La risposta di Randstad alle disperate richieste d’aiuto è gelida. Il CEO, Sander van’t Noordende, risponde con una frase lapidaria: “Vi ricordo che siamo un azionista di minoranza”. Una posizione ribadita da tutti i manager contattati, inclusa la Chief Human Resources Officer, Myriam Beatove Moreale, e la General Counsel di Randstad, Fiona Van Lede, i quali hanno difeso l’operato di Randstad, ma per i dipendenti è una logica inaccettabile.
“Randstad era proprietaria al 100% di Monster fino a nove mesi fa” ribatte Matteo Nicolò, ricordando che l’azienda ha ancora tre membri nel consiglio di amministrazione della joint venture. La sensazione è che la struttura sia stata creata ad arte per scaricare le responsabilità.
Come ha detto Nicolò: “Da una parte abbiamo una delle società di private equity più ricche, Apollo, e dall’altra il leader mondiale del lavoro interinale, Randstad, e chiedono ai contribuenti di pagare per una manciata di dipendenti?”.
L’offerta finale di Randstad suona quasi come un insulto: nessun piano di outplacement, e inoltre “i dipendenti licenziati possono candidarsi”, come se fosse una gentile concessione, “alle posizioni aperte nel gruppo, ma qualsiasi candidatura seguirà il processo di reclutamento standard senza privilegi”, come specificato da Isabelle Callebaut, Global HR Leader.
Un gesto vuoto per chi si sente tradito da un’azienda che, come ricordato da Matteo Nicolò, ama citare i valori del suo fondatore, Frits Goldschmeding: “Rispetto per le persone e responsabilità sociale”. Una contraddizione che Nicolò sintetizza con amara lucidità: “Non glielo ha chiesto il dottore di scrivere tutti questi slogan, ma almeno rispettateli”.
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Photo credits: glassdoor.com