una possibilità di crescita.
  • Siate consapevoli, se emerge, della tendenza a giustificarvi, difendervi e dare spiegazioni. Va bene, ogni tanto, accogliere semplicemente un dono come un’occasione per imparare qualcosa.
  • Rimanete presenti ai possibili sentimenti che sorgono nel ricevere il feedback. Notate se c’è il desiderio di essere riconosciuti e apprezzati, la tendenza al perfezionismo, la voglia di ricevere complimenti e approvazione.
  • Fate tesoro di ciò che avete ricevuto. Tenetelo da parte (se volete, annotatelo) e concedetevi il tempo e la calma di poterci tornare su in un secondo momento, da soli, per incamerare meglio ciò che avete appreso.
  • Siate gentili con voi stessi e riconoscete il coraggio e l’apertura necessari per “sedere in mezzo al fuoco” e permettere che questo momento sia parte del processo di crescita e di umiltà.

 

Ascoltare con consapevolezza

Uno degli strumenti più utili che si riscoprono attraverso la meditazione di consapevolezza è la possibilità di coltivare quella connessione autentica che avviene principalmente attraverso l’ascolto. Un ascolto gentile, accogliente, non giudicante, in cui lasciamo andare la compulsione a commentare, interpretare e fare supposizioni e ci limitiamo a ricevere le parole dell’altro. Di conseguenza siamo più disposti a coltivare la retta parola e la retta azione, a beneficio nostro e di chi ci sta vicino.

Un esercizio pratico. Fermatevi un attimo ogni volta che state per parlare, e chiedetevi:

  • Quello che sto dicendo è vero? Se è frutto di opinioni, supposizioni o gossip, lasciate andare e scegliete il silenzio.
  • Quello che sto dicendo è necessario? È utile o serve a colmare un vuoto, un silenzio, ed è un insieme di parole di circostanza?
  • Quello che sto dicendo è gentile? L’accento qui non è posto sulla cortesia, ma sul beneficio che le parole apportano.
  • È il momento adatto? Questo significa anche comprendere se la persona a cui parlate è pronta a ricevere quello che volete comunicare e se la situazione permette una comunicazione efficace.

Buona connessione e buona pratica!

 

Foto by rawpixel-675355-unsplash
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