Il momentum politico esiste, ma va convertito con urgenza in decisioni irreversibili che cambino le regole del gioco per tutti gli attori.
Una transizione non può essere attuata solo con regole, governance e finanza. Occorre un cambio di paradigma e una evoluzione dell’impegno delle persone e delle competenze necessarie. La transizione climatica rappresenta al contempo la più grande sfida occupazionale e la più grande opportunità di creazione di posti di lavoro del nostro tempo. L’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili stima che il settore delle rinnovabili abbia aggiunto 582 gigawatt di capacità nel 2024, ma per raggiungere l’obiettivo 2030 serviranno ulteriori 1.122 gigawatt all’anno, il che significa investimenti annuali di almeno 1.400 miliardi di dollari tra il 2025 e il 2030, più del doppio dei 624 miliardi investiti nel 2024.
Questi investimenti si traducono in milioni di posti di lavoro altamente qualificati nella costruzione di bioraffinerie, impianti di produzione di idrogeno da elettrolisi, installazione di pannelli solari e turbine eoliche, gestione di reti elettriche intelligenti e sviluppo di sistemi di storage energetico. La transizione comporta sfide strutturali per milioni di lavoratori nei settori dei combustibili fossili, nell’automotive tradizionale e nelle industrie ad alta intensità carbonica. La riqualificazione professionale diventa quindi non un optional, ma una necessità strategica.
I programmi di riconversione devono concentrarsi su competenze trasversali nell’ambito del digitale, della gestione energetica, dell’economia circolare, dell’analisi dei dati ambientali e delle tecnologie di decarbonizzazione. Le università e i centri di formazione professionale devono riprogettare i curriculum per preparare la prossima generazione di ingegneri energetici, architetti sostenibili, esperti di materiali circolari e gestori di catene di approvvigionamento carbon-neutral.
Il settore privato deve investire in modo massiccio sulla forza lavoro esistente, creando percorsi di carriera chiari dalle competenze legacy alle competenze future. I sindacati devono evolvere in negoziatori attivi della transizione, garantendo che i lavoratori non vengano lasciati indietro, ma accompagnati verso nuove opportunità con dignità economica preservata. Per i leader d’impresa e gli investitori internazionali il messaggio è chiaro: il futuro non sarà disegnato solo da chi riduce le emissioni, ma da chi riorganizza le catene di valore globali attorno a nuovi paradigmi industriali, energetici e tecnologici con strategie di medio-lungo periodo.
Le implicazioni operative a breve sono immediate e non delegabili. Sul piano strategico occorre fissare target interni di phase-out dei combustibili fossili che coprano l’intera catena del valore attraverso tutti gli scope di emissione (scope 1 per emissioni dirette, scope 2 per energia acquistata, scope 3 per catena di fornitura), investendo in infrastrutture low-carbon che cambino strutturalmente il mezzo di creazione del valore, e non si limitino a ottimizzare processi esistenti: elettrificazione profonda dei processi produttivi, efficienza radicale attraverso tecnologie industriali di ultima generazione, materiali circolari e riprogettazione dei prodotti secondo principi di design for disassembly (progettare pensando non solo a come un oggetto nasce, ma a come potrà rinascere).
La riallocazione del capitale deve seguire logiche di valore attuale netto aggiustato per il carbonio (carbon-adjusted Net Present Value, NPV), dove ogni progetto di investimento viene valutato non solo sui flussi di cassa attualizzati, ma anche sull’intensità carbonica e sui rischi legati alla regolamentazione climatica futura. I portafogli di ricerca e sviluppo devono essere orientati ad abbandonare le tecnologie fossili, piuttosto che a compensarle o mascherarle attraverso soluzioni di cattura e stoccaggio che continuano a perpetuare la dipendenza dalla materia prima. Lungo tutta la catena di approvvigionamento servono contratti carbon-aligned con i fornitori, clausole di riduzione progressiva delle emissioni nei contratti pluriennali e audit rigorosi del ciclo di vita su qualsiasi alternativa tecnologica, biocarburanti compresi, senza eccezioni o deroghe di comodo.
I sistemi di reporting e gli incentivi manageriali devono essere legati a metriche concrete di de-fossilizzazione misurate in grammi di CO2 equivalente per euro di valore effettivamente creato, non a riduzioni percentuali relative che possono essere facilmente manipolate attraverso scelte opportunistiche. Sul piano dell’advocacy istituzionale, le imprese lungimiranti devono sostenere attivamente regole chiare e vincolanti sul phase-out e sulla finanza climatica, comprendendo che il vantaggio competitivo sostenibile nasce esattamente quando la regola del gioco cambia per tutti, e non esistono più scorciatoie o esenzioni possibili.