Una generazione di apolidi per tornare a casa

Due ragazzi di una sonnacchiosa provincia pugliese, con caratteri opposti ma affini, alla ricerca di un’appartenenza attraverso l’emigrazione: è la storia di “Spatriati”, di Mario Desiati, che recensiamo.

Spatriati, l’ultima fatica letteraria di Mario Desiati, racconta la storia di un legame speciale tra due anime affini, Claudia e Francesco, ma soprattutto racconta di una generazione (quella dei trenta-quarantenni di oggi) che ha imparato a essere senza per forza definirsi.

Spatriati, l’inseguimento e la scoperta di sé tra due anime affini

Siamo in Puglia, Martina Franca (paese d’origine dello scrittore). Claudia entra come una folgorazione nella vita di Francesco nell’atrio della scuola media. Lo provoca: lo sai che tua madre e mio padre sono diventati amanti?

Claudia è ribelle e sfrontata; Francesco è schivo, pressato da un lato da una profonda fede cristiana e dall’altro lato dall’incertezza sulla propria identità sessuale. Nelle loro insicurezze e diversità si riconoscono, si sentono per la prima volta accolti senza dover dare un nome alle loro inquietudini.

Dopo la maturità emergono le prime distanze fra i due. Claudia sente che il suo destino è andare via da quella provincia gretta e soffocante. Parte: prima Londra, poi Milano e Berlino. Ha fame di esperienze, di libertà, di vita. È il sole della coppia, agisce d’impulso senza guardarsi indietro.

Francesco è la luna. Non agisce, riflette. Vive con rassegnazione gli anni universitari e lavorativi nel suo paese, non trovando mai il coraggio di scavare dentro di sé senza censure e tabù. Lo troverà soltanto in Claudia, quel coraggio, decidendo di seguirla a Berlino, in un gioco simbiotico di separazione e rincorsa in cui finiscono sempre per ritrovarsi.

Le origini dell’autore nei chiaroscuri della provincia pugliese

Nella lettura si percepisce la presenza dell’autore in tutta la sua ruvida tenerezza. Si coglie il suo vissuto intimo e disperato nel protagonista Francesco Veleno, affamato di vita, ma sempre ancorato alle origini – nel bene e nel male.

Ho molto apprezzato l’autenticità di Desiati, il suo raccontare la Puglia con le sue tradizioni e contraddizioni. Se ne riconosce ogni singola pietra citata, gli odori, i dialetti, la mentalità dei personaggi e quello che comporta.

Non credo che la vera essenza di Spatriati, nonostante i temi universali che affronta, possa essere realmente compresa da chi non è nato o vissuto in Puglia, e questo diventa il punto di forza e nello stesso tempo di debolezza di tutto il racconto.

Una generazione di senza patria

La scrittura è piacevole ed evocativa, strutturata in brevi capitoli, di facile lettura.

Mario Desiati con Spatriati riesce a descrivere nel profondo le fragilità e complessità di una generazioneinterrotta”: la sua.

Con il termine “spatriati” non si fa solo riferimento ai senza patria e a coloro che non hanno avuto paura di cercare lontano da casa il loro posto nel mondo, ma si vuole soprattutto dare al termine un senso più sottile e metaforico, includendo gli irrisolti, i disorientati, gli sradicati. Lo sono anche tutti coloro che hanno provato a cercare sé stessi altrove ma poi ritornano, continuando a vivere con la valigia sempre pronta, accostata sull’uscio della porta.

Ognuno di noi può attribuire una valenza personale a tale parola, ed è per questo che leggere Spatriati mi ha fatto sentire capita, accolta. I personaggi lo sono, spatriati, ma paradossalmente donano una terra d’origine a tutti quelli che, come Francesco e Claudia, sentono di non possederla, e nello squilibrio riescono a trovare nuovi equilibri, più veri, più puri. Una patria non geografica che rifiuta categorie e targhette, in particolare nei sentimenti.

Perché leggere Spatriati

Consiglio di leggere Spatriati a tutti coloro che sono alla perenne ricerca del proprio universo, della propria identità sociale e sessuale, tra turbamenti e l’aspirazione a non volersi accontentare a una realtà imposta e circoscritta.

Un libro in cui ritrovarsi, perché alla fine “eravamo decine di migliaia così, anelavamo alla casualità dell’umido e della pioggia, con la gioia di chi si ritrova nell’unica patria possibile, quella a cui non rispondiamo a nessuno di ciò che siamo. Spatriati”.

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