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Dov'è andato e come si è mosso il turismo in Italia nell'anno del lockdown? La risposta di <em>SenzaFiltro</em>, luogo per luogo, attraverso un viaggio in camper.

Numero 95 - Il turismo invisibile

<p><strong>Salvatore Lauro, storico armatore di Napoli e fondatore di Alilauro Group</strong>, racconta come l&#8217;emergenza Covid ha cambiato la faccia del turismo di navigazione e delle persone che lavorano nell&#8217;indotto.</p>


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[VIDEO] SenzaFiltro in Tour, Salvatore Lauro: &#8220;I turisti sono abitanti provvisori&#8221;

Salvatore Lauro, storico armatore di Napoli e fondatore di Alilauro Group, racconta come l&#8217;emergenza Covid ha cambiato la faccia del turismo di navigazione e delle persone che lavorano nell&#8217;indotto.

[VIDEO] SenzaFiltro in Tour, Salvatore Lauro: &#8220;I turisti sono abitanti provvisori&#8221; - Informazione senza filtro

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<p>“Vi voliamo bene”, recitava lo slogan di <strong>Alitalia</strong>. <em>Moi, non plus</em>, verrebbe da controbattere, alla Gainsbourg.</p>
<p>Un mese di <strong>ITA Airways</strong> e c&#8217;è già maretta in paradiso. O forse, a ben guardare, c&#8217;è sempre stata.</p>
<p>Il <strong>14 ottobre 2021</strong> è stato per Alitalia l&#8217;ultimo giorno di volo. Che è successo in questi trenta giorni e come sta andando per la Newco?</p>
<p>Il 10 novembre CUB Trasporti (Confederazione Unitaria di Base), USB (Unione Sindacale di Base) e ACC (AirCrew Committee) escono con una dura presa di posizione in risposta alla <strong>lettera</strong> inviata il giorno prima ai dipendenti dal presidente esecutivo di ITA <strong>Alfredo Altavilla</strong>, dopo aver ricevuto una segnalazione da parte di una passeggera (ex dirigente Alitalia) su un presunto disservizio a bordo di un volo. Il presidente Altavilla viene definito, nel comunicato sindacale, “<strong>lo Sceriffo di Nottingham</strong>”. Come mai?</p>
<p>La comunicazione ufficiale di Altavilla inizia con un “gentili colleghe e colleghi”, per poi passare a “comportamenti scorretti, poco professionali, arroganti o ineducati” di singoli, che rischiano di inficiare il lavoro di tutti e “compromettere la raggiungibilità dell&#8217;obiettivo di NPS” (il Net Promoter Score – sistema di rilevazione di soddisfazione del cliente) dell&#8217;azienda, e chiudere con parole decise: “Simili comportamenti individuali saranno sempre puniti secondo la disciplina del nostro Regolamento Aziendale”.</p>
<p>Come a dire – scrive USB Assistenti di volo – che “chi non sarà adeguato agli standard di compagnia trascinerà con sé il gruppo di lavoro, che <strong>perderà il network performance score</strong>, cioè quel pezzo di stipendio sottratto dalla retribuzione e vincolato all’attività”.</p>
<p>In ITA – è importante sottolinearlo – i dipendenti <strong>non hanno più un contratto collettivo nazionale come in Alitalia</strong>, ma qualcosa di più simile a un <strong>regolamento aziendale privato</strong>, nonostante i 720 milioni di capitale versati dal ministero dell&#8217;Economia e delle Finanze (MEF). ITA, dunque, vola grazie a denaro pubblico.</p>
<p>CUB Trasporti e AirCrew Committee il <strong>15 novembre</strong> hanno indetto il <strong>primo sciopero</strong>. “Venite tutti muniti di trolley”, esorta un volantino; e risulta sia stato proprio un trolley, o comunque il bagaglio, di quella passeggera ex dirigente di Alitalia a innescare la spinosa questione durante il volo Roma-Palermo dello scorso 29 ottobre. Più che di maretta, a questo punto, si potrebbe parlare di mareggiata.</p>
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<h2 id="h-alitalia-diventa-ita-e-quasi-diecimila-dipendenti-restano-a-terra">Alitalia diventa ITA, e quasi diecimila dipendenti restano a terra</h2>
