Dal 2009, da quando è stato fondato l’ambulatorio sulla dipendenza da internet, di studi ne sono stati fatti molti, e per Federico Tonioni ormai è chiaro che chi ha sintomi di iperconnessione e ritiro sociale in realtà viene da una situazione famigliare difficilissima. Bisogna separare l’uso del telefonino e dei social (e i tipi di bullismo che colpiscono l’adolescente che si espone) dai ragazzi che non entrano in adolescenza, che si ritirano a dodici anni, e passano le loro giornate su giochi sparatutto.
“Questi ragazzi sono pieni di rabbia – continua il professore – e la detonano sparando tutto il giorno. È una rabbia che ha radici profonde, è energia che non è mai diventata esperienza, perché vengono da famiglie che li hanno trattenuti. Il gaming è più complicato dello smartphone, perché se ne può abusare anche in età minore. Lo smartphone si concede quando il ragazzo è già adolescente, ha già competenze e anche fantasie sessuali; invece il gaming è una zona di comfort che permette di non pensare agli altri, al fatto di essere stato preso in giro, alla vergogna”.
Tonioni sostiene senza mezzi termini che, dai racconti dei ragazzi, i più costanti atti di bullismo vengono dai professori, che impongono tre interrogazioni al giorno, quattro compiti in classe a settimana e i compiti delle vacanze. “Il professore alle medie deve affrontare ragazzi che possono deludere le aspettative, che possono opporsi e competere. Sono nell’età delle fantasie sessuali e delle disforie di genere. Questa generazione avrà le sue difficoltà, ma è più evoluta di noi perché l’ipertesto di internet non l’ha manipolata: ha promosso la capacità di avere pensieri propri”.
Il professore sorride e continua: “I bambini vanno lasciati in pace, invece scarichiamo su di loro ipocrisia e ambiguità. E gli adolescenti hanno bisogno di fiducia, non di controllo. I bambini non vanno ridotti all’obbedienza, altrimenti rischiano di accumulare tantissima rabbia, e la rabbia non manifestata è pericolosissima. Le regole vanno date all’interno di trattative, non di una sfida tra genitore e figlio dove il genitore pensa sempre di essere il più forte. Trattative dove i figli ci fregano, barano, mischiano le carte, ma nella trattativa abbiamo l’occasione di giocare con loro. Ogni genitore ha un figlio ideale in mente, e con quel figlio noi dobbiamo fare i conti per tutta la vita. Nessuno nasce gratis: tutti abbiamo una missione, un incarico che i nostri genitori ci danno in modo inconscio”.
Io gli dico che con ogni probabilità non sono nulla di quello che si aspettavano i miei genitori, anzi che soprattutto mia madre mi avrebbe voluto molto diversa, e lui con grande soddisfazione mi dice: “Bene, allora lei è cresciuta, ma molto spesso questo non succede, e i figli rimangono succubi di quello che i genitori immaginano per loro. Quando invece, davanti a un gesto spontaneo dei nostri figli, ci chiediamo: ma da chi ha preso?, allora in quel momento il bambino è sé stesso e smette di essere come i suoi genitori lo hanno immaginato. Dobbiamo avere fiducia e chiedere scusa quando sbagliamo; poi il mondo sarà dei nostri figli, non nostro”.
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