Il lavoro inciampa sulla sclerosi multipla: esclusi sei malati su dieci

La prima causa di disabilità nei giovani adulti dà origine a diverse problematiche lavorative: il risultato è che un malato su due teme di perdere l’occupazione, e c’è chi non rivela la propria diagnosi pur di lavorare. Ne parliamo con Sara Pozzi e Giusy Anatra dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla

04.11.2025
Sclerosi multipla al lavoro: delle stampelle abbandonate vicino a una stampante

Sclerosi multipla e barriere culturali sul fronte dell’inclusione lavorativa: un connubio tematico sul quale tenere alta l’attenzione. Secondo una rilevazione concretizzata dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) del 2024 il mondo del lavoro e il rapporto con la burocrazia sono gli ambiti in cui converge la quota più alta di discriminazione subita dalle persone che presentano queste condizioni. Ma prima di approfondire l’argomento facciamo un’importante premessa.

La sclerosi multipla è una malattia cronica tra le più comuni, e allo stesso tempo gravi, del sistema nervoso centrale, e si configura come la prima causa di disabilità neurologica nei giovani adulti. L’esordio tipico si manifesta intorno ai 30 anni, mentre la diagnosi avviene di solito tra i 20 e i 40 anni. L’incidenza maggiore si presenta nelle donne, che spesso subiscono una discriminazione multipla, per genere e condizione.

Si stima che nel mondo siano ben 2,8 milioni di persone a convivere con la sclerosi multipla. Il Barometro della SM e patologie correlate – preziosa indagine annuale promossa dalla stessa AISM – rivela che il dato epidemiologico nazionale è di 126.000 persone.

Per fare il punto della situazione sul fronte lavorativo, dove permangono tuttora pregiudizi e discriminazioni, ci confrontiamo con Sara Pozzi e Giusi Anatra, rispettivamente presidente e volontaria della sezione mantovana di AISM.

Sclerosi multipla e lavoro: sei su dieci esclusi per la malattia

“Bisogna partire da una distinzione tra chi ha già un lavoro e chi lo sta cercando” sottolinea Sara Pozzi. “Nel primo caso quando arriva la diagnosi la reazione dell’impresa è spesso caratterizzata dalla paura, derivata a sua volta da una mancata conoscenza del tema. Questo timore sfocia in diversi casi anche in un rifiuto, fino ad arrivare, nel peggiore dei casi, al licenziamento del dipendente. Questa dinamica è molto grave perché identifica la disabilità come un peso, e allo stesso tempo toglie lavoro e autonomia economica a persone che hanno dato e possono continuare a dare un apporto importante. Come associazione, attraverso il coinvolgimento delle nostre figure legali, cerchiamo di risolvere queste situazioni attivando i cosiddetti accomodamenti ragionevoli”.

Ricordiamo che gli accomodamenti ragionevoli rappresentano un elemento cardine della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia nel 2009. Sono quell’insieme di adattamenti e modifiche all’ambiente fisco e alla mansione stessa – comprese la strutturazione dell’orario e l’adozione dello smart working – che permettono alle persone con disabilità di partecipare a livello lavorativo su base di uguaglianza con gli altri. Il rifiuto di attivarli da parte di aziende, contesti di formazione o scuole implica una discriminazione punibile attraverso la Legge 67/2006. Tra gli accomodamenti più richiesti da parte dei lavoratori con sclerosi multipla, spiegano le intervistate, ci sono la flessibilità oraria, il part-time e lo smart working, su cui ad oggi permangono ancora delle resistenze da parte di alcuni contesti lavorativi.

Concentrandoci su chi non ha invece un’occupazione, l’indagine AISM 2024 rivela che, tra le persone con sclerosi multipla e patologie correlate che non lavorano, oltre il 60% riferisce di essere stato escluso da questo fronte a causa della patologia (traducibile con il pregiudizio a essa legato, visto che la malattia non ha una responsabilità) e del mancato adattamento del contesto alle sue necessità. In particolare, il 58,8% dei non occupati fa riferimento alla progressione della SM, mentre a non aver mai lavorato a causa della patologia è il 4,1%. Una situazione che assume i connotati di una vera e propria spada di Damocle, visto che impatta anche sulla fiducia e sulle aspettative che riguardano una parte importante della vita: quella lavorativa.

Secondo l’indagine AISM 2023 oltre la metà delle persone con SM e NMOSD che lavorano teme di perdere il lavoro in conseguenza della patologia. Un timore che supera il 70% tra chi ha più di 55 anni, arrivando al 64% per chi ha tra i 45 e i 54 anni e al 40% circa per i lavoratori più giovani. A sentire di svolgere un lavoro che corrisponde alle sue aspirazioni e capacità è circa il 40% dei lavoratori con SM e NMOSD, mentre il 23% lo svolge solo per avere un reddito.

La disabilità visibile e quelle invisibili

Al contempo sull’inclusione lavorativa infierisce un vasto corollario di stereotipi che riguardano le cosiddette disabilità invisibili. Una situazione che le persone con sclerosi multipla conoscono bene, come evidenzia Giusi Anatra.

“Ci sono sintomi che, secondo un luogo comune, non sono associabili a una persona di trent’anni e che invece fanno proprio parte di chi ha la sclerosi multipla” afferma. Questi sintomi possono diventare addirittura oggetto di battute e lamentele: uno tra i più bersagliati è quello della stanchezza cronica. “Parliamo di una stanchezza non solo fisica, ma anche cognitiva, che necessita durante le ore di lavoro, riunioni comprese, delle pause” spiega Anatra. “Purtroppo questa stanchezza viene spesso stigmatizzata secondo il pensiero: ‘Hai trent’anni, non puoi essere stanco’, o peggio ancora ‘Siamo tutti stanchi’”.