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<p>L’ex compagnia di bandiera è sempre stata sotto la lente d&#8217;ingrandimento: <strong>un&#8217;entità che</strong>, nell&#8217;immaginario collettivo, <strong>continuava a togliere, anziché dare</strong>. Un articolo degli anni Novanta apparso sul <em>New York Times</em> affermava che Alitalia era conosciuta più per i suoi interni modaioli e le divise firmate da stilisti di grido come Armani che per i servizi o la puntualità. A tutto ciò, nel tempo, si sono aggiunti i <strong>tentennamenti manageriali</strong> (la fusione andata in fumo nel 2000 con KLM, la mancata cessione ad Air France nel 2008), <strong>troppi sostegni statali</strong> (oltre dodici miliardi in quarantacinque anni) e i punti oscuri nella sua gestione.</p>
<p>Ma a questa cronaca di una morte annunciata è mancata la voce dei <strong>quasi diecimila dipendenti </strong>che oggi sono <strong>senza lavoro</strong>. Al danno, negli ultimi mesi, si è aggiunta la beffa, bersagliati da battute tipo “è finita la pacchia”, con tanto di strizzatine d&#8217;occhio e ammiccamenti.</p>
<p>Che cosa invece sappiamo, noi coi piedi per terra, della vita di comandanti, assistenti di volo e personale aereo? Quali problemi deve affrontare chi svolge queste professioni, e che cosa possono aspettarsi ex e nuovi dipendenti?</p>
<p>Storie intrecciate a doppio filo con quella italiana, che cominciano ad avere un peso anche sulle nostre. <strong>Ne abbiamo parlato</strong> in esclusiva per<em> SenzaFiltro</em> con una <strong>responsabile di cabina</strong> e un <strong>primo ufficiale</strong>. Parlandoci mi ha colpito la miscela di rabbia e tristezza che ho percepito nella loro voce; più che un lavoro, hanno perso qualcosa che somigliava a una famiglia, e senza dubbio una loro ragion d&#8217;essere. Non indossavano solo una divisa professionale: credevano in Alitalia, e portavano quel logo come fosse un vessillo. Un vessillo valutato e messo all&#8217;asta in prima battuta a 290 milioni di euro, ma poi acquistato dalla subentrante con un accordo al ribasso, per 90 milioni, il giorno prima della partenza ufficiale. Coincidenze?</p>
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<h2 id="h-altro-che-super-stipendi-e-benefit-di-viaggio-se-non-voli-non-guadagni-e-anche-l">“Altro che super stipendi e benefit di viaggio: se non voli non guadagni. E anche lì…”</h2>
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<p><strong>Cristina</strong> è un&#8217;assistente di volo entrata in Alitalia nel 1988, a poco più di vent&#8217;anni, dopo selezioni serrate e mesi di addestramento quotidiano a Fiumicino; conosce tutte le norme di primo soccorso, sa come si usa un defibrillatore (utile nei viaggi di lungo raggio), ma anche e soprattutto come ci si rapporta con passeggeri di estrazione, tipologia e religione diversa per non turbare la loro permanenza a bordo. Ha incontrato attori, politici e personaggi famosi, ma ha anche fatto atterraggi poco piacevoli e visto morire persone.</p>
<p>Dei disagi causati al fisico da fusi orari e radiazioni, dei lunghi e pesanti trasferimenti e della difficile gestione della vita privata (soprattutto se il tuo partner è un collega) se ne è sempre parlato poco. Una delle prime cose che mi fa notare la mia interlocutrice, è questa: “<strong>Se non voli, non guadagni</strong>”.</p>
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<p><strong>Quindi non avete sempre avuto stipendi da capogiro, per contratto?</strong><strong></strong></p>
<p>Favole d&#8217;alta quota. Partiamo dallo stipendio base: il personale entrato prima della metà degli anni Novanta aveva un accordo contrattuale che prevedeva un piccolo fisso mensile, comprensivo di un numero di ore di volo già pagate (venti nel caso di un part time) a prescindere dal fatto che le facesse o meno; questo vuol dire che se non viaggiavi (perché non ci sono voli, come si è verificato a volte nei mesi di pandemia) o non le superi il compenso è lo stesso. Oltre la soglia di ore pattuite, più voli, più lo stipendio aumenta. Non immaginare grandi cifre; ti dico come sono calcolate. Arrivati in aeroporto di regola si fa subito il check-in, registrandosi su computer, ma il conteggio parte dopo. Siamo pagati <em>block to block</em>, cioè da quando si chiude il portellone dell&#8217;aereo a quando si riapre una volta atterrato. Se facciamo dodici ore in transito, o mentre i passeggeri scendono, non conta, il che vuol dire che per tratte interne tipo Roma-Milano e viceversa (durata effettiva circa 50 minuti) ne