TikTok non è (più) solo il social per fare i balletti e condividere video divertenti. Come accaduto con Facebook e con tutte le altre piattaforme venute dopo, è diventato ben presto uno strumento per vendere, fidelizzare, fare marketing. Una presenza tutt’altro che neutra, che agisce sul mercato e lancia nuove professioni, come l’influencer, il content creator, il tiktoker.
Ne ha parlato – con una certa approssimazione, vabbè – perfino il Papa, che deve avere un ghostwriter con figli preadolescenti. “Tanti, oggi, sanno il tuo nome, ma non ti chiamano per nome. Il tuo nome infatti è noto, appare sui social, viene elaborato da algoritmi che gli associano gusti e preferenze. Tutto questo però non interpella la tua unicità, ma la tua utilità per le indagini di mercato” ha detto a inizio agosto ai partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona.
“TikTok è stato molto bravo fin da subito a dare l’impressione di essere una cosa che viene dal basso e allo stesso tempo a dirigerla in maniera molto esplicita. Ci sono molti manuali che aiutano a capire come funziona l’algoritmo, che ti insegnano a creare contenuti e a monetizzarli. Noi volevamo riempire un buco, affrontare il tema dal punto di vista culturale, far entrare TikTok nelle università, dove si parla ancora di Facebook”, dice Gabriele Marino.
Challenge a volte spinte fino alle estreme conseguenze, come la cronaca a volte ci ricorda, trend da (in)seguire, la ricerca della viralità che non è mai raggiunta una volta per tutte, si ricomincia da capo a ogni video. Possiamo definire TikTok come un social della performance?
“TikTok intercetta e allo stesso tempo detta una tendenza che è dentro e fuori dal social, e che ha a che fare con una deriva performativa della società. TikTok è prepotentemente performativo, invita a mostrarsi con l’obiettivo di diventare virali. I tiktoker sono persone che fanno balletti, cucinano, fanno piccole cose cercando di ottenere grandi risultati. Se dovessi spiegare chi è un tiktoker a mia nonna, direi che è una persona di età variabile che fa delle cose che per qualche motivo risultano interessanti, anche se in apparenza non lo sono. Cose che su un medium tradizionale non avrebbero trovato spazio e che invece su TikTok trovano un luogo e, grazie all’algoritmo, un target a cui rivolgersi”, dice Surace.
Prosegue il ragionamento Marino: “Su TikTok si tratta di performare la propria identità. Sulla piattaforma tutto è discorso, tutto è brand, sia la persona che cucina che la ragazza che piange parlando della sua neurodiversità. Siamo tutti online per fare personal branding, ognuno con il proprio stile comunicativo. Content è la nuova buzzword con cui abbiamo etichettato le figure che animano questa piattaforma e i content creator oggi assumono più ruoli; sono sia autori che attori sul palco”.