Dietro il business degli anziani ci sono i grandi editori

I grandi editori vendono i giornali per tenersi le case di riposo. Scopriamo chi sono i proprietari delle RSA in Italia e i numeri di questo giro d’affari.

Non è un paese per vecchi, recita il titolo del romanzo scritto da Cormac McCarthy, poi tradotto in versione cinematografica nel film dei fratelli Joel ed Ethan Coen. Un romanzo spietato in cui la speranza è la prima a morire; così come apparivano senza speranza gli oltre 10.000 anziani che sono morti nelle RSA durante la pandemia. “I più deboli”, “i più fragili”, ci hanno raccontato e ancora ci raccontano tutti i giornali con l’invasione del COVID-19.

È vero, una strage consumata in solitudine. Ma se scartabelliamo le prime pagine dei rapporti Censis salta agli occhi un altro dato: gli anziani sono anche un business. Vediamo alcune cifre.

Un Paese di santi, di poeti e di RSA

Gli anziani in Italia sono tanti e in continua crescita. Il cosiddetto “inverno demografico” italiano, tradotto in cifre, ci racconta che sono oltre quattro milioni. In valore assoluto è già di per sé una cifra impressionante, ma se si analizzano le tendenze di natalità e mortalità si scopre che quel divario tra morti e nascite è sempre di più a favore della mortalità.

Continua a diminuire la popolazione. Al 1° gennaio 2020 i residenti ammontano a 60.317.000, 116.000 in meno su base annua. In compenso aumenta il divario tra nascite e decessi: per 100 persone decedute arrivano soltanto 67 bambini (dieci anni fa erano 96). Un divario per alcuni incolmabile che ci dice anche un’altra cosa, cinica ma incontrovertibile: in Italia come del resto in Europa gli anziani non sono soltanto i sostituti di reddito per i giovani disoccupati o carne da macello della pandemia, ma sono anche tra le categorie più appetibili per quei gruppi finanziari che vedono in questo “Paese per vecchi” una grande opportunità di business, attraverso ad esempio le RSA.

Secondo il Ministero della Salute dal 2007 al 2017 le RSA sono cresciute in totale del 44%, passando in dieci anni da 5.105 a 7.372. La crescita ha visto in particolare la presenza di privati nella loro gestione: mentre nel 2007 le residenze assistenziali private erano il 72,8% del totale, nel 2017 sono diventate 6.070, cioè l’82,3% del totale.

Pubblico contro privato: dove nascono le disuguaglianze

Quella delle RSA è una storia simile a quanto è avvenuto negli ultimi anni nel rapporto tra sanità pubblica e privata. Una quantità indefinita di finanziamenti pubblici che dovevano rafforzare la medicina e l’assistenza sul territorio sono confluiti nella sanità privata attraverso lo strumento dell’accreditamento delle RSA; la stessa funzione che ha avuto la convenzione per i grandi gruppi specialistici privati. Con un risultato drammatico: l’improvvisa comparsa della pandemia ha trovato la sanità pubblica impreparata ad attivare quel welfare state che gli anziani si meritavano.

Lo Stato italiano, che aveva affidato ai privati la gestione degli anziani, ha capito troppo tardi che non ce l’avrebbe fatta a sostenere il peso del virus. Così facendo ha accresciuto le disuguaglianze tra coloro che potevano permettersi rette da 2.500 a 4.000 euro al mese e coloro che, per indigenza, erano costretti a ricoverarsi nelle strutture pubbliche, in alcuni casi divenute veri e propri cimiteri con la pandemia. Luoghi abbandonati a se stessi per ciò che riguarda la preparazione professionale, la capacità di rispondere alle emergenze, la fatiscenza di alcune strutture.

Ma chi sono i privati profit che controllano il 25% delle RSA, e che fino a un certo punto hanno continuato a guadagnare?

La famiglia De Benedetti rinuncia ai giornali ma non alle RSA

La cosa singolare è che non si tratta di gruppi farmaceutici, ma di gruppi finanziari e di fondi d’investimento che negli anni hanno dirottato capitali verso questo business.

Il leader del mercato RSA in Italia è il gruppo CIR controllato dalla famiglia De Benedetti, da anni presente nel settore dell’assistenza per anziani. La CIR controlla quasi il 60% di Kos, la società che si occupa di residenze per anziani e che a sua volta controlla RSA su tutto il territorio nazionale. Il gruppo KOS (368 milioni di fatturato) gestisce 81 strutture, prevalentemente nel Centro‐Nord Italia, per un totale di 7.764 posti letto operativi e circa 6.500 dipendenti.