vengono messe in busta paga più o meno tre. Il modo migliore per arrotondare lo stipendio sono sempre stati i voli di lungo raggio, dove si viaggia per più ore di seguito. È per questo che una ventina di anni fa esisteva la cosiddetta “spettanza”, turni di lavoro organizzati in modo che tutto il personale avesse diritto allo stesso numero di voli pro capite per le destinazioni più ambite. A questo era collegata la diaria giornaliera per i pasti, che non era fissa come ora – 42 euro tondi tondi in qualunque posto ti rechi – ma commisurata al costo della vita della nazione ospite (per esempio U.S.A. e Giappone sono più cari, il Sud America meno).</p>
<p><strong>Ciò non toglie che avevate diritto a benefit importanti come i viaggi gratuiti.</strong><strong><em></em></strong></p>
<p>Anche qui le cose non stanno come si racconta. Come altre aziende – pensa alle ferrovie – i dipendenti hanno alcune facilitazioni, tra cui biglietti scontati al 50% o anche più, ma che non consentono la prenotazione del posto. Sai se puoi partire solo dopo che hanno effettuato il check-in tutti i passeggeri regolari. È successo più volte di dover attendere uno o due voli successivi per imbarcarsi, e considera che spesso l&#8217;aereo per noi è un modo per recarsi al lavoro, se non abiti nei pressi degli hub principali.</p>
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<h2 id="h-un-pilota-ex-alitalia-i-nuovi-contratti-ita-hanno-tariffe-orarie-paragonabili-a-quelle-dei-rider">Un pilota ex Alitalia: “I nuovi contratti ITA hanno tariffe orarie paragonabili a quelle dei rider”</h2>
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<p>Inizio a dialogare con <strong>Marco</strong>, primo ufficiale di medio raggio, un costoso brevetto preso in America e messo a servizio della compagnia di bandiera. Vola da oltre vent&#8217;anni, e in questi mesi ha seguito con apprensione e partecipazione quanto succedeva in azienda.</p>
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<p><strong>Dicono che il personale dell&#8217;Alitalia è sempre costato caro. Che ne pensi?</strong><strong></strong></p>
<p>Lascia stare le low cost – non è possibile fare un paragone – e pensa invece alle altre compagnie di bandiera (British Airways, Air France, Lufthansa); certo, queste aziende sono in attivo, ma è sempre stato facilmente verificabile che noi costavamo meno. Un comandante di Lufthansa costa anche il 20% in più. E ti faccio notare che negli ultimi anni gli stipendi sono stati ribassati, o comunque non si sono adeguati all&#8217;aumento del costo della vita.</p>
<p><strong>Hai nominato le compagnie low cost. Perché una tratta aerea con loro costa così poco all&#8217;utente finale?</strong><strong></strong></p>
<p>Hai detto bene: all&#8217;utente finale. Non voglio fare nomi o parlare di tematiche legate alla sicurezza. Ti basti pensare che molte di esse non pagano le tasse in Italia (dove sono elevate), ma nel loro Paese, e in alcuni casi acquistano il carburante a un prezzo inferiore rispetto alla compagnia di bandiera; poi non atterrano negli aeroporti principali e sono a volte sovvenzionate dalle stesse amministrazioni regionali, con i fondi a loro disposizione, per servire la zona in questione, e quindi assicurare il volo da un aeroporto secondario. Se Alitalia/ITA non assicurerà più la continuità territoriale del trasporto, per esempio sulle isole, in futuro non mi sorprenderebbe un aumento delle loro tariffe. Volotea, per esempio, ha già vinto l&#8217;appalto per la Sardegna.</p>
<p><strong>Parliamo della situazione attuale. Che cosa vi aspetta?</strong><strong><em></em></strong></p>
