Indaghiamo i pilastri del sistema sanitario svizzero e le basi del suo funzionamento, con luci e ombre dell’ultimo Stato sociale europeo. L’opinione della paziente italo-svizzera Francesca Marino, del blogger Dino Biselli e di Patrizia Beyler, del Comune di Neuchatel.
Terremoto, immobili abbandonati: l’antidoto alla solitudine sarà il silver cohousing
La coresidenza potrebbe migliorare la vita di molti anziani, riqualificare i borghi terremotati e valorizzare il patrimonio immobiliare. Vediamo come.
A Nichelino, in provincia di Torino, sorgerà il presidio sociosanitario assistenziale “Rimembranza”, destinato a ospitare 120 posti letto di residenza sanitaria assistenziale per anziani e 20 posti per il centro diurno. Sarà una struttura su due piani, con una superficie di oltre seimila metri quadrati e dotata di parcheggio esterno, non lontano dal parco della Rimembranza, appunto.
Si tratta di una proposta di investimento della società di gestione del risparmio Numeria Sgr, con il fondo Salute 2 destinato al settore delle residenze per anziani, che vanta un capitale sociale di 50 milioni di euro investito in una quarantina di strutture nel Nord e Centro Italia.
Tra i maggiori gruppi privati che in Italia gestiscono strutture per anziani vi sono il gruppo Korian e Domytis, oltre alla Kos controllata dalla famiglia De Benedetti. Korian gestisce, solo per le case di riposo, 54 strutture, per un totale di 5.600 posti letto. Domitys, società francese specializzata nella residenzialità per anziani, per 1.500 euro al mese offre appartamenti pensati per un abitare attivo, con servizi di accoglienza, sorveglianza, animazione e assistenza alla persona, individualizzati e destinati a ultrasessantacinquenni autosufficienti o parzialmente autosufficienti. Kos ha creato il brand “Anni Azzurri” per raggruppare le 53 case di riposo del gruppo, che in totale gestisce 8.700 posti letto complessivi, considerando anche centri di riabilitazione, comunità terapeutiche e due ospedali.
Terza età, quanto mi costi: i prezzi del senior housing
A “prendere le misure” del business dell’assistenza agli anziani autosufficienti è lo studio di Nomisma sul senior housing, la residenzialità rivolta a chi ha più di 75 anni ed è autosufficiente, che attira l’interesse dei privati perché “l’investimento risponde a strategie di diversificazione degli asset; è un segmento anticiclico, perché non strettamente legato alla congiuntura economica, e di medio-lungo periodo, quindi capace di assicurare una redditività stabile nel tempo”.
La ricerca analizza le differenze tra i canoni di affitto attuali nelle città di Bologna e Milano, a seconda di chi gestisce il servizio. Il costo inferiore si ha nelle Asp, aziende pubbliche di servizi alla persona, dove il canone di locazione mensile oscilla tra 678 e 720 euro, mentre per le strutture gestite da cooperative sociali si va dai 700 ai 1.100 euro.
Per la gestione privata, una società privata internazionale che gestisce residenze per anziani chiede dai 1.140 euro mensili per una persona senza pensione completa fino a 1.900 euro mensili. Un gruppo immobiliare che gestisce residenze per anziani nel milanese chiede tra i 1.500 e i 1.800 euro mensili a persona.
È dalla gestione degli edifici concessi in locazione che si ricava il guadagno, a fronte di un investimento minimo in servizi. A metà tra centri diurni e residenze sanitarie assistenziali, ovvero quelle che il linguaggio popolare definisce “case di riposo”, permettono di esaltare fin quando possibile l’autonomia e l’indipendenza degli anziani, offrendo loro anche quel minimo di esperienza collettiva e socialità che in una struttura a gestione ospedalizzata difficilmente si trova.
Un posto letto ogni 41 anziani, che continuano ad aumentare
In Italia oltre 22 persone su cento hanno più di 65 anni: quasi 14 milioni, a dare conto della dimensione di un mercato potenziale in sempre maggiore sviluppo. Una situazione numerica che si scontra con una carenza di risorse per l’assistenza e richiede risposte meditate e di lunga durata. Risposte che mettono in gioco la capacità solidale delle comunità, la rete del welfare e la possibilità di offrire diverse alternative alla tradizionale struttura della casa di riposo, a gestione pubblica o di soggetti privati – spesso di respiro locale – che impiegano personale di cooperative sociali per i servizi di assistenza ai posti letto di residenza protetta e semplice animazione, e normali medici di medicina generale per offrire i minimi servizi di cura agli anziani ospiti.
