Il sindacato dovrebbe giocare un ruolo cruciale in tutte queste dinamiche per salvaguardare i lavoratori. No?
Bisogna ricordare che i salari per i lavoratori dell’abbigliamento, in tutto il mondo, sono estremamente bassi e i lavoratori non guadagnano abbastanza per sostenere se stessi e le loro famiglie con un tenore di vita dignitoso. I sindacati sono senz’altro un potente strumento, attraverso il quale i lavoratori possono unirsi per lottare per migliorare le condizioni di lavoro, compresi gli aumenti salariali. Tuttavia, nella maggior parte dei Paesi produttori di abbigliamento, soprattutto nel Sud del mondo, la situazione dei sindacati è molto difficile. I lavoratori nel settore abbigliamento che tentano di formare un sindacato all’interno della loro fabbrica spesso affrontano ritorsioni come la chiusura del rapporto in modo coercitivo, l’abuso verbale, la sottrazione di ore di lavoro e altro ancora. La verità è che spesso i sindacalisti affrontano violenze e molestie, a volte anche la morte, come abbiamo visto nel recente omicidio dell’organizzatore sindacale del Bangladesh Shahidul Islam.
Ci sono strategie che i rappresentanti sindacali, come te, potrebbero avere la forza di introdurre?
Per troppo tempo i lavoratori dell’abbigliamento di tutto il mondo hanno affrontato condizioni abusive e di sfruttamento, tra cui il furto dilagante dei salari, luoghi di lavoro non sicuri e l’arresto illegale dei sindacati. Queste condizioni sono figlie di una totale mancanza di responsabilità dei marchi di fast fashion e dei rivenditori in cima alla catena di fornitura, la cui incessante ricerca di profitto spinge ulteriormente lo sfruttamento lungo la catena. Secondo la nostra esperienza, l’unica vera soluzione all’abuso dilagante che caratterizza l’industria dell’abbigliamento moderna sono gli accordi legalmente vincolanti. Accordi che richiedono alle aziende di abbigliamento di assumersi la responsabilità di migliorare le condizioni di lavoro nei luoghi dove viene prodotto il loro abbigliamento.
Abbiamo esempi concreti?
Questi accordi obbligano di fatto i marchi a garantire che i loro fornitori soddisfino standard specifici e misurabili, oltre a fornire meccanismi attraverso i quali lavoratori e sindacati possono ritenere le aziende responsabili di violazioni. C’è una lunga storia di questo tipo di accordi successivi, a cominciare dai contratti di lavoro innovativi dell’industria dell’abbigliamento dell’International Ladies Garment Workers Union (ILGWU) a New York; poi ci sono gli accordi internazionali come quello su salute e sicurezza nel settore tessile e dell’abbigliamento, e quello per combattere la violenza di genere nel settore dell’abbigliamento del Lesotho.
In ogni caso si tratta di una questione culturale, che parte anzitutto dai consumatori, fagocitati da questa nuova modalità di acquisto veloce e compulsivo.
È importante che i marchi percepiscano i consumatori preoccupati di come vengono trattati i lavoratori che fabbricano i loro vestiti. La campagna “Pay Your Workers-Respect Labour Rights”, ad esempio, è un’iniziativa globale sostenuta da sindacati, ONG e consumatori, che si sono uniti per chiedere a marchi come Adidas di firmare un accordo vincolante per garantire che i lavoratori che producono i loro capi siano pagati il giusto e godano del rispetto dei diritti fondamentali del lavoro.
La stagione degli audit di sistema, delle certificazioni e della responsabilità sociale ha davvero disatteso i suoi iniziali intenti?
Confermo. E questo è il motivo per cui il nostro sindacato e i sindacati di tutto il mondo sostengono la campagna “Pay Your Workers-Respect Labor Rights”, e altri specifici sforzi, per premere su marchi e rivenditori al fine di firmare accordi legalmente vincolanti con i sindacati. Il modello di controllo sociale volontario, gestito dalle imprese, ha fallito in modo clamoroso, inutile girarci attorno. Per troppo tempo i marchi si sono nascosti dietro codici di condotta vuoti che valgono solo la carta su cui sono scritti.
In sintesi? Tanta immagine, pochi diritti.
In copertina foto della Protesta “Detox Football” contro Adidas a Hong Kong. Gli attivisti di Greenpeace fuori dal negozio Adidas di Mongkok, Hong Kong, per protestare e sottolineare gli sporchi segreti del gigante dell’abbigliamento sportivo. Foto@Greenpeace