<p>Il 15 ottobre è partita ITA; lo ha fatto con pochi dipendenti e una flotta ridotta. Quando hanno fatto le selezioni le hanno aperte a tutti, e anche personale con esperienza pluriennale si è trovato, come un novellino, a inviare il suo CV. L&#8217;ho trovato desolante. Abbiamo affrontato un colloquio virtuale, registrato, su un sito (www.cving.com), dove non vedevi se e chi c&#8217;era dall&#8217;altra parte, rispondendo a domande che si aprivano davanti a noi in modalità pop-up. Non ti sembra assurdo per chi ha anni e anni di volo alle spalle? Guidare un aereo non è come guidare un&#8217;auto. Siamo addestrati a cavarcela a 10.000 metri di altezza e ad avere la responsabilità di centinaia di passeggeri: aveva senso questa pantomima? Molti neoassunti sono ex Air One e spesso non hanno figli; si vocifera che non abbiano avuto riguardo per alcune categorie protette, e hanno abolito anche il part time. Il contratto proposto a chi è stato chiamato è a suo modo umiliante, con tariffe orarie equiparabili a Glovo/Deliveroo – con tutto il rispetto per chi ci lavora. È come se il presidente Altavilla, già discepolo di Marchionne e conosciuto per le delocalizzazioni FIAT, avesse strappato il contratto precedente e avesse formulato un regolamento privato che devi assolutamente sottoscrivere per essere assunto. E pensare che Alitalia era riconosciuta come una delle compagnie più professionali e sicure al mondo! Molti di noi sono stati costretti a non accettare per contingenti motivi economici e per non perdere scatti pensionistici. Il destino di chi non è partito il 15 pare questo: un anno di cassa integrazione e forse due anni di NASpI.</p>
<p><strong>E i sindacati?</strong><strong></strong></p>
<p>Non è il mio lavoro, ma penso che si siano mossi tardi e non abbiano monitorato bene. A fare il primo passo sono stati gli autonomi, quelli non sempre riconosciuti ai tavoli contrattuali. Lavoratori e lavoratrici hanno fondato il comitato “Tutti a Bordo – No al piano ITA”, e hanno dato vita a iniziative come sit-in, flashmob e manifestazioni pacifiche per sensibilizzare l&#8217;opinione pubblica. Quello che addolora è la scarsa conoscenza dei fatti da parte di chi sta fuori e la poca risonanza trovata dalla nostra istanza sui media.</p>
<p><strong>Il 10 ottobre, la Commissione europea ha concluso che ITA ha dimostrato la discontinuità con Alitalia e non è il suo successore economico, quindi non è responsabile del rimborso degli aiuti di Stato ricevuti. La discontinuità è solo un concetto o qualcosa di più?</strong><strong></strong></p>
<p>Per ora – a malincuore – devo dire che sembra essere stata disattesa. A quanto so ITA ha usato le stesse divise, una piccola parte (per ora) della stessa flotta e lo stesso personale qualificato, sebbene molto ridotto; l&#8217;acquisizione dello stesso logo e naming, dopo aver presentato alla stampa un logo senza personalità (era provvisorio?), fanno sì che gli aeromobili ora possano volare con i colori storici e con lo stesso codice AZ sui tabelloni. ITA ha acquisito anche i domini internet, per cui non mi stupirebbero altre somiglianze. A settembre ci hanno corrisposto il 50% di quanto spettante, informandoci che una volta venduto il logo ci avrebbero dato il resto, ma ancora niente. L&#8217;unica cosa che a questo punto non ha avuto una sua continuità sembra essere l&#8217;osservanza del mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d&#8217;azienda come previsto dall&#8217;art. 2112 del Codice civile.</p>
<p><strong>Che cosa rappresentava l&#8217;Alitalia, e che cosa succederà in futuro?</strong><strong></strong></p>
<p>Alitalia è sempre stata un asset strategico del Paese, un efficace portavoce dell&#8217;Italia e dei suoi beni culturali nel mondo. Chi porterà i turisti stranieri nelle città d&#8217;arte o gli uomini d&#8217;affari nelle capitali della finanza? In una recente intervista il magistrato Paolo Maddalena ha affermato che gli asset principali di una nazione non possono essere commercializzati come è stato fatto. Per il futuro si parla di un accordo con Lufthansa; i voli di lungo raggio passeranno dalla Germania prima di arrivare – grazie a ITA – in Italia, e questo significherà continuare a perdere autonomia e dignità.</p>
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<p>Non è la prima volta certo che si svendono slot di volo o che le compagnie hanno periodi bui, ma un Paese come il nostro ha ancora bisogno di una buona compagnia aerea a reggere la sua bandiera nel blu dipinto di blu. Come ha scritto Renato Zero il 15 ottobre: “A questa nostra Italia, le hanno tolto pure le ali… I nostri sogni adesso, come viaggeranno?”</p>
<p>Magari potrebbero essere misurati dal Net Promoter Score.</p>
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<p><em>Photo credits: subitolavoro.org</em></p>