Questa attività è così importante per la famiglia De Benedetti che i figli di Carlo De Benedetti, malgrado la contrarietà del padre (che in seguito ha fondato il quotidiano Domani), di recente hanno ceduto alla famiglia Agnelli il loro gioiello editoriale (le attività editoriali della Gedi nella quale ci sono la Repubblica, l’Espresso e tutti i giornali locali), ma si sono tenuti ben stretta la Kos, sulla quale hanno fatto investimenti in previsione di un allargamento del business anziani.

Quanti soldi ha perso il business delle RSA con il COVID-19?

Poi è arrivato il COVID-19, e la macina di utili degli anni precedenti si è fermata. Quando bussiamo alle porte della CIR per capire quanto la pandemia abbia raffreddato le cifre del business, ci consigliano di aspettare i dati più recenti del bilancio CIR e in particolare dell’andamento delle RSA. Ecco uno stralcio dei dati di bilancio di CIR e Kos, la società del gruppo De Benedetti che controlla le RSA.

“I ricavi in Italia – si legge nella nota pubblicata il 12 marzo – sono scesi del 9%. Nelle RSA l’attività di gestione si è concentrata sulla difficile gestione dell’emergenza sanitaria. Nel corso dell’esercizio i nuovi ingressi sono stati bloccati o comunque fortemente rallentati e pertanto le presenze si sono ridotte e permangono attualmente significativamente inferiori al 2019”.

Tra le righe della nota, quando si fa un confronto con la Germania, c’è anche un leggero rimprovero al governo: “Nelle RSA in Germania l’impatto della pandemia è stato decisamente minore, inoltre il sostegno pubblico prestato alle RSA ha permesso di contenere l’impatto economico”. Tuttavia l’impatto negativo in Italia è dovuto anche al fatto che l’immagine di questi luoghi, che dovevano essere di cura, è comunque stata devastata dalla strage del Coronavirus tra gli anziani ricoverati in alcune strutture sanitarie.

Gli altri colossi delle RSA: i francesi di Korian e l’imprenditore Antonio Angelucci

Il secondo operatore straniero che opera nel mercato delle RSA è il gruppo francese Korian Segesta (595 milioni di fatturato soltanto in Italia), controllato per il 23% dal colosso bancario e finanziario Crédit Agricole. La rete assistenziale integrata di Korian si estende in Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Veneto, Emilia, Toscana, Lazio, Puglia e Sardegna.

Un altro protagonista assai discusso e un po’ opaco della cosiddetta Silver Economy è l’imprenditore, immobiliarista, editore (Il Tempo, Il Corriere dell’Umbria, Libero) Antonio Angelucci, che come si deduce spazia dalla sanità alla finanza al settore immobiliare, fino alla politica. È di sua proprietà l’ospedale romano San Raffaele venduto anni fa ad Angelucci da Don Verzè. Sulla vendita scoppiò anche un caso giudiziario.

Angelucci è stato eletto più volte nelle liste del partito fondato da Silvio Berlusconi, Forza Italia. La trasparenza non è il suo forte: i dati societari del gruppo Tosinvest, holding di Angelucci, sono ben custoditi in società lussemburghesi e nessuno ci può mettere il naso. Tra i player di questa lucrosa attività c’è anche Massimo Blasoni, indagato con l’ipotesi di reato di truffa al Sistema Sanitario Nazionale. La sua società si chiama Sereni Orizzonti (147 milioni di fatturato).

RSA, il pubblico paga meglio del privato e chiede meno

Le disuguaglianze sorgono proprio tra pubblico e privato, soprattutto sull’entità delle rette e sul trattamento salariale. Abbiamo provato a fare un confronto tra una RSA privata del gruppo CIR, Anni Azzurri, e una no profit, Quadrifoglio, del Comune di Milano.

Una residenza completa ad Anni Azzurri camera doppia costa 100 euro al giorno, se singola 150 euro al giorno, consumi extra a parte. La Onlus milanese costa 80 euro al giorno. Il privato tra l’altro, e non è poca cosa, condivide il costo con la regione di appartenenza. A questa disparità bisogna aggiungerne un’altra: secondo Milena Gabanelli gli stipendi medi degli infermieri nell’area profit sono di circa 1.200 euro al mese, mentre in area pubblica sono 1.600 euro.

Insomma: il privato fa il suo mestiere, utili e profitti. È il pubblico che forse non ha fatto il suo, delegando ai privati l’assistenza sanitaria che secondo la Costituzione italiana spetta a tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito.

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