La fatica cronica colpisce il 95% delle persone con sclerosi multipla, e AISM ha realizzato una coinvolgente campagna di sensibilizzazione chiamata PortrAIts, che tramite l’intelligenza artificiale e narrazioni video mostra i sintomi invisibili e i relativi pregiudizi in ambito lavorativo.

Le referenti di AISM Mantova mettono in luce altre esigenze dei lavoratori e lavoratrici con sclerosi multipla che subiscono diffidenza e stigmatizzazioni: “C’è la questione della vescica neurologica, che richiede di andare in bagno con frequenza, soprattutto se ciò avviene due volte in un’ora o se richiede una breve sostituzione da parte di un collega nell’esercizio della mansione” spiega Giusi Anatra. E aggiunge: “C’è inoltre l’idea che la sclerosi multipla sia impattante solo a livello motorio. Altro luogo comune è il pensare che esista o la persona del tutto sana o quella in sedia a rotelle, come se in mezzo non ci fossero le diverse sfumature che invece esistono e vanno rispettate, compresi i sintomi invisibili, che hanno un impatto sulla vita quotidiana ma che attraverso gli accomodamenti ragionevoli possono conciliarsi con il contesto lavorativo”.

“Il problema è la generalizzazione dei sintomi da parte di chi non conosce questa condizione” esplicita Sara Pozzi. “Non bisogna mai dimenticare che siamo tutti diversi, e così gli accorgimenti adottati nei luoghi di lavoro devono tenere conto di questa diversità, andando oltre il pregiudizio e il luogo comune. Ricevere frasi come ‘Eppure ti vedo così bene’ fa capire quanta strada ci sia ancora da fare, anche per quanto riguarda la consapevolezza sui propri diritti da parte di chi convive con la malattia”.

Aziende, chi ha paura della sclerosi multipla?

Alle referenti AISM Mantova chiediamo anche quale sia il timore più diffuso, sempre legato al pregiudizio, manifestato dalle imprese nei confronti dei lavoratori e lavoratrici con sclerosi multipla e patologie correlate.

“Da parte dei datori di lavoro emerge spesso la paura delle ricadute correlate alla patologia, e di non avere chi può sostituire la persona magari assente nel periodo di malattia” evidenzia Giusi Anatra. “Stare assenti per malattia è una situazione che può capitare a chiunque, e sarebbe risolvibile, in generale, attraverso un’organizzazione migliore di turni e orari di lavoro”.

“L’altro timore, che però si sta riducendo, è che la persona con disabilità approfitti in maniera scorretta della sua condizione per ottenere sempre più cose al di là dei diritti dovuti” aggiunge Sara Pozzi. “In questo caso siamo di fronte a un pregiudizio molto pesante, che crea diffidenza e genera esclusione”. E proprio su questo fronte racconta: “Stiamo portando avanti da anni un progetto di sensibilizzazione rivolto anche alle aziende. Si tratta di un laboratorio esperienziale chiamato Senti come mi sento, che punta a far capire che la persona con sclerosi multipla non ascoltata e supportata da accomodamenti ragionevoli può riscontrare forti difficoltà sul lavoro, con effetti sul suo intero percorso personale”.

Spesso la formazione sul tema disabilità è solo di facciata, e nei luoghi di lavoro mancano figure preparate come quella del disability manager. A questo proposito riflettiamo sulle lacune e contraddizioni relative al tema dell’inclusione insieme alle referenti di AISM Mantova.

“La gente è più consapevole rispetto ad anni fa, ma allo stesso tempo va detto che veniamo contattati da lavoratori con sclerosi multipla che subiscono pressioni dalla ditta in cui lavorano con l’intento di licenziarli, perché non possono più svolgere il loro lavoro, solitamente fisico, come ad esempio quello di operaio” spiega la presidente di AISM Mantova. “Noi interveniamo tramite avvocati spiegando alla ditta che è possibile cambiare la mansione per tutelare il posto di lavoro, e trovare così una soluzione. Il mondo del lavoro è molto improntato sulla produzione meccanicistica, e l’inclusione è spesso travisata: viene vissuta più come un’etichetta o un dovere anziché come vera consapevolezza. L’esito è la perdita di talenti e risorse. Se guardi alla persona, alla sua peculiarità e alle sue capacità, non te la lasci scappare; se invece ti focalizzi sulla visione stereotipata della disabilità non richiamerai mai talenti, e anzi te li lascerai sfuggire. La formazione deve puntare anche a questo”.

Sul tema discriminazioni delle persone con sclerosi multipla in ambiente lavorativo ha puntato fortemente i riflettori anche il progetto PRISMA, promosso da AISM in collaborazione con INAIL, l’Università di Genova e il Policlinico San Martino. Su 26 studi che hanno coinvolto oltre 10.000 persone con SM, è emerso che il 79,2% ha riportato esperienze di stigma e discriminazione.

La sensibilizzazione mira ad affrontare anche la paura da parte di chi, per timore di perdere il posto di lavoro, non esplicita la sua condizione, con l’esito di non ottenere gli accomodamenti ragionevoli e nemmeno i giorni di permesso 104: un aut aut micidiale tra occupazione e diritti. Quello che va ricordato è che una condizione non deve mai essere considerata un ostacolo, e men che meno un peso per l’ambiente di lavoro. Trovare le giuste soluzioni è un dovere del lavoro stesso, su cui non è possibile glissare.

 

 

 

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Foto di copertina di Carlos Spottorno, dal reportage Under Pressure – Living with MS in Europe

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