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Anna Rita Giacomucci

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ITA Airways, se i piloti diventano i rider del cielo: &#8220;Tariffe orarie da Deliveroo&#8221;

Montesanto, Napoli, luglio 2020 (foto di Enrico Parolisi)

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Turisti alla Pignasecca, marzo 2023 (Foto di Enrico Parolisi)

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Federico Quagliuolo, fondatore Storie di Napoli (credits: Into the While)

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Sergio D’Angelo nel consiglio comunale di Napoli

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Luigi de Magistris (foto di Velia Cammarano)

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Largo Maradona nel 2019. In pratica, un parcheggio di auto (foto di Enrico Parolisi)

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Largo Maradona oggi (foto di Giuliano Pavone)

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Il consigliere regionale Luigi Cirillo in aula (foto di Klaus Bunker)

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<p>Il capoluogo campano scala i record per gli arrivi turistici, che però alimentano abusivismo e gentrificazione: e se la città che sognava di campare di turismo rischiasse di morirne? Facciamo il punto con l&#8217;ex sindaco Luigi De Magistris, il consigliere comunale Sergio D&#8217;Angelo, il consigliere regionale Luigi Cirillo e il digital storyteller Federico Quagliuolo</p>


Napoli e il turismo: il centro della città visto dall'alto

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Parolisi

Enrico Parolisi

Il turismo che spacca Napoli

Dopo la crisi pandemica, gli italiani si sono riappropriati dei loro patrimoni tramite il turismo di prossimità. L'analisi di uno dei fenomeni turistici più irripetibili della storia recente.