La ricerca Auser del 2017, “Domiciliarità e Residenzialità per l’invecchiamento attivo”, segnala che nel 2050 in Italia secondo l’Istat più di una persona su tre (cioè un esercito di 21.775.000 persone) sarà anziana. La conseguenza è un aumento dei costi per l’assistenza che, dall’1,9% del prodotto interno lordo del 2015, salirà al 3,2% nel 2060, ponendo un chiaro aspetto di sostenibilità finanziaria del sistema della cura per gli anziani.
Secondo un’analisi dell’UeCoop (Unione europea delle cooperative), è disponibile un solo posto letto ogni 41 anziani nelle case di riposo italiane, che sono circa 7.300 e sono cresciute di circa il 44% negli ultimi dieci anni, con rette che vanno dai mille ai tremila euro al mese, a seconda della tipologia della struttura, della posizione e della gamma di servizi offerti. Di queste, secondo i dati ministeriali, sono private circa 6.000 strutture, pari all’82% del totale.
Silver cohousing: la vita in comunità che fa bene agli anziani (e al patrimonio immobiliare)
Dei 2.900.000 anziani non autosufficienti, la copertura di posti letto delle strutture residenziali per anziani è di circa 309.000, il che lascia un amplissimo spazio al mercato della residenzialità privata, specie dove l’assistenza da garantire è minima a chi ha buoni livelli di autonomia. È il settore del senior housing, l’abitare rivolto a chi ha i capelli color argento, ad attrarre investimenti privati; questo grazie alla remunerazione delle rette di assistenza, che per i più bisognosi possono anche essere finanziate da enti pubblici.
Eppure questo segmento di mercato potrebbe essere una leva di rilancio per le aree interne d’Italia, o per altri luoghi dove il calo di popolazione ha causato sovrabbondanza di offerta immobiliare, spesso lasciata all’incuria del tempo. A proporre una strada alternativa è Sandro Polci, architetto e studioso del territorio, attivo collaboratore di numerosi enti, radici nei Monti Azzurri marchigiani e base a Roma, che ha coniato il termine silver cohousing, tema approfondito in una serie di pubblicazioni e articoli.
Un ragionamento, il suo, che parte dalla constatazione che in Italia, su circa dodici milioni di over 65, un milione vive da solo in una casa di proprietà, con ben cinque milioni che hanno una pensione inferiore a mille euro al mese. Facile immaginare le difficoltà di mantenere un’abitazione, mentre abitando in condivisione il risparmio sulle spese stimato è di circa il 30%.
Spiega Sandro Polci: “Per la residenzialità degli anziani si può intervenire sul patrimonio immobiliare esistente, non redigo progetti di housing perché favorisce il consumo di territorio. Il patrimonio immobiliare va considerato plastilina malleabile: abbiamo a disposizione 2,5 stanze per abitante e continuiamo a costruire. Ad esempio, in ambito rurale non va sprecata l’opportunità di trasformare ville semi-rurali di una decina di stanze in residenze condivise per anziani, dove siano previsti spazi condivisi, servizi di accoglienza, tutoring e sociali. Sono pratiche che funzionano bene, per la terza età non è rilevante solo l’hardware della struttura, ma anche il software, la sua anima: l’animazione sociale. Il cohouser è la famiglia che ci si è scelti, un antidoto alla solitudine”.
Il silver cohousing per rilanciare i borghi colpiti dal terremoto
L’analisi dell’architetto Polci evidenzia anche come la coabitazione tra anziani lasci libere decine di migliaia di abitazioni, da destinare a edilizia sociale. Inoltre il silver cohousing potrebbe essere un asset strategico per il rilancio dei borghi colpiti dal terremoto in Centro Italia nel 2016.
“I comuni fino a diecimila abitanti hanno in media una casa vuota ogni due utilizzate. Si potrebbero creare imprese locali per recuperare fino al 20% delle superfici abbandonate, senza ulteriore consumo di suolo. È una strategia che in ambito rurale funziona: nulla di autarchico, ma una possibilità di superare le criticità economiche al cubo che hanno i paesi colpiti dal sisma, alle prese anche con le conseguenze economiche della pandemia. La gestione di residenze condivise permetterebbe un miglioramento della qualità della vita, l’integrazione del lavoro turistico o del reddito mensile.”
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