Aiuto, anche le banche chiudono

Le chiusure bancarie hanno coinvolto tutto il Paese: Molise e Calabria le regioni più colpite, penalizzate le fasce meno digitalizzate. Una questione già entrata nel radar dei sindacati.

Poveri e con sempre meno banche. Nelle regioni d’Italia in cui si guadagna meno le banche chiudono le filiali, lasciando soltanto gli sportelli bancomat. In compenso laddove c’è più denaro puntano su vendite al telefono e online, e su un esercito di giovani venditori, meno pagati dei loro colleghi con maggiore anzianità, e soprattutto meno garantiti.

Insomma la banca non è più quella di una volta. Il posto di lavoro dietro allo sportello è ancora una certezza, ma meno, e non c’è più una filiale per ogni campanile. Per questo negli ultimi anni non sono mancati trasferimenti di personale.

Sono in molti, inoltre, a lamentare l’assenza di un rapporto umano con la propria clientela, a causa della sparizione dei piccoli presidi. Sono 1.346 in tutto lo Stivale i comuni che negli ultimi dieci anni sono rimasti senza sportelli bancari, secondo i dati forniti dall’osservatorio FIRST CISL.

Il numero delle filiali chiuse è 19.448, con una diminuzione dell’11%. Certo altre saranno aperte, ma il dato dei quasi 1.400 centri che non hanno più nemmeno una sede di un istituto di credito è preoccupante. Anche perché si riferisce a quell’arco di tempo che va dal 2009 al 2019, l’era pre-COVID-19: dopo il lockdown di marzo il processo non solo non si è fermato, ma ha preso un’accelerazione. Diversi cittadini, specie nei centri più piccoli, quando a maggio sono usciti di casa dopo tre mesi di reclusione non hanno più trovato il loro istituto di credito. La celebre banca di fiducia. A farne le spese i centri più piccoli e le zone d’Italia più povere.

Quali sono le regioni più penalizzate dalle chiusure bancarie?

La regione che ha registrato il numero più alto di chiusure è il Molise (-27%), passato da 48 a 35 comuni serviti e che nella classifica del reddito pro capite degli italiani è al sesto posto. Al secondo posto come numero di paesi che hanno perso la banca (-23%) troviamo la Calabria, che risulta la regione più povera d’Italia. Curioso il caso della Valle D’Aosta, la regione più ricca d’Italia al terzo posto come comuni senza banca, con un calo del 22%.

La classifica però continua con il trend precedente, che vede la Sicilia, seconda area più povera d’Italia, e quarta per municipi che sono rimasti senza istituti creditizi. Va detto che le percentuali in Molise e Valle D’Aosta possono risultare falsate dalle ridotte dimensioni delle due regioni.

Ci sono poi casi di regioni popolose come la Campania, passata da 340 a 289 comuni serviti, con 5 milioni di abitanti; la metà di quelli della Lombardia, che è passata da 1.186 a 1.081. In nessuna regione, comunque, si è configurato un aumento. E così si spiega il dato generale che vede l’Italia passare da 5.914 comuni serviti a 5.221, con un calo dell’11,7% su un totale di 7.903 comuni.

Se i clienti anziani non passano all’home banking

Chi ne fa le spese è soprattutto la fascia più debole della popolazione e quella che ha meno dimestichezza con il digitale e gli sportelli bancomat: gli anziani.

L’età media dei clienti della banca è ormai elevata, e molti sono abituati a un servizio tradizionale. La drastica riduzione negli ultimi cinque anni ha determinato una carenza nel Sud Italia. Nelle grandi città si è realizzata una pesante contrazione, in parte dovuta al fenomeno delle fusioni come nel caso di Banca Intesa, che con l’acquisizione di Ubi rappresenta un quarto del mercato e in molti centri ha chiuso le filiali “doppie”; in altri casi è stata una volontà deliberata per agevolare il servizio digitale. Che comunque presenta ancora molti problemi.