Numero 103 - Turisti per casa

<p><em>Slow tourism</em>, turismo lento e rurale, turismo dei cammini, rinascita dei piccoli borghi, <em>destination management</em> e <em>destination marketing</em>: questi sono gli argomenti più discussi e di moda sulle piattaforme social riguardo i temi dell’<strong>innovazione e sviluppo turistico in era COVID-19</strong>.</p>
<p>Dove è marcato il <strong>divario nello sviluppo turistico di una destinazione</strong>, più precisamente nelle piccole realtà territoriali dell’entroterra, della montagna e nei borghi – ovvero le mete meno interessate dai flussi di massa – il divario è da attribuirsi a <strong>scelte politiche fallimentari</strong> o dalla prolungata assenza di azioni da parte degli enti locali.</p>
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<h2 id="h-perch-l-italia-ha-abbandonato-l-entroterra-le-origini-delle-aree-depresse">Perché l’Italia ha abbandonato l’entroterra: le origini delle “aree depresse”</h2>
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<p>Tra le cause del mancato sviluppo turistico, economico e sociale delle aree minori c’è anche la carenza di politiche nazionali. Il conseguente progressivo <strong>spopolamento di gran parte dell’entroterra italiano</strong> va ricercato proprio qui: nella storia e nella politica.</p>
<p>Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, con il progressivo avvento del consumismo e la ripresa industriale post ricostruzione, si è vissuta una <strong>emigrazione di massa dalle professioni rurali</strong>; un settore a cui lo Stato e le singole regioni non sono stati in grado di attribuire valore sostenibile mediante adeguati piani di sviluppo su scala nazionale, in modo più marcato al <strong>Sud</strong>. Al Nord, invece, il fenomeno di spopolamento si è vissuto meno proprio grazie a pronte politiche e programmi economico-sociali messi in atto dai vari governi regionali.</p>
<p>Si stima che l&#8217;intervento straordinario della <strong>Cassa del Mezzogiorno</strong> in quarant&#8217;anni sia costato circa 140 miliardi di euro, con un impegno medio annuale di 3,2 miliardi di euro. Mezzo punto di Pil ogni anno è stato dedicato a rincorrere la balena bianca dello sviluppo delle aree depresse nelle sei regioni meridionali, nelle isole e in alcune province del Lazio. Il miglior prodotto creato sono state le cosiddette “cattedrali nel deserto”. Lo Svimez, il più titolato centro studi meridionali, ha calcolato che dal 1951 al 2013 sono arrivati nel Mezzogiorno <strong>430 miliardi di euro</strong> in conto capitale per investimenti e infrastrutture, cioè il triplo di quanto impegnato dalla sola Cassa. Un fiume in piena di denari che ha irrigato terreni molto permeabili, sui quali però è cresciuto il nulla.</p>
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<h2 id="h-vado-a-vivere-in-un-borgo-il-sogno-post-pandemico-incontra-lo-sviluppo-turistico">Vado a vivere in un borgo: il sogno post pandemico incontra lo sviluppo turistico</h2>
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<p>Sempre a proposito di risorse sprecate, tornando a oggi, la domanda che merita attenzione è se questa <strong>pandemia</strong> rappresenti realmente un’opportunità di sviluppo per il <strong>rilancio del turismo</strong>, anche rurale, anche per i piccoli borghi e per le realtà territoriali con minore attrattiva. Su queste tematiche si è concentrato il popolo del web e i guru del management e marketing turistico.</p>
<p>“Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”<em>, </em>è la frase emblematica comparsa su un muro di Madrid a inizio pandemia. Questa crisi globale ha alienato abitudini consolidate e alimentato <strong>nuovi ideali di vita</strong>, tra i quali quello di vivere in un <strong>borgo a dimensione d’uomo</strong>. Isolati dal mondo, sì, ma non troppo, secondo gli emergenti dettami dei moderni concetti smart lifestyle e smart working.</p>
<p>Proprio da questa richiesta emergente nasce il bisogno di trovare nella comodità metropolitana, comunque organizzata di infrastrutture primarie e servizi, la comfort zone che ci si aspetterebbe di trovare a casa propria. Statisticamente, a scoraggiare chi vorrebbe vivere e lavorare in dimensioni rurali controllabili è la scoperta che una comunità coesa fatta di persone e cose non è facile da realizzare. Qui entrerebbe in gioco il ruolo dello <strong>sviluppo dell’ecosistema</strong>, che non può essere costruito con azioni disgiunte o semplicemente creando cooperative RTI di fornitura tecnologica, ma richiede transfert motivazionale e volontà autoconsapevole di cambiamento.</p>
<p><strong>Sviluppo turistico non può essere solo marketing</strong>. Quando il giudizio esperto si cala nella realtà, si scontra con l’inesperienza e con la difficoltà oggettiva di operare cambiamenti culturali prima che tecnologici. L’innovazione non può essere eterodiretta, e va applicata in condizione di mutua consapevolezza rispetto alle comunità.</p>
