
Nella saga degli imprenditori che non trovano collaboratori, in cui il Reddito di Cittadinanza ha ceduto il passo ai giovani che non vogliono fare la gavetta, la vera sorpresa sono stati i giornali(sti)
Creme solari, integratori e una pacca sulla spalla: il piano di tutela contro il caldo previsto da Glovo e Deliveroo per i propri rider ha avuto vita breve, ma non piaceva neanche ai diretti interessati, che vengono pagati (poco) a quarto d’ora e vedono le sospensioni come fumo negli occhi
La bella pensata di Glovo e di Deliveroo per bypassare ancora una volta le regole è evaporata, insieme ai decilitri cubi di sudore con cui i rider avrebbero potuto misurare gli incentivi offerti dalla multinazionale in cambio del lavoro nelle ore più calde (in cui oltre ai cantieri, all’agricoltura, ai mercati e alle pulizie rientrano anche i pranzetti a domicilio dei clienti troppo indaffarati o accaldati per prendere l’ascensore e attraversare la strada).
La letterina, guarnita di buone intenzioni legate al benessere dei dipendenti mascherati da liberi professionisti, puzzava di wellbeing-washing lontano un miglio. A partire dal fatto che gli incentivi per le creme da sole e gli integratori intanto li anticipavano i rider, in una operazione di marketing da fare concorrenza a Totò davanti alla Fontana di Trevi, ma con risultati molto meno divertenti.
E così, dopo una giornata in cui Glovo è stata in testa ai trend topic di tutti i media contribuendo ad affossare la già opaca reputazione del brand, la letterina finisce in mano ai sindacati, e la multinazionale del food delivery deve ritirare il piano di incentivi perché è evidente che qui non c’è alcun obbiettivo di cura dei propri rider, ma un tentativo di ignorare le delibere dei Comuni, che a partire dal Piemonte hanno emanato il divieto di lavoro all’aperto nelle ore calde, a causa dei sempre più frequenti malori che si stanno verificando in questi giorni in tutto il Paese.
Ma di questo ne hanno parlato tutti i giornali, e anche stamani troverete articoli sull’episodio nello specifico. Voglio invece affrontare il tema da un’altra prospettiva: il punto di vista dei rider.
Nijab e Rustam hanno ricevuto l’ultimo ordine un’ora prima della sospensione: «Solo quattro da stamattina, il primo alle 11» spiega Nijab. La comunicazione di Glovo lo spiazza: «Avrei preferito lavorare, in questo periodo gli ordini sono pochi e le ore serali non bastano per portare a casa uno stipendio dignitoso». Ogni rider guadagna in media 10 euro lordi all’ora, ma se il tempo stimato per la consegna è inferiore a un’ora, la paga si riduce in proporzione. Significa che per una consegna da 15 minuti, si ricevono appena 2,50 euro lordi. La sospensione di un’ora e mezzo rischia dunque di farsi sentire a fine giornata: «Capisco le precauzioni per la nostra salute – prosegue Rustam – ma abbiamo bisogno di tutele, non di rimanere fermi senza poter lavorare».
La Stampa, articolo di Leonardo di Paco, Luca Polsoni
Partirei dal caratterizzare la platea di questi lavoratori, sottolineando ancora una volta che la narrazione del rider studente che fa questo lavoro per arrotondare è una balla che non ha più alcun fondamento, al netto di qualche rara eccezione. Il rider ormai è un lavoro ad appannaggio di extracomunitari (le testimonianze di cui sopra sono l’ennesima conferma), Persone fragili, spesso disperate, over 50 senza altre prospettive.
Una popolazione aziendale sindacalmente debole, che spesso non parla bene la nostra lingua, che non conosce le leggi in modo adeguato, che necessita di lavorare duro per portare a casa un risultato quantomeno decente e far quadrare i conti di una giornata in cui una consegna di 15 minuti viene pagata due euro e mezzo. Il pubblico perfetto per una piattaforma che regola il lavoro attraverso algoritmi, fluttuando sul filo della legalità da sempre, e a cui far credere che sia meglio essere liberi e indipendenti anziché “sotto contratto”; che si possa “lavorare quando si vuole” anche se in realtà quel pubblico ha bisogno di lavorare sempre e sempre di più.
Ed è evidente che quando avvengono situazioni di questo genere – ma anche alluvioni e fermi imposti da emergenze con cui in futuro dovremo fare i conti sempre più spesso – c’è una bella differenza fra essere un libero professionista e un dipendente di una multinazionale che fattura miliardi di euro e che paga le tasse in maniera random.
Intanto i rider di Just Eat, la piattaforma che si è sganciata ormai più di due anni fa da Assodelivery, sfrecciano indisturbati per la città. Poiché a differenza di quelli di Glovo e Deliveroo sono tutelati da un contratto collettivo, perfettibile ma riconosciuto dalle sigle sindacali, e in caso di fermo l’azienda ha gli strumenti per riconoscere loro un contributo.
Come succede in qualsiasi azienda che segue le regole e i contratti collettivi nel nostro Paese.
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