«In Francia – spiega Massimo Masi, segretario generale della UILCA – ormai l’intelligenza artificiale è in ogni banca. Il cliente entra e si trova a parlare con una macchina, oppure con un impiegato che si trova in Martinica, ma le condizioni del Paese sono completamente diverse. In Italia la digitalizzazione fa fatica ad attecchire perché l’italiano medio è meno scolarizzato dal punto di vista digitale. C’è uno studio particolareggiato che dimostra che non ci sono i presupposti per una rivoluzione digitale: negli anziani italiani c’è una capacità di utilizzo delle nuove tecnologie che scende vorticosamente rispetto ad altri Paesi europei. Da noi la riduzione degli sportelli rischia di far male allo sviluppo della società. Inoltre le banche sono imprese, ma devono esercitare la loro funzione sociale.»

I più colpiti dalle chiusure bancarie: dopo il Sud, solo l’Est Europa

I primi posti nella classifica dei comuni rimasti senza banca sono occupati dalle regioni meridionali: tra le prime cinque, tre sono del Sud. Un dato che preoccupa i sindacati, al punto che la UILCA a settembre ha deciso di dedicare al tema un convegno, dal titolo “Io rimango al Sud”, che si è svolto in Sicilia, una delle regioni più colpite.

«In quell’occasione – continua Masi – abbiamo illustrato i dati delle chiusure delle filiali. Al Sud c’è la massa circolare di denaro più bassa d’Italia. Al Sud ci sono meno conti online che nel resto del Paese». Già: l’Italia secondo i dati forniti da Statista nel 2018 è al penultimo posto in Europa per la classifica della diffusione dell’online banking (pur essendo triplicato, in otto anni, il numero di persone che utilizza i servizi online), ma le regioni meridionali sono quelle che hanno maggiori difficoltà.

Per trovare una regione italiana nella classifica sull’uso dei servizi dell’online banking dell’istituto Natiomaster bisogna attendere il 156esimo posto, dove si posiziona il Trentino-Alto Adige. Le regioni del Sud, dove la popolazione che usa questi servizi oscilla tra il 24 e il 26%, si piazzano dal 193esimo al 199esimo posto. Le aree in tutto sono 215, e dietro alle regioni italiane ci sono in prevalenza le zone dell’Est Europa.

Il Sud (e non solo) vuole ancora un rapporto diretto con la banca

La chiusura delle filiali, però, non apre solo un problema di digital divide, ma lascia spazio anche a nuovi mercati che tradizionalmente sono meno controllati. «Abbiamo riscontrato – continua Masi – che dove chiudono le banche si verificano aperture di altri sportelli finanziari». Per intendersi, finanziarie che concedono prestiti, pur non esigendo particolari garanzie. E poi c’è la questione sociale.

«Al Sud – spiega – la banca è vista come una specie di centro sociale. È un luogo di ritrovo dove la gente va volentieri, parla e si fa consigliare. Il rapporto diretto è ancora quello che anche dal punto di vista della vendita dà i maggiori risultati. Noi siamo comunque sensibili al tema della digitalizzazione, che è stato preso in considerazione nell’ultimo contratto del 2019.»

Gestire questa transizione digitale tra datori di lavoro e sindacati per definire ruoli e figure tradizionali è una sfida che il sindacato dovrà affrontare, perché il rapporto fiduciario è alla base sia della consulenza che della vendita. In modo particolare quando si tratta di cifre medio grandi, o anche di pochi risparmi, molti non vogliono discutere investimenti o richieste di prestiti al telefono. Molti vogliono ancora poter guardare la persona con cui trattano in volto. Ed è meglio se è un viso già conosciuto.

Nella maggior parte dei casi i correntisti scoprono della chiusura dello sportello al quale si rivolgono da un cartello o dai giornali locali. Alcune banche contattano direttamente il proprio cliente, e ve ne sono altre che ormai hanno strutturato dei servizi sostitutivi e di consulenza alla chiusura. È il caso di Banca Intesa o Unicredit, che hanno sui propri siti una voce apposita che localizza dove si trova la filiale più vicina, in modo particolare nelle città, in modo che il cliente che è rimasto “orfano” ne possa trovare subito un’altra dove potersi rivolgere senza dover passare per forza all’home banking.

Photo credits: www.ilparmense.net

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