<p>Invece è ciò che accade comunemente nella maggior parte dei territori, in modo più marcato dove vi è carenza di un <strong>modello ideologico socialmente integrato</strong>. Questo porta a intraprendere azioni scoordinate sulla base di ciò che dall’esterno viene percepito come opportunità. Ad esempio copiare ciò che fanno altri, inclusi gli errori; accontentare singoli consulenti e aziende in nome di favori personali; oppure fare qualcosa a tutti i costi perché ci sono finanziamenti da spendere. Così, sulle realtà territoriali non è avvenuto alcun cambiamento integrativo di carattere sociale, culturale e turistico.</p>
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<h2 id="h-come-riconoscere-un-finto-esperto-di-destination-management">Come riconoscere un finto esperto di destination management</h2>
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<p>L’attenzione del problema va posta sulla <strong>scarsa o assente professionalizzazione delle figure consulenziali</strong>, sommata alla carenza manageriale degli enti locali che porta ad affrontare lo sviluppo turistico basandosi su modelli imprenditoriali.</p>
<p>La pandemia, poi, sembra aver risvegliato nel mondo dei consulenti una dimensione perduta dell’Italia, quella fatta di entroterra, storia e geografia, turismo rurale, comunità montane e piccoli borghi. In regime di stop forzato del settore turistico la necessità si è trasformata in virtù, e come per miracolo <strong>si sono moltiplicati gli esperti di turismo</strong>.</p>
<p>Troppi inglesismi, la ricerca forzata di terminologia sofisticata per atteggiarsi e per cercare di fare colpo, personal branding spinto, eccesso di personalismo o innovazione da supermercato non sono indici di serietà e professionalità di un consulente. Se si riscontrano questi comportamenti è bene essere cauti, perché possono significare che la persona ha bisogno di mettersi in mostra per lavorare o per ritagliarsi credibilità.</p>
<p>Non è sempre così, sia chiaro. I <strong>professionisti del destination management</strong> ci sono, ma si contano sulle dita di due mani, e non si misurano sulle azioni di personal branding, notorietà o esaltazione mediatica – spesso fasulla. Un valido consulente scrive poco, usa farina del suo sacco e non emerge dalle ceneri di un evento di settore in cui ha ricevuto notorietà.</p>
<p>La valutazione della capacità professionale deve essere attenta: non si dovrebbe limitare alla popolarità delle figure individuate, ma su ciò che realmente i professionisti sanno fare e hanno fatto, curriculum alla mano.</p>
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<h2 id="h-turismo-e-rinnovamento-il-ruolo-dei-destination-manager">Turismo e rinnovamento, il ruolo dei destination manager</h2>
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<p>La relazione tra <strong>redazione</strong> e <strong>attuabilità di piani strategici</strong> affidati all’ambito accademico è un altro punto debole. L’inefficacia sta proprio nel metodo, nonostante sia una prassi nella Pubblica Amministrazione: il problema è la redazione eterodiretta di strategie spesso inapplicabili o irrealistiche.</p>
<p>È rilevante anche il fattore interpretativo e di applicabilità da parte della <strong>classe politica</strong>, a cui non può essere richiesta tale capacità, né tantomeno quella di rendere sostenibili e attuabili strategie complesse, che necessitano di figure specifiche ad alta professionalità.</p>
<p>Questo porterebbe alla necessità di inserire all’interno dei comparti turistici figure come il <strong>destination manager</strong>, cioè professionisti esperti con una visione a 360 gradi dell’ambito turistico, dimestichezza nella gestione delle leve strategiche, nella conduzione di dinamiche sociali aggreganti, nell’uso di tecnologie, e con una corretta interpretazione dei bisogni di target e mercati.</p>
<p>Due territori ho scelto per rappresentare testimonianze di percorsi virtuosi di sviluppo turistico. Sono significativi perché hanno raggiunto l’obiettivo di unire i puntini su due concetti fondamentali legati all’innovazione: <strong>approccio</strong> e <strong>metodo</strong>. Due realtà geograficamente opposte: la località turistica lombarda di <strong>Livigno</strong> e <strong>Castelsaraceno</strong>, piccolo borgo di media montagna nel cuore della Basilicata. Due storie differenti da numerosi punti di vista.</p>
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<h2 id="h-quando-la-preparazione-alle-olimpiadi-salva-dal-covid-19-il-caso-di-livigno">Quando la preparazione alle Olimpiadi salva dal COVID-19: il caso di Livigno</h2>
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<p>Di Livigno ci parla <strong>Giorgio Zini</strong>, presidente dell’associazione Skipass Livigno e già presidente e DG della APT Livigno.</p>
<p>“<strong>Livigno</strong>, località di montagna lombarda al confine con la Svizzera, ha sviluppato negli ultimi vent’anni progetti che hanno cambiato radicalmente la percezione della località. Non più solo <em>duty free area</em>, ma meta di migliaia di sciatori in inverno e paradiso della mountain bike in estate, grazie ai mondiali 2005 di MTB e al contestuale sviluppo progettuale turistico collegato.”</p>
<p>“Questi risultati sono il frutto di un’intuizione del management della locale APT, supportata dall’amministrazione comunale e da qualche imprenditore privato.</p>
<p>Non era scontato che quella intuizione diventasse una chiave di successo per il turismo estivo di Livigno. La difficoltà di sviluppare una progettazione partecipata è ancora un ostacolo, e condividere un processo di sviluppo è più difficile che imporre soluzioni preconfezionate dall’alto.”</p>
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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Livigno-estiva-scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="479" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Livigno-estiva-1024x479.jpg" alt="" class="wp-image-44643" /></a><figcaption><em>Livigno durante la stagione estiva</em></figcaption></figure>
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<p>“Nella mia esperienza, ho contribuito a realizzare un impegnativo processo di sviluppo: un piano strategico di comunicazione (lato web, ma soprattutto interna e di prossimità), la sostituzione della piattaforma web con implementazione della vendita online, l’inizio di una raccolta dati profilata utile per conoscere e impostare la strategia della Skiarea, basata su bisogni e abitudini dei consumatori per orientare le scelte future.”</p>
<p>“Tra gli obiettivi a medio termine ci saranno le Olimpiadi del 2026, che vedranno Livigno tra le località italiane sede dei campi gara di questo incredibile evento che dovrà lasciare un&#8217;eredità importante alle generazioni future. Il punto di forza di quest’ultimo progetto è stato quello di aver coinvolto da subito in tavoli operativi tutte le società degli impianti di Livigno, procedendo ad avanzamenti condivisi.”</p>
<p>“Questo processo di sviluppo, partito prima dell’avvento del COVID-19, ha trovato un’immediata utilità proprio in questo periodo, consentendo agli sciatori una maggiore autonomia e sicurezza nell’acquisto e ritiro degli skipass, favorendo un maggiore rispetto e controllo delle regole di contingentamento previsto dalla normativa emergenziale.”</p>
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<h2 id="h-castelsaraceno-il-paese-che-rinasce-grazie-a-un-progetto-efficace-e-fondi-europei">Castelsaraceno, il paese che rinasce grazie a un progetto efficace e fondi europei</h2>
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<p><strong>Castelsaraceno</strong> è uno dei tanti piccoli borghi lucani. Situato a 900 metri s.l.m. e con una popolazione di circa 1.300 abitanti, è anche chiamato “il paese tra i due parchi”: si trova infatti incastonato tra il parco dell’Appennino Lucano e quello del Pollino. Di antiche tradizioni pastorali, dal dopoguerra ha subito un progressivo spopolamento a favore dell’impiego nell’industria e dell’emigrazione al Nord.</p>
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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Castelsaraceno-vista-notturna--scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="511" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Castelsaraceno-vista-notturna--1024x511.jpg" alt="" class="wp-image-44646" /></a><figcaption><em>Castelsaraceno, vista notturna. Credits: Pino Spagnuolo</em></figcaption></figure>
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<p>Il percorso di rinnovamento di questo borgo nasce da un percorso partecipato legato alla ricerca delle identità originarie caratterizzanti e dall’intuizione che sarebbero servite forti motivazioni per approcciare un piano di sviluppo e rinnovamento socioeconomico e culturale. Questa comunità, oggi guidata da un giovane sindaco e da una giunta virtuosi, ha costruito la motivazione necessaria attingendo a fondi europei e presentando il progetto – oggi realizzato – del ponte pedonale tibetano più lungo al mondo. Un&#8217;opera ingegneristica imponente, un punto di collegamento non solo fisico tra due parchi nazionali, ma anche di congiunzione socioculturale: oggi la popolazione si riconosce e identifica con fierezza in quest’opera, punto di giunzione tra il vecchio e il nuovo.</p>
<p>Su queste motivazioni forti, riconosciuta la necessità di avere un appoggio manageriale esperto, si è riusciti a gettare le basi per co-costruire e avviare un progetto integrato di ecosistema turistico attorno a questo macro attrattore, ma anche utilizzando il contesto territoriale con una connotazione outdoor e sport.